29 luglio 2025

DEPOSITO ATTI IN UDIENZA: è possibile farlo anche cartaceamente. Ci voleva l'interpretazione della Corte di Cassazione per chiarire il chiaro tenore delle norme

 



La Cassazione torna nuovamente a pronunciarsi sulla costituzione di parte civile presentata in udienza e non depositata telematicamente, ex art. 111 bis c.p.p.

Secondo la V Sezione:

- “la riforma ‘Cartabia’ non ha introdotto modifiche alla disciplina dell’attività di udienza”, tra cui “la costituzione di parte civile (come pure, esemplificativamente, il deposito di una nomina in corso di causa o la produzione di un documento in udienza, ad esempio, all’esito dell’esame di un teste)”.
- l'art. 111 bis c.p.p., comma 3, prevede in ogni caso una deroga alla regola del deposito telematico obbligatorio, nella quale possono farsi rientrare anche la "produzione di documenti" e “il deposito di atti quali la costituzione di parte civile, comparsa conclusionale, nomina, procura speciale, etc. che, per loro natura o, appunto, per specifiche esigenze processuali, devono essere depositati in udienza”;
- “l’obbligo di deposito telematico, introdotto dalla richiamata normativa, primaria e secondaria, deve intendersi riferito ai casi di costituzione anticipata, per l’udienza preliminare, o per l’udienza predibattimentale, e non anche al caso, qui ricorrente, della costituzione che avvenga direttamente in udienza, come consentito dall’art. 78 cod. proc. pen.”.

Questo dunque il principio di diritto enunciato dalla Cassazione:

- il deposito di atti, memorie o documenti difensivi è sempre ammesso anche in forma cartacea (c.d. analogica) nel corso delle udienze in camera di consiglio e dibattimentali;

- "l’ordinanza con la quale il giudice escluda la costituzione di parte civile avvenuta direttamente in udienza per violazione della previsione di cui all’art. 111 -bis cod. proc. pen., che prescrive come obbligatorio il deposito telematico degli atti processuali, è abnorme per avere fatto riferimento a una normativa estranea alla situazione processuale da regolare, e quindi tale da risultare "extra-vagante" rispetto al sistema processuale".

28 luglio 2025

❌ATTENZIONE: nuovi termini per presentare la querela❌ Sentenza 123/2025 Corte Costituzionale: dice no alle disparità ingiustificate nella procedibilità dei reati

 


La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. "riforma Cartabia"), in riferimento all’art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza). La disposizione impugnata stabilisce che, per alcuni reati (violenza sessuale, atti persecutori e diffusione illecita di immagini sessualmente espliciti), si continui a procedere d’ufficio anche quando il reato connesso, originariamente procedibile d’ufficio, divenga perseguibile a querela per effetto di una modifica normativa successiva.

Contesto del Caso

  • Fatto: Il Tribunale di Verona ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in un procedimento penale per atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e danneggiamento aggravato (art. 635 c.p.). La persona offesa aveva rimesso la querela, ma l’applicazione dell’art. 85, comma 2-ter, impediva l’estinzione del reato per sopravvenuta remissione, mantenendo la procedibilità d’ufficio.

  • Norma impugnata: L’art. 85, comma 2-ter, prevede che i reati di cui agli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter c.p. restino procedibili d’ufficio se connessi a un reato divenuto perseguibile a querela per effetto della riforma Cartabia o del decreto correttivo (d.lgs. n. 31/2024).

Argomenti del Rimettente (Tribunale di Verona)

  1. Violazione del principio di retroattività della legge più favorevole (lex mitior):

    • La disposizione impedisce l’applicazione di un regime più favorevole (procedibilità a querela) introdotto successivamente, senza giustificazioni ragionevoli.

    • Contrasta con l’art. 3 Cost., poiché crea un trattamento diseguale tra casi omogenei.

  2. Disparità di trattamento:

    • La norma opera solo per i reati connessi a delitti modificati dal decreto correttivo (d.lgs. n. 31/2024), ma non per quelli modificati dalla riforma Cartabia, creando un’ingiustificata differenza.

Difesa dello Stato (Avvocatura Generale)

  • La deroga al principio di retroattività è giustificata dalla tutela delle vittime vulnerabili, evitando loro di doversi "esporre" a querela a distanza di tempo.

  • La disparità di trattamento è inesistente, poiché i reati connessi sono diversi (danneggiamento vs. altri reati).

Decisione della Corte Costituzionale

  1. Natura della disposizione:

    • La norma ha carattere derogatorio rispetto al principio di retroattività della lex mitior, poiché blocca l’applicazione di un regime più favorevole.

  2. Violazione dell’art. 3 Cost.:

    • La deroga non è giustificata da esigenze costituzionalmente rilevanti. La tutela delle vittime non è sufficiente, poiché:

      • Nel caso di atti persecutori, la vittima può già rimuovere la querela anche a processo avviato.

      • La procedibilità d’ufficio forzata può ledere la riservatezza della vittima, costretta a partecipare al processo.

    • La disparità di trattamento tra reati connessi a diversi decreti è irragionevole.

  3. Rimedio:

    • La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2-ter, nella parte in cui si applica al reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) connesso a danneggiamento (art. 635 c.p.).

    • Stabilisce che i termini per la querela decorrano dalla pubblicazione della sentenza in G.U.



Schema Riepilogativo

AspettoDescrizione
Norma impugnataArt. 85, comma 2-ter, d.lgs. n. 150/2022 (riforma Cartabia).
Parametro costituzionaleArt. 3 Cost. (uguaglianza e ragionevolezza).
ContestoProcedimento penale per atti persecutori e danneggiamento; querela rimessa.
ProblemaLa norma blocca l’applicazione della procedibilità a querela per reati connessi.
Argomenti pro illegittimità1. Deroga ingiustificata alla lex mitior.
2. Disparità di trattamento.
Difesa dello StatoTutela delle vittime vulnerabili.
Decisione CorteIllegittimità costituzionale: la deroga non è ragionevole e viola l’art. 3.
EffettiDecorrenza dei termini per querela dalla pubblicazione della sentenza.

Punti Chiave

  • La Corte ribadisce che le modifiche al regime di procedibilità sono soggette al principio di retroattività della lex mitior.

  • La deroga al principio deve essere giustificata da esigenze costituzionali, assenti in questo caso.

  • La sentenza favorisce l’imputato e la vittima, consentendo l’estinzione del reato per remissione di querela.

25 luglio 2025

La richiesta cautelare può anche non richiamare gli atti su cui si fonda

 

Il Giudice per le indagini preliminari, a fronte di una istanza di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero, richiedeva una integrazione istruttoria. Il pubblico ministero  depositava quindi una elencazione di atti integrativi, trasmessi al GIP con l'indicazione sommaria dei motivi per cui i suddetti atti erano da intendersi quali riscontri all’ipotesi accusatoria. 

Il Giudice per le indagini preliminari respingeva la richiesta di misura cautelare, ritenendo che la mera allegazione di attività istruttoria non richiamata nella richiesta di misura cautelare, rimasta immutata, non consentisse di poter vagliare la gravità indiziaria.   

Il Tribunale per il riesame riformava il provvedimento

L'imputato interponeva ricorso, ma la Corte di legittimità ha precisato che l’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che le misure cautelari personali sono disposte su richiesta del pubblico ministero, «che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda». La norma- ad avviso dei giudici della nomofilachia- non richiede la trascrizione del materiale investigativo nella richiesta di misura ma l’indicazione degli elementi di indagine che fondano la sussistenza del fumus commissi delicti, desumibili dagli atti di indagine compiuti e allegati alla richiesta. Infatti, la domanda cautelare deve essere qualificata dall'allegazione degli atti su cui si fonda, ma può anche non essere connotata da una specifica e puntuale motivazione, che invece è oggetto di obbligo per il giudice chiamato a provvedere sulla domanda stessa (Sez. F, n. 34201 del 25/08/2009, Trovato, Rv. 244905). Quindi, hanno concluso i giudici della Corte di Cassazione, la deduzione difensiva secondo cui, per rendere gli atti allegati alla richiesta di misura utilizzabili, sarebbe stato necessario esplicitamente richiamarli era manifestamente infondata e su di essa il Tribunale per il riesame non aveva l‘obbligo di motivare (sentenza al link)

24 luglio 2025

Patteggiamento reati contro la p.a. - restituzione prezzo o profitto del reato- come procedervi

La sesta sezione di legittimità ha offerto utili delucidazioni in ordine alla condizione di procedibilità del patteggiamento, in tema di delitti contro la p.a., come prevista dall'art. 444-comma 1-ter cod. proc. pen.. Al riguardo la Corte ha ritenuto che <<la restituzione del profitto o del prezzo del reato prevista dall'art. 444-comma 1-ter cod. proc. pen. non va intesa come la retrocessione di quanto ricevuto per commettere il reato allo stesso soggetto da cui è stata ricevuta (come nel caso della corruzione), né come ristoro o riparazione della perdita economica subita dal soggetto danneggiato dalla indebita appropriazione (nel caso del peculato) o dalla vittima dell'abuso costrittivo del pubblico ufficiale (nel caso della concussione), ma come un atto dispositivo di carattere patrimoniale che dia conto della dismissione del vantaggio economico, con la messa a disposizione della somma corrispondente al prezzo o al profitto del reato quale condizione processuale per poter accedere al rito del patteggiamento, affidando poi all'autorità giudiziaria la valutazione della destinazione da dare in concreto a tale offerta >>.

In ogni caso la sentenza ha precisato che la violazione della condizione è denunciabile con ricorso per cassazione dal momento che la pronuncia di merito <<ratifica un accordo illegale, concluso in violazione di una norma processuale stabilita a pena di inammissibilità del rito, vizio deducibile ex art. 606, lett. c), cod. proc. pen., secondo il regime generale delle impugnazioni (fra le tante, Sez. 6, n. 19679 del 27/01/2021, Bove, Rv. 281664)>>. (sentenza al link),

23 luglio 2025

Straniero: Trattenimento amministrativo - Rinvio pregiudiziale alla CGUE

 



Trattenimento amministrativo – Destinatari di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ex art. 14 l. n. 286 del 1998 – Previsione di cui all’art. 3, comma 2, l. n. 14 del 2024 – Possibile ostatività alla sua applicazione del disposto di cui agli artt. 3, 6, 8, 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 – Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Trattenimento amministrativo – Destinatari di provvedimento di espulsione che, condotti una delle aree di cui all’art. 1, par. 1, lett. c), del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, presentino domanda di protezione – Disciplina interna di cui alla legge n. 14 del 2024 che, in ragione del ritenuto carattere strumentale della domanda di protezione, consente di disporre il trattenimento – Possibile ostatività alla sua applicazionese dell’art. 9, par. 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La Prima Sezione Penale ha sottoposto, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti, a norma dell’art. 267 TFUE:

- se la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e, in particolare, gli artt. 3, 6, 8, 15, 16 ostino all’applicazione di una disciplina interna (art. 3, comma 2, della legge 21 febbraio 2024, n. 14) che consente di condurre nelle aree di cui all'art. 1, par. 1, lett. c), del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati ai sensi dell’art.14, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in assenza di qualunque predeterminata e individuabile prospettiva di rimpatrio;

- in caso di risposta negativa a tale questione, se l’art. 9, par. 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, osti ad un’applicazione della disciplina interna (legge 21 febbraio 2024, n. 14) che consente di disporre, in ragione del ritenuto carattere strumentale della domanda di protezione, il trattenimento, in una delle aree di cui all’art. 1, par. 1, lett. c), del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, del migrante destinatario di provvedimento di espulsione, che, condotto in queste ultime, abbia presentato tale domanda.

La sentenza al link

22 luglio 2025

Il sequestro e il Velo del Custode. Miti giuridici e nebbie ermeneutiche nella decisione Cass., Sez. VI, 1° aprile 2025, n. 13585- di Guido Todaro

Abstract

La pronuncia della Corte di Cassazione n. 13585/2025 solleva rilevanti interrogativi sul controllo giudiziale in materia di sequestro probatorio disposto dal pubblico ministero, alla luce della direttiva 2016/680/UE e del principio di proporzionalità. Il commento, pur mantenendo una impostazione tecnico-giuridica, ricorre a immagini tratte dalla mitologia celtica, da suggestioni della letteratura russa e americana, e dal pensiero di Franco Cordero per evidenziare il carattere iniziatico e simbolico del conflitto, mai sopito, tra potere investigativo e garanzie difensive.

Sommario: 1.Il principio oltre la norma: proporzionalità e custodia. - 2. Il P.M. come Custode (im)proprio: il rischio del doppio ruolo. - 3. La nullità “a geometria variabile” e la nebbia del processo. - 4. Il principio di legalità come pietra sacra. - 5. La voce del Nuovo Mondo e l’eco di Cordero. - 6. Conclusione. Senza il Custode, resta solo la nebbia.

1. Il principio oltre la norma: proporzionalità e custodia

Nel cuore delle Costituzioni moderne, accanto alle norme scritte, dimora un principio che agisce come antico spirito protettore del diritto vivente: la proporzionalità. In epoche remote, i druidi scolpivano nella parola tramandata il compito di bilanciare il caos e l’ordine: oggi, la stessa funzione è assolta da tale principio, che non è solo strumento di misura, ma forza simbolica di armonia tra libertà e necessità.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la decisione C.G. c. Bezirkshauptmannschaft Landeck (Grande Sezione, 4 ottobre 2024, C-548/21), ha riaffermato che ogni ingerenza nei diritti fondamentali dev’essere necessaria, proporzionata e fondata su norme accessibili, chiare e prevedibili. Ciò vale a maggior ragione in materia di accesso a dati personali custoditi nei dispositivi digitali che rappresentano, a ben guardare, i nuovi calderoni dell’identità personale: scrigni che contengono ciò che un tempo apparteneva solo all’anima.


2. Il P.M. come Custode (im)proprio: il rischio del doppio ruolo

Nel caso esaminato, un decreto di sequestro probatorio e di corrispondenza viene disposto dal pubblico ministero senza previo controllo giudiziario. L’eccezione difensiva sollevata — fondata sulla direttiva 2016/680/UE e sul d.lgs. n. 51 del 18 maggio 2018 — richiama il principio secondo cui solo un giudice o un’autorità amministrativa indipendente può autorizzare l’accesso a tali dati: principio recentemente rimarcato dalla Corte di Lussemburgo con la decisione del 4 ottobre 2024, C-548/21, già richiamata.

Nella tradizione celtica, il Custode del Cerchio Sacro non è mai colui che varca la soglia, ma colui che ne veglia l’accesso. Identificare il pubblico ministero con l’autorità indipendente significherebbe confondere il druido con l’invasore, il guardiano con il desideroso di penetrare la sfera. Una sovrapposizione che, se legittimata, genera un corto circuito arcaico, quasi ancestrale: l’unità tra il controllato e il controllore, come nei sogni inquieti di Dostoevskij, dove bene e male abitano la stessa coscienza.

Fortunatamente, la Corte Suprema prende le distanze da questa visione: l’assenza di terzietà del pubblico ministero preclude, in radice, l’effettività del controllo sul trattamento dei dati personali (superando così un recente arresto della medesima Corte: Cass., Sez. V, 28 gennaio 2025, n. 8376, non mass.). 


3. La nullità “a geometria variabile” e la nebbia del processo

Pur riconoscendo la violazione del diritto eurounitario, essendo necessario l'intervento di un Giudice, la Corte ritiene che il vizio non sia declinabile nei termini di un'inutilizzabilità probatoria -  poiché è compito del diritto nazionale, e non di quello dell'Unione, stabilire le regole relative all’ammissibilità e alla valutazione delle prove (Corte giust. UE, 20 aprile 2024, causa C-670/22, EncroChat) –ma di una mera nullità e, soprattutto, che sia stato “assorbito” dalla successiva verifica giurisdizionale del Tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 324 c.p.p. 

Nasce così una nullità condizionata, variabile, contestuale. È il trionfo della logica floue: non esiste una regola binaria, ma una valutazione olistica che guarda all’intero procedimento, come se si potesse, ex post, ridisegnare il cerchio sacro attorno al fuoco del diritto violato.

Nel pensiero di Tolstoj, la legge scritta è cosa morta se non corrisponde al sentimento di giustizia. Ma questa giustizia, se sganciata dalla norma, rischia di diventare arbitrio vestito da saggezza. 

La sentenza in commento, pur animata da un lodevole sforzo di armonizzazione tra diritto interno ed europeo, sembra smarrire il punto essenziale: i diritti fondamentali non possono essere oggetto di bilanciamenti o di sanatorie implicite.

Ci si avvicina, così, pericolosamente, a quella zona in cui — per dirla con Bulgakov — «Mai chiedere nulla, mai e per nessuna ragione, soprattutto a quelli che sono più forti di te. Ti toglieranno tutto e non ti daranno mai nulla» (Il Maestro e Margherita).

È il monito amaro che attraversa le pagine del romanzo come un presagio: ogni rinuncia al presidio della legalità apre la strada alla discrezionalità dei forti, alla deriva dell’equilibrio processuale come concessione, non come diritto.

In altri termini: l'assenza di un controllo reale sul potere investigativo, che postula ex ante l'intervento del Giudice, espone i soggetti deboli - tali sono per definizione gli indagati/imputati nel processo penale - al dominio degli apparati forti (id est: il potere statuale), esattamente come nel mondo immaginifico e crudele evocato da Bulgakov. 

E così, come accade al signor K. ne Il processo di Franz Kafka, l’individuo si ritrova invischiato in un meccanismo senza volto, dove l’autorità è ovunque ma mai presente, dove la colpa è presupposta e l’assoluzione irraggiungibile, e dove il diritto si consuma nel buio di una macchina che non conosce custodi, ma solo esecutori. Il processo penale rischia così di scivolare dal rito alla fatalità, dal giudizio alla condanna per assenza di forma.


4. Il principio di legalità come pietra sacra

L’art. 111, comma 1, Cost., impone che il processo sia regolato dalla legge: ciò per essere "giusto". Non dal sentimento soggettivo di giustizia. Non da valutazioni compensative. Non dalla necessità di efficienza. La legge è il menhir attorno a cui si forma il rito: spezzarne la forma, significa dissolverne la forza.

Il principio di proporzionalità deve essere inteso come garanzia e non può mai giustificare l’annullamento dei diritti fondamentali: consente la loro limitazione solo in nome di un interesse superiore definito dal Legislatore, non dalla convenienza del Giudice.


5. La voce del Nuovo Mondo e l’eco di Cordero

Nel silenzio solenne che accompagna la giurisprudenza di legittimità, si insinua anche il sussurro della tradizione giuridica americana, dove la giustizia costituzionale ha imparato — a caro prezzo — che le libertà civili non si difendono con strumenti flessibili, ma con regole chiare e review indipendenti. Da Katz v. United States a Carpenter v. United States, il principio di “judicial authorization” è condizione imprescindibile per l’accesso investigativo a dati sensibili.

Ma come avrebbe ricordato Franco Cordero, il processo penale non è un meccanismo, ma un rito drammatico e razionale, carico di tensione simbolica. La legalità processuale è un ordito simbolico e tecnico: ogni deroga può alterare l’equilibrio profondo del processo. Nei suoi scritti, il processo è scena, verità e mito. E come nei grandi giuristi americani — Jerome Frank, Benjamin Cardozo — il diritto non è solo regola, ma forma e rito, e la giustizia si misura nel rispetto delle condizioni formali che permettono al conflitto di svolgersi nel cerchio sacro della Costituzione.


6. Conclusione. Senza il Custode, resta solo la nebbia

La pronuncia commentata nasce da e con nobili ideali - postulare l'intervento del Giudice ove si tratti di disporre il sequestro di dispositivi informatici - ma mostra un inquietante scivolamento verso un pragmatismo processuale, che in luogo del diritto rituale propone un diritto adattabile e pseudo-efficientista. 

Un sistema penale che cede all’equilibrio percepito, rinunciando ai presìdi della legalità, rischia di diventare una foresta senza sentieri, dove le parole perdono la loro forza sacrale.

Come insegnano i racconti druidici, i romanzi di Dostoevskij e le Corti americane, senza il Custode non vi è rito, senza regola non vi è giustizia, senza misura non vi è verità.

(Pronuncia n. 13585/2025 al link)

(*) Guido Todaro: Avvocato del Foro di Bologna, Cassazionista, Specialista in Diritto Penale, è Dottore di Ricerca in Diritto e Processo Penale presso l’Università di Bologna, nonché Professore a contratto di Procedura Penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali afferente alla medesima Università.
È componente del Comitato di Gestione della Scuola Territoriale della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”, nonché membro della Redazione della Rivista Cassazione penale e Caporedattore della Rivista La Giustizia Penale.
È Autore di oltre 60 pubblicazioni in riviste scientifiche, nonché coautore del libro “La difesa nel procedimento cautelare personale”, Giuffrè, 2012, e con-curatore del Volume “Custodia cautelare e sovraffollamento carcerario”, Studi Urbinati, v. 65, n. 1, 2014.

 

21 luglio 2025

Corruzione propria non basta la prova della dazione

La Suprema Corte ha rammentato che <<il reato di corruzione propria presuppone che sussista un rapporto sinallagmatico tra il compimento dell'atto d'ufficio e la promessa o ricezione di un'utilità, la cui dazione deve rappresentare l'adempimento del patto corruttivo» (così, Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023, dep. 2024, Saguto, Rv. 286376 – 07; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 6, n. 14027 del 13/02/2024, Greco, Rv. 286373 – 01; Sez. 6, n. 3765 del 09/12/2020, dep. 2021, Mazzarella Rv. 281144 – 01; Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 – 05; Sez. 6, n. 39008 del 06/05/2016, Biagi, Rv. 268088 – 01).(sentenza al link)

18 luglio 2025

Stewart addetto alla verifica dei biglietti di accesso ad eventi sportivi – Qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio – Esclusione – Ragioni – Fattispecie.

 



La Sesta Sezione penale, in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, ha affermato che non può riconoscersi la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio allo stewart addetto al controllo dei biglietti di accesso ad eventi sportivi, deponendo in tal senso sia il tipo di attività svolta dal predetto, non caratterizzata dalla possibilità di adottare atti conformativi nei confronti dei soggetti controllati, sia l’espressa estensione nei suoi confronti della tutela penale prevista, con riguardo a specifici reati, per i pubblici agenti. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione di condanna, per il delitto di corruzione propria, di uno stewart preposto al controllo dei biglietti di accesso ad una partita di calcio, che, in cambio di una somma di danaro, aveva consentito di accedere all’evento tre soggetti privi dei relativi biglietti).


17 luglio 2025

Straniero e traduzione degli atti: la decisione delle sezioni unite (informazione provvisoria)

 




La questione rimessa alle sezioni unite:

Se il decreto di citazione per il giudizio di appello debba essere tradotto in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana.

Se la sentenza debba essere tradotta in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana.

Se la mancata traduzione del decreto di citazione per il giudizio di appello e della sentenza in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana integrino una nullità generale a regime intermedio.

Decisione (informazione provvisoria)


Prima questione: soluzione affermativa.

Seconda questione: soluzione affermativa.

Terza questione: la mancata traduzione del decreto di citazione per il giudizio d'appello in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporta la nullità generale a regime intermedio dello stesso ove riguardante le indicazioni di cui al combinato disposto degli artt. 601, comma 6, e 429, comma 1, lett. f), cod. proc. pen.
La mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporta la nullità generale a regime intermedio della "sentenza-documento" con conseguente rinvio al giudice del grado precedente per la traduzione stessa.

16 luglio 2025

Ventilatore in carcere? E chi paga l'energia elettrica?

In questi giorni abbiamo letto della meritevole iniziativa dei colleghi bolognesi di donare alcune decine di ventilatori ai ristretti della struttura detentiva felsinea. Evidente che per chi sconta una pena detentiva in estate, peraltro in condizioni di sovraffollamento del carcere, si tratti di un vero dono. Tuttavia abbiamo appreso, con sgomento, che i detenuti per fruire dei ventilatori dovranno far fronte alla spese dell'energia elettrica, calcolate in modo forfettario

Forse basterebbe poco per cercare di attenuare l'inferno detentivo.   

15 luglio 2025

Esclusione dell'aggravante mafiosa: la decisione delle Sezioni Unite (info provvisoria)

 






Questione penale Decisa del ricorso R.G. n. 2878/2025 ud. 26/06/2025
3-bis - Ordinanza di rimessione: 11592/2025

Era stata deferita allo scrutinio delle sezioni unite la seguente questione:

Se l'esclusione, nell'ambito di una procedura cautelare, della gravità indiziaria in ordine ai reati o alle circostanze aggravanti ricompresi nel catalogo di cui all'art. 51, commi 3-bis, 3-quater, 3-quinquies cod. proc. pen. determini l'incompetenza del giudice per le indagini preliminari distrettuale ex art. 328, comma 1-bis, cod. proc. pen.


Decisione
Negativa.


14 luglio 2025

Brevi riflessioni sulla traccia di diritto penale estratta al concorso di magistratura - di Gianluca Prosperini (*)

 



Ci eravamo già più volte occupati della vexata quaestio (linklink, link, link, link).

Il tema è stato oggetto dell'ultima prova di diritto penale al concorso in magistratura.

Affidiamo il commento a Gianluca Porsperini, magistrato in tirocinio, che si era già occupato, da avvocato, della questione per il blog (al link).

Peraltro, sul tema, avevamo segnalato un recente arresto delle SSUU (link) in tema di raccolta del risparmio per "bancoposta".

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Preliminarmente occorre dare atto della nozione di attività amministrativa contemplata dai delitti contro la pubblica amministrazione.

Il diritto penale, appunto, accoglie un’accezione più ampia di attività amministrativa, considerando tale non soltanto l’attività di amministrazione attiva, ma anche l’attività legislativa, l’attività giurisdizionale e più in generale tutto ciò che concerne l’esercizio di uno dei poteri dello Stato.

Non a un caso, infatti, i maggiori fenomeni corruttivi riscontrati negli ultimi decenni si sono manifestati in riferimento a soggetti investiti dell’esercizio del potere legislativo.

Ciò premesso, al fine di individuare ciò che costituisce esercizio di attività amministrativa rilevante per l’imputazione penalistica, secondo la giurisprudenza prevalente può definirsi pubblica funzione soltanto quell’attività esercitata sulla scorta di una previsione di legge o di atti autoritativi che disciplinano l’esercizio della funzione, essendo necessaria una legittimazione di natura pubblicistica tale da giustificare l’esercizio di un pubblico potere, non rientrando, invece, nel concetto di attività amministrativa quella svolta in assenza di un’investitura rilevante per il diritto pubblico.

Orbene, la giurisprudenza più recente si è allontanata da una concezione soggettiva di attività amministrativa che considerava tale tutta l’attività – a qualsiasi titolo – svolta dai soggetti che fossero stati formalmente investiti di pubbliche funzioni.

La concezione oggi dominante è quella oggettiva-funzionale alla luce della quale, premesso che l’attività amministrativa deve comunque trovare una giustificazione in una norma di legge o un atto autoritativo, un soggetto può trovarsi a svolgere attività amministrativa solo a certi fini rilevanti per il diritto pubblico, restando nell’alveo del diritto privato l’attività posta in essere da colui che – seppur investito di prerogative pubblicistiche – non ha una rilevanza di natura pubblicistica.

Recentemente anche la giurisprudenza amministrativa, con riferimento agli enti pubblici, ha accolto il concetto di ente pubblico “a geometria variabile” alla luce del quale una persona giuridica può essere considerata di diritto pubblico solo a certi fini, nello specifico quando svolge determinate attività di natura pubblicistica, rimanendo il resto dell’attività disciplinata dal diritto privato.

Infine, in ordine alla distinzione tra le qualifiche di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio – contemplate dagli artt. 357 e 358 c.p. – occorre rilevare che il discrimen tra le due figure è di natura quantitativa, non qualitativa, alla luce dei più ampi poteri di cui è investito il pubblico ufficiale, il quale può adottare atti autoritativi, deliberativi e certificativi, poteri dei quali è privo il l’incaricato di pubblico servizio.

Orbene, alla luce di quanto esposto e accogliendo una concezione funzionale-oggettiva di attività amministrativa, un soggetto può essere considerato incaricato di pubblico servizio quando, seppur in assenza di un’investitura formale e senza l’adozione di atti autoritativi, deliberativi o certificativi, nello svolgimento di una determinata attività, risulta destinatario di obblighi di natura pubblicistica regolamentati da norme di legge o atti autoritativi.

La sussistenza della qualifica soggettiva è indispensabile ai fini della configurabilità del reato di peculato di cui all’art. 314 c.p., fattispecie incriminatrice che costituisce un reato proprio non esclusivo che viene ad esistenza nel solo caso in cui il soggetto attivo riveste la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

Il peculato, inoltre, è un delitto posto a tutela del buon andamento, dell’imparzialità e del patrimonio della pubblica amministrazione, considerato dalla giurisprudenza prevalente un reato plurioffensivo alternativo (o mono offensivo eventuale), configurabile, quindi, anche in caso di lesione ad uno soltanto dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice, essendo quest’ultimi tutti riconducibili alla titolarità della pubblica amministrazione (la fattispecie, appunto, è posta a presidio di tutte le offese suscettibili di essere cagionate alla p.a.).

Recentemente la questione relativa alla configurabilità del reato di peculato da parte dell’incaricato di pubblico servizio è stata oggetto di diversi interventi normativi e giurisprudenziali in riferimento alla vicenda dell’omesso versamento delle imposte di soggiorno da parte dell’albergatore.

Con la vigenza dell’assetto normativo previgente al decreto rilancio l’albergatore era considerato un agente della riscossione, soggetto qualificato riconducibile alla categoria dell’incaricato di pubblico servizio di cui all’art. 358 c.p. e, in quanto tale, suscettibile di commettere il reato di peculato per via del mancato versamento delle imposte di soggiorno.

A seguito dell’entrata in vigore del decreto rilancio (d.l. 34/2020 convertito in legge 77 del 2020) l’albergatore è oggi qualificato come mero incaricato della riscossione, privo quindi della qualifica di incaricato di pubblico servizio necessaria ai fini della sussistenza del reato di peculato.

Sul punto, quindi, si è posta una questione di diritto intertemporale chiedendosi se, ai fatti pregressi al decreto rilancio, possa essere applicato il principio di retroattività favorevole contemplato dall’art. 2 c.p.

Secondo la giurisprudenza prevalente (v. Cass. Pen. SSUU Magera 2007 e Cass. Pen 36317/2020) una modifica mediata come quella oggetto di analisi non è suscettibile di configurare una abolitio criminis, trattandosi di una modifica su una norma richiamata dall’elemento normativo della fattispecie incriminatrice (nello specifico l’elemento normativa riguarda la qualifica soggettiva richiesta dal reato di peculato).

Orbene, essendo l’elemento normativo a dare completa disvalenza penale al fatto tipizzato dalla norma incriminatrice, la modifica mediata deve considerarsi inidonea a integrare il precetto penale già compiutamente tipizzato dalla fattispecie di reato, costituendo l’intervento legislativo una mera esclusione degli albergatori dalla categoria in oggetto dettata da ragioni di opportunità e inidonea ad alterare la struttura della fattispecie incriminatrice.

Secondo un orientamento minoritario che, tuttavia, ha riscosso discreto successo nella giurisprudenza di merito, la modifica mediata, nonostante riguardi una norma richiamata dall’elemento normativo, deve considerarsi idonea a configurare una abolitio criminis con la conseguente applicazione del principio di retroattività favorevole.

Questo secondo filone interpretativo valorizza la “teoria del fatto concreto” basandosi su una lettura sistematica dell’art. 2 c.p. alla luce della quale non è un caso che il legislatore utilizzi la parola “fatto” sia al primo che al secondo comma della norma in questione, poiché, lo stesso legislatore nel 1930, redige il codice penale sposando pienamente l’idea del diritto penale del fatto.

Secondo questo filone interpretativo, essendo cambiata la reazione dell’ordinamento giuridico dinnanzi ad un medesimo fatto materiale, non ci sarebbe motivo per escludere l’applicazione del principio di retroattività favorevole (per approfondire v. “G. Prosperini, L’omesso versamento delle imposte di soggiorno dopo il decreto rilancio. Questioni di diritto intertemporale – in foro & giurisprudenza CPTP”).

La questione degli albergatori, in ogni caso, è stata successivamente risolta da una legge di interpretazione autentica che ha optato per l’efficacia retroattiva della modifica introdotta dal decreto rilancio.

Ebbene occorre precisare che laddove una modifica mediata dovesse essere considerata idonea a configurare una abolitio criminis, in virtù del principio di retroattività favorevole, questa è idonea a travolgere il giudicato con la conseguente possibilità di chiedere la revoca della sentenza di condanna per un fatto che, all’esito della novità normativa, non costituisce più reato.

Viceversa, nel caso di overruling favorevole, fermo restando che il giudice possa decidere di adeguarsi al mutamento giurisprudenziale in riferimento ai processi pendenti, deve escludersi la possibilità di sottrarre disvalenza ai fatti coperti da una sentenza passata in giudicato, costituendo l’overruling favorevole una nuova lettura interpretativa della norma che, in quanto tale, non costituendo una modifica normativa, risulta inidonea a configurare una abolitio criminis.





(*) Gianluca Prosperini

nato a Erice il 10 ottobre 1990. Magistrato Ordinario, già Avvocato del foro Trapani.

Consegue la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Palermo nell'anno accademico 2015/2016 con la votazione di 108/110, discutendo una tesi interdisciplinare in Diritto Penale e Filosofia del Diritto dal titolo “La rilevanza penale dell’eutanasia. Tra elaborazioni filosofiche e soluzioni giurisprudenziali nazionali ed europee”.

Ottiene l'abilitazione alla professione forense nella sessione 2018 presso la Corte di Appello di Palermo.

È vincitore del concorso di Magistratura Ordinaria - indetto con d. m. 18/10/2022 - con la votazione di 131/160 (36/60 agli scritti, 95/100 agli orali) risultando 57° su 360 vincitori nella graduatoria di merito.

Durante la professione di avvocato (esercitata dal 2019 al 2024) ha collaborato con le riviste giuridiche online “Salvis Juribus – fatti salvi i diritti.” e “Foro e Giurisprudenza CPTP”.

Attualmente è M.O.T. presso il Tribunale di Palermo (nominato con d.m. 04/04/2025.)






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