Le SS.UU., investite delle conseguenze dell'omessa o tardiva
traduzione dell'ordinanza cautelare personale, hanno statuito che <<l'ordinanza
di custodia cautelare personale emessa nei confronti di un imputato o indagato
alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è
affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi
del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove, invece, non
sia già emerso che l'indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua
italiana, l'ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi
confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di
detta lingua, che comporta l'obbligo di traduzione del provvedimento in un
congruo termine; la mancata traduzione determina la nullità dell'intera
sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa
l'ordinanza di custodia cautelare>>.
Tuttavia,
in entrambe le ipotesi le nullità si qualificano di ordine
generale a regime intermedio. Ne consegue che <<il soggetto
alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per
effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei
suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell'omissione, ma,
in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che,
nella specie, vengono in rilievo, ha l'onere di indicare
l'esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non
rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o
potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, Mortellaro, Rv.
285186 - 01; Sez. 4, n. 4789 del 19/02/1992, Sità, Rv. 189947 - 01).
L'interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste
soltanto se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito,
in conseguenza dell'ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo».
Se
le ss.uu. hanno il merito di ripudiare l'orientamento che negava la ricorrenza
di alcun vizio dell'atto, in caso di omessa o tardiva traduzione, tuttavia è
criticabile l'aver onerato la parte di dimostrare un pregiudizio a seguito
della violazione del diritto alla traduzione. Se, a fronte della
lesione di un diritto, il soggetto leso viene gravato di oneri di deduzione e
probatori si finisce per alimentare il meccanismo lesivo. Ma in
ogni caso, a volere ragionare in termini di pregiudizio, nel caso di specie
pare davvero che esso sia in re ipsa. Invero la
suddetta violazione impedisce al ristretto di difendersi pienamente per
sottrarsi alla privazione della libertà: non pare si debba chiedere altro.
Peraltro l'adesione delle SS.UU. alla tesi secondo le nullità a regime intermedio possono essere utilmente invocate soltanto se si dimostri la ricorrenza di un'offesa (ulteriore rispetto alla violazione del paradigma legale) rischia di avere effetti a vasto raggio.
Insomma, si finisce per rinnegare le garanzie che si proclamano.