04 febbraio 2025

LA PROCURA EUROPEA: QUESTIONI APPLICATIVE E GARANZIE DIFENSIVE 6 febbraio 2025, ore 9:50 Polo Universitario di Trapani, Aula Magna "G. Tranchina"

 


Decorrenza del termine per impugnare per il PG.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso di un Procuratore generale distrettuale avverso l'ordinanza di inammissibilità, pronunciata dalla Corte di appello di Bologna, con cui era stata rilevata l'intempestività dell'appello della parte pubblica. Nel caso di specie i giudici distrettuali avevano computato il termine dal giorno del deposito della sentenza di primo grado, tuttavia la Corte di legittimità ha osservato che <<il termine per la proposizione dell'appello avverso la sentenza di primo grado decorre, per il Procuratore generale distrettuale, non dalla scadenza del termine per il deposito della motivazione (come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello), ma "dal giorno in cui è stata eseguita la comunicazione dell'avviso di deposito con l'estratto del provvedimento", ai sensi dell'art. 585, comma 2, lett. d), cod. proc. pen.>>.

03 febbraio 2025

E'possibile ricusare il giudice della prevenzione, ma va esattamente colto il perimetro dell'istituto.

 

La quinta sezione della Corte di legittimità ha rammentato come <<attesa la natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione e la sua incidenza su diritti di rilievo costituzionale, che impone l'osservanza delle garanzie del giusto processo, tra le quali rilievo primario va riconosciuto all'imparzialità del giudice, ad esso è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall'art. 37, comma 1, cod. proc. pen. - come risultante a seguito dell'intervento additivo effettuato dalla Corte costituzionale con sent. n. 283 del 2000 - nel caso in cui il giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale (Sez. U, n. 25951 del 24/02/2022, Lapelosa, Rv. 283350 - 01)>>. 

Ciò posto, <<ai fini della verifica dell'esistenza di una situazione pregiudicante, è... necessario accertare se nel precedente provvedimento, che si assume pregiudicante, il giudice abbia operato valutazioni di merito in ordine alla medesima posizione soggettiva oggetto del procedimento successivo. Tale accertamento deve essere effettuato non solo attraverso un raffronto fra le imputazioni, «ma anche e innanzi tutto esaminando le affermazioni, con rilievo decisorio, fatte dal giudice ricusato negli atti del giudizio dedotto come pregiudicante», essendo necessario stabilire se nella motivazione della relativa sentenza siano state espresse «valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del soggetto sottoposto a giudizio che siano idonee a costituire una concreta manifestazione della situazione di oggettiva prevenzione in cui è venuto a trovarsi il medesimo giudicante rispetto al nuovo giudizio che egli è chiamato a rendere» (Sez. 1, n. 32004 del 30/10/2020, Fazzalari, non massimata)>> (provvedimento al link).

31 gennaio 2025

"Favorevoli e contrari, hanno tutti ragione. E allora, uniamoci tutti!". Una proposta semiseria sulla separazione delle carriere. Di Guido Todaro*


Questo scritto vuole essere un intervento divertito e - si spera - divertente sul tema della separazione delle carriere.
Scriverne in modo serio è infatti esercizio ozioso e pericoloso: ozioso perché ne hanno scritto e detto tutti; pericoloso perché, ove si prenda posizione, il rischio è di sembrare partigiano, tifoso di una delle due "squadre" che, a suon di argomenti tecnici e politici, si contendono il campo.
 E allora, ecco l'idea: parlarne in modo scherzoso.
Si potrebbe obiettare che le facezie mal si addicono a una tematica così importante ove campeggiano la Costituzione, valori di civiltà democratica, la conformazione del processo penale, l'equilibrio di poteri, il benessere dei cittadini.
Ma, si sa, il confine tra serio e faceto è spesso labile: come ammoniva il marchese del Grillo, "quando si scherza, bisogna essere seri". Senza dimenticare Winston Churchill: "gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre".
Proviamo dunque ad abbozzare, per burla, una proposta originale: al più, per dirla con Sanial-Dubay, "chi cerca di parere originale, se non sempre vi riesce, è sicuro per lo meno di riuscire ridicolo", obiettivo programmatico di queste righe.

Così, mentre viene approvato dalla Camera dei deputati il 16 gennaio 2025, in sede di prima deliberazione, il testo della legge costituzionale contenente "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare", mentre le toghe requirenti e giudicanti, ad onta della ventilata separazione, sfilano insieme in segno di protesta durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario sotto l'egida dell'ANM, mentre l'Unione delle Camere penali a suon di pamphlet stigmatizza la presa di posizione dei magistrati, mentre l'art. 111 Cost. è richiamato come un mantra da ambo i lati, mentre il magistero di Giovanni Falcone viene scandagliato in profondità per cercarne conferme o smentite, sorge un dubbio: e se avessero tutti ragione?

Chi vuole la separazione, ha argomenti forti, con radici robuste, che sembrano affondare, in effetti, nella legge fondamentale e nel modello accusatorio che caratterizza - almeno nelle sue linee essenziali - il nostro sistema processuale: ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale.
 La comune carriera di pubblici ministeri e giudici, l'essere altro dall'avvocato, sembra contraddire l'assunto: pubblici ministeri e giudici non sono uguali, ma sono più uguali di quanto non siano giudici e avvocati.
L'idea che un giudice possa acriticamente avallare l'iniziativa dell'organo requirente è strisciante: "non è vero, ma ci credo", per riprendere una nota commedia del Teatro Napoletano.
D'altra parte, è chiaro che l'equidistanza del giudice, riflesso di imparzialità, appare meglio assicurata se vi fosse uno iato secco tra organo giurisdizionale e attore istituzionale.
Un giudice, già in passato pubblico ministero, potrebbe essere portato a ricercare nel dibattimento prove, piste investigative, elementi d'accusa.
Un pubblico ministero, già giudice, potrebbe essere portato a pensare che gli atti d'indagine preliminare, tutti da verificare nel dibattimento nella dialettica tra le parti, siano già prove certe, che non ammettono repliche, e che la richiesta di rinvio a giudizio sia una sentenza.

Chi è contro la riforma e vuole mantenere l'attuale assetto, vanta argomenti altrettanto forti: separare le carriere non ha senso, si rischia di allontanare il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione, trasformandolo in un super poliziotto. Peggio: si indebolisce la magistratura, finendo col porre le premesse del controllo del pubblico accusatore da parte dell'esecutivo, incrinando l'equilibrio dei poteri e annacquandone l'indipendenza. Una involuzione della giustizia, insomma.

Per la verità, l'attuale riforma preserva l'indipendenza: in nuce, si rimarca che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, solo specificandosi che “è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente” (art. 3 del d.d.l., che sostituisce l’art. 104, co. 1, Cost.).
Nell’art. 107, co. 3 Cost., si introduce il principio delle “distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti”, la cui concreta declinazione risulta demandata alla legge ordinaria sia con riguardo alla disciplina del concorso (un unico concorso o due diversi?) sia in ordine alla competenza per la formazione dei magistrati (un’unica Scuola Superiore della Magistratura o due?).
Infine, all’unico organo di autogoverno della magistratura, il CSM, succedono tre nuovi organi: due CSM ed un’Alta Corte disciplinare.
Insomma, più che di minorata indipendenza, quest'ultima ne esce forse rafforzata e raddoppiata.

Ma... non è questo il punto.
Abbiamo detto che hanno tutti ragione, giusto?

E allora, volemose bene.
Anziché separare giudici e pubblici ministeri, uniamoci tutti: avvocati, magistrati giudicanti e requirenti in un unico ordine.
Scriviamo in Costituzione che facciamo tutti parte di un unico apparato, servente rispetto a ideali di giustizia.
Scriviamo in Costituzione che siamo tutti indipendenti e, nell'ambito delle rispettive funzioni, perseguiamo la verità e lottiamo per la libertà.
E, in questo utopico disegno, prevediamo un unico accesso, concorso o esame di Stato poco importa: un'unica carriera, quella di giurisperito, in cui si possa liberamente passare dal ruolo di avvocato a quello di giudice o requirente, e viceversa.
Un'unica anima in tre corpi diversi.
Ma, andiamo oltre - dopotutto, è un gioco - prevediamo che, non solo a livello ordinamentale, ma pure nell'ambito dello stesso processo, si possa passare da un ruolo ad un altro. Si pensi ad un pubblico ministero che, ad un certo punto, debba spogliarsi della veste dell'accusa e indossare la toga d'avvocato: forse, le sue granitiche certezze sulla colpevolezza dell'imputato lascerebbero lo spazio a tesi alternative, forse penserebbe che in realtà, tutto sommato, mica sono prove ma solo elementi di mero sospetto, forse l'innocenza gli sembrerebbe non meramente presunta ma certa.
Si pensi ad un avvocato che d'un tratto diventi accusatore: forse l'innocenza sembrerebbe meno importante quale valore da tutelare, forse, tutto sommato, diventerebbe prioritario salvaguardare la collettività e tutelare la vittima del reato, forse gli argomenti della difesa gli sembrerebbero, ora, meri esercizi teorici, suggestiva arte oratoria e nulla più.
E poi, il giudice che diventa avvocato: tutte le eccezioni rigettate a suo tempo, forse, potrebbero apparirgli lesive della funzione difensiva. Forse, il modo di condurre l'esame dei testi, effettuato dal nuovo organo giurisdizionale, fatto di reiterazione di domande, anche suggestive, lo porterebbe a pensare: però, perché a me non è permesso?
E avvocati che divengono giudici...
E così, a seguire, in un gioco di ruoli interscambiabili a cadenze asincrone, governato dal caos o, perché no, da indecifrabili algoritmi dell'intelligenza artificiale.
Del resto, Calamandrei osservava: “bisognerebbe che ogni avvocato, per due mesi all'anno, facesse il giudice; e che ogni giudice, per due mesi all'anno, facesse l'avvocato. Imparerebbero così a comprendersi e a compatirsi e reciprocamente si stimerebbero di più”.
A quel punto, in questa unione e commistione casuale di ruoli, l'imputato anelerebbe solo alcune cose: l'onestà intellettuale e la capacità di tutti gli attori.

E allora, uniamoci tutti, con onestà intellettuale e capacità, separandondoci da chi non coltiva l'onestà e lo studio. Separiamoci dagli incapaci.
Ecco, uniamo i capaci e separiamoli dagli incapaci: forse, saremo tutti d'accordo, e, certamente, così, si migliorerebbe la giustizia.

Ma siamo sicuri che saremo tutti d'accordo?
Forse sulla carta sì, ma vai a capire come decidere chi sia capace e chi non lo sia... ma questa è un'altra storia!

(*) Guido Todaro: Avvocato del Foro di Bologna, Cassazionista, Specialista in Diritto Penale, è Dottore di Ricerca in Diritto e Processo Penale presso l’Università di Bologna, nonché Professore a contratto di Procedura Penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali afferente alla medesima Università.
È componente del Comitato di Gestione della Scuola Territoriale della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”, nonché membro della Redazione della Rivista Cassazione penale e Caporedattore della Rivista La Giustizia Penale.
È Autore di oltre 60 pubblicazioni in riviste scientifiche, nonché coautore del libro “La difesa nel procedimento cautelare personale”, Giuffrè, 2012, e con-curatore del Volume “Custodia cautelare e sovraffollamento carcerario”, Studi Urbinati, v. 65, n. 1, 2014.

 

 

30 gennaio 2025

Sono ancora possibili produzioni e costituzioni analogiche (cartacee) in udienza? La puntuale analisi di Marco D'Agnolo*





Caro Marco, a seguito del DM 27 dicembre 2024, n. 206, alcuni giudici hanno ritenuto che sia venuta meno la possibilità di produrre documenti in udienza e financo quella di costituirsi parte civile in detta sede.  Quale il tuo giudizio al riguardo ?

Caro Daniele, la domanda che mi poni riguarda un tema di importanza cruciale per la fisionomia stessa del processo penale che verrà; tema sul quale il vostro blog ha opportunamente acceso un faro molto tempestivo.

In questi primi giorni dell'anno sono in effetti circolate notizie – preoccupanti per tutti noi avvocati – secondo le quali si sono verificati casi in cui il giudice non ha consentito la costituzione di parte civile in udienza, o la presentazione in udienza di istanze di vario tenore (in specie di definizione alternativa del rito mediante sospensione del processo con messa alla prova), o la produzione in udienza di documenti, ritenendo che a seguito dell'entrata in vigore del d.m. n. 206/2024 tali attività si possano compiere solo tramite deposito telematico ai sensi dell'art. 111 bis c.p.p. Talvolta, sarebbe stato concesso un rinvio per consentire ai difensori di provvedere in questo modo, forse in considerazione della assoluta novità della disciplina (e questo, volendo, lo si può anche apprezzare rispetto all'alternativa di una dichiarazione di inammissibilità sancita seduta stante e irreparabilmente).

Sappiamo anche che al riguardo ci sono state forti prese di posizione contrarie, sia da parte del COA di Napoli – che ha inviato una nota al Ministero della Giustizia per sottolineare come qualsiasi provvedimento ch neghi la possibilità di depositare «atti, memorie e documenti difensivi anche in forma cartacea nel corso delle udienze in camera di consiglio e dibattimentali» si ponga in netto contrasto con il dettato normativo e le disposizioni tecniche emessa dalla DGSIA, e costituisca pertanto una violazione del diritto di difesa –, sia da parte della Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere, che ha proclamato una giornata di astensione per stigmatizzare la prassi adottata dal locale tribunale, dove, pur consentendosi ai difensori la “esibizione” degli atti cartacei al giudice in udienza, si richiede che successivamente gli stessi difensori provvedano anche al deposito telematico. Questa iniziativa della CP di Santa Maria Capua Vetere ha indotto una settimana fa (20/1/2025) il capo del Dipartimento per l'innovazione tecnologica del Ministero della Giustizia, ad emettere una circolare – che il vostro blog ha prontamente segnalato – nella quale, richiamando una precedente circolare operativa della DGSIA (13/1/2025, anch'essa da voi segnalata), si esprime l'opinione che l'attuale quadro normativo non escluda la possibilità che vengano presentati in udienza atti e documenti cartacei, da inserire successivamente nel fascicolo informatico del processo a cura dell'ausiliario che assiste il giudice, previa digitalizzazione. Tale opinione, basata su considerazioni del tutto condivisibili (che attengono al piano del diritto ma non trascurano di evidenziare le difficoltà pratiche che, nel caso in cui si ammettessero solo preventivi depositi telematici, i difensori si troverebbero ad affrontare dal punto di vista della effettività del contraddittorio in udienza, non potendo accedere direttamente al fascicolo informatico), è però circondata da grande cautela, sia perché si prospetta che l'inserimento dell'atto o del documento cartaceo (o come oggi si dice: analogico) nel fascicolo informatico possa avvenire «su ordine del giudice» (come una concessione), sia perché – e non potrebbe essere altrimenti – si precisa che resta «ferma la riserva assoluta in capo all'autorità giudiziaria che procede circa la corretta interpretazione della disciplina processuale».

Il che ci riporta al punto di partenza, vale a dire alle decisioni con cui alcuni giudici non hanno consentito alle parti civili di costituirsi in udienza con dichiarazione cartacea, o al difensore dell'imputato di presentare in udienza un'istanza di rito alternativo in formato cartaceo, o alle parti di produrre in udienza documenti cartacei e chiederne l'acquisizione.

Ora, a me pare che decisioni simili siano alquanto eccentriche, disallineate da un impianto normativo che non autorizza affatto a ritenere che determinate attività di udienza, così come le abbiamo conosciute finora e così come continuano ancora ad essere previste dal codice di rito, abbiano oggi mutato fisionomia e siano vincolate, nel loro compimento, alla disciplina del deposito telematico.

E, leggendo le norme, è molto chiaro che sia così. Tanto che viene quasi da pensare che alle decisioni ostative di cui stiamo discutendo possa non essere estraneo (ricordiamo i gravi malfunzionamenti dell'applicativo APP segnalati da molti tribunali in questo stesso periodo, con provvedimenti dei capi degli uffici di sospensione del suo utilizzo da parte dei “soggetti abilitati interni”) anche l'intento di evitare del lavoro alle cancellerie – a cui competerebbe di digitalizzare gli atti e i documenti presentati o prodotti in formato analogico –, demandando agli avvocati l'incombente di provvedere per via telematica al loro inserimento nel fascicolo (il che, poi, è il principale rilievo critico della delibera di astensione della Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere alla prassi avviata in quel tribunale: grava i difensori di un adempimento proprio dell'ausiliario del giudice).

Ma al di là di ciò, guardando i profili normativi della questione mi pare che, per superare ogni incertezza circa la perdurante possibilità per le parti di presentare e produrre legittimamente al giudice d'udienza atti e documenti cartacei, possa essere utile qualche chiarimento sui termini giuridici che la questione stessa evoca, e sul loro significato tecnico.

Non voglio certo fare considerazioni di lana caprina, né proporre interpretazioni “cabalistiche” del codice di procedura penale, ma pur sempre dal testo del codice bisogna partire se si vuole dipanare la matassa, visto che nel codice le parole assumono una accezione ben precisa, che non può essere assolutamente confusa né col senso generico che possono assumere fuori dall'ambiente giuridico, né col significato spurio con cui possono essere utilizzate nel quotidiano delle aule giudiziarie.

Provo ad andare con ordine.

Punto primo: l'art. 3 del d.m. n. 214/23, come modificato dall'art. 1 del d.m. n. 206/2024 sopra citato, prescrive che a partire dal 1° gennaio 2025 presso Procure e Tribunali (inclusi GIP e GUP), Procura europea e Procure Generali presso le Corti d'appello (limitatamente alla procedura di avocazione) avvenga esclusivamente per via telematica il «deposito di atti, documenti, richieste e memorie» da parte – per quanto qui interessa – dei «soggetti abilitati esterni», ossia difensori e loro consulenti (comma 1).

Tralasciando le deroghe a questa regola, irrilevanti ai fini che ci occupano (sempre per quanto riguarda i “soggetti abilitati esterni”: commi 3, 4 e 9, ennesimo regime transitorio della riforma Cartabia), e volendo, per semplificare il discorso, ridurre la formula normativa ai minimi termini, possiamo dire che oggetto della previsione è il deposito telematico di “atti e documenti”, visto che “atti” è termine di genus che comprende come species anche “richieste” e “memorie” (e ve ne sono altre, di species degli “atti”, che il d.m. n. 206/2024 non menziona). Ovviamente, ad altro genus appartengono invece i “documenti”, che sono i mezzi di prova definiti e disciplinati dagli artt. 234 e ss. c.p.p.

E per concludere questa prima parte del ragionamento, teniamo a mente una norma che suona male e genera confusione di concetti: l'art. 111 ter, comma  3, primo periodo, c.p.p., stando al quale «gli atti e i documenti formati e depositati in forma di documento analogico sono convertiti, senza ritardo, in documento informatico e inseriti nel fascicolo informatico (…) salvo che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possano essere acquisiti o convertiti in copia informatica». Notiamo che, al di là della cacofonia («formati … in forma»), la prima volta il termine “documenti” è usato propriamente, ossia nella accezione di “prove documentali”; la seconda e la terza, no: “documento analogico” e “documento informatico” sono espressioni generiche che alludono al possibile supporto, materiale o immateriale, tanto degli “atti” quanto dei “documenti”.

Punto secondo: nel codice di procedura il termine “deposito” identifica un tipo di attività  ben precisa, che ha come “destinatari” (o “interlocutori”) la segreteria del Pubblico ministero o la cancelleria del Giudice. Ho fatto una breve ricerca con una banca dati e a quanto pare la parola “deposito”, variamente declinata (“deposito”, “depositare”, “depositato/a”, ecc...), ricorre in 103 articoli del codice e in 23 delle disposizioni di attuazione. Salvo sviste, mi pare che in tutte queste norme il “luogo” del “deposito” è espressamente o implicitamente indicato nella segreteria e nella cancelleria, il che connota il deposito come attività che tipicamente si compie fuori udienza; prima di una udienza, dopo un'udienza, in mancanza di una udienza: «... il perito autorizzato … deposita in cancelleria …» (art. 501, comma 1 bis, c.p.p.); «la richiesta di rinvio a giudizio è depositata … nella cancelleria del giudice» (art. 416, comma 1, c.p.p.); «il provvedimento … è depositato in cancelleria al termine dell'udienza» (art. 598 bis, comma 1, c.p.p.); «il fascicolo del pubblico ministero è depositato nella cancelleria del giudice» (art. 447, comma 1, c.p.p.); «il giudice provvede entro il termine di venti giorni dal deposito dell'istanza cautelare presso la cancelleria» (art. 362 bis, comma 3, c.p.p.); «le parti e i difensori possono presentare memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria» (art. 121, comma 1, c.p.p.); «... con dichiarazione … depositata presso la segreteria del pubblico ministero» (art. 464 ter.1, comma 2, c.p.p.); «la documentazione … è immediatamente depositata nella segreteria del pubblico ministero...» (art. 430, comma 2, c.p.p.); «la requisitoria è depositata nella cancelleria della corte d'appello ...» (art. 703, comma 5, c.p.p.); «... depositando in cancelleria copia dell'atto inviato …» (art. 56 disp. att. c.p.p.); «la richiesta è depositata … nella cancelleria del giudice …» (art. 46, comma 1, c.p.p.); «le parti … devono … depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima ...» (art. 468, comma 1, c.p.p.); e così via; per non parlare degli artt. 128, 366, 548, 617 c.p.p.

Ovvio che fuori udienza siano depositabili anche documenti, da soli o allegati ad atti.

Per le attività che si svolgono in udienza il codice di procedura utilizza termini diversi da “deposito”: gli “atti” scritti sono in genere “presentati” al giudice (se orali, sono per lo più “formulati” o “proposti”), mentre i “documenti”, trattandosi di prove, sono “prodotti” e “acquisiti” (anche questi, termini tecnici).

Dunque, in udienza non si fanno “depositi”, ma altro; e se una attività non è un “deposito”, ne consegue che non è soggetta – e non può essere assoggettata – alla disciplina dei “depositi”.

Alcuni esempi possono chiarire ancora meglio il concetto.

A norma dell'art. 78 c.p.p. (citato anche dalla sopra ricordata circolare 20/1/2025 del capo del Dipartimento per l'innovazione tecnologica del Ministero della Giustizia) «la dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza...»; e la costituzione può essere revocata «con dichiarazione fatta ... in udienza, ovvero con atto scritto depositato nella cancelleria del giudice...» (art. 82 c.p.p.); analogamente, l'art. 84 c.p.p. statuisce che la costituzione del responsabile civile si effettua «con dichiarazione depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza»; ancora, ai sensi dell'art. 523, comma 2, c.p.p. in sede di discussione «la parte civile presenta conclusioni scritte».

Quindi, rimanendo al primo di questi esempi, asserire che oggi la costituzione di parte civile in udienza e con atto analogico non è consentita perché il codice prevede che il deposito della relativa dichiarazione sia effettuato solo con modalità telematica e con un atto digitale, ha sul piano logico, prima ancora che normativo, lo stesso grado di fondatezza di una affermazione che ante riforma Cartabia avesse preteso di escludere la costituzione di parte civile in udienza poiché fuori udienza ne era previsto il deposito in cancelleria. Che i depositi oggi si debbano fare solo in via telematica non ha nulla a che vedere con la possibilità di introdurre atti e documenti nel processo anche con le modalità diverse dal deposito che il codice continua a prevedere e disciplinare.

Detto altrimenti, e più in generale, ipotizzare che gli atti e i documenti non possano che avere formato digitale, essendo il loro deposito attualmente consentito solo in via telematica, con la conseguenza di non poterli più introdurre nel processo se non – appunto – in via telematica, è un autentico non senso interpretativo.

Punto terzo: l'espressione “processo penale telematico” non ha alcun valore prescrittivo: il processo penale, in realtà, non è “telematico”. L'espressione – che non si rinviene nel codice di procedura – ha solo una valenza descrittiva di sintesi: sta ad indicare il fatto che oggi sono previsti, da un lato, un sistema di comunicazioni e notificazioni che si effettuano con modalità telematiche, e, dall'altro lato, fascicoli informatici delle indagini e del procedimento nei quali confluiscono, tramite deposito o inserimento telematico, atti e documenti nati digitali, o nati analogici e digitalizzati.

Che gli atti dei fascicoli possano in origine essere anche non immateriali, e quindi essere introdotti anche come tali nel processo, per poi essere inseriti nel fascicolo informatico, lo dicono chiaramente l'art. 110 c.p.p., nonché il sopra citato art. 111 ter, comma  3, c.p.p.

D'altronde, l'art. 2, lett. h), del d.m. n. 44/2011 («Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione») definisce il fascicolo informatico come la «versione informatica del fascicolo d'ufficio, contenente gli atti del processo come documenti informatici, oppure le copie informatiche dei medesimi atti, qualora siano stati depositati su supporto cartaceo, ai sensi del codice dell'amministrazione digitale».

Se così è, nulla della attuale disciplina del “processo penale telematico” autorizza a stravolgere la fisionomia dell'udienza e delle attività che è tutt'ora espressamente previsto vi si compiano, nelle forme loro proprie.

Venendo allora alla conclusione, credo che la si possa riassumere in questi termini: l'attuale disciplina codicistica vieta (con eccezioni) depositi non telematici di atti e documenti, non vieta, invece, atti e documenti non informatici, e che atti e documenti non informatici entrino nel processo con modalità non telematiche.

 

 * Marco D'Agnolo è Avvocato e dottore di ricerca in Teoria generale del processo e comparazione processuale. Rammentiamo le pubblicazioni del collega

1)      Sostituzione d’ufficio e sostituzione «fiduciaria» del difensore tra prassi e modifiche normative, in Giur. it.,  2001, p. 2360 – 2365, (nota a Cass., sez. II, 9 maggio 2000, Pistoia);

2)      Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, 2° edizione, Milano (Ipsoa), 2001, commenti agli artt. 41-45, 46-53, 115, 119 e 201-206 disp. att. c.p.p.;

3)      Le disposizioni relative al giudizio, in Il giudice penale di pace nei regolamenti di attuazione, a cura di A. Scalfati, Padova (Cedam), 2002, p. 43 – 56 (capitolo quarto);

4)      Esecuzione e casellario giudiziale, in Il giudice penale di pace nei regolamenti di attuazione, a cura di A. Scalfati, Padova (Cedam), 2002, p. 57 – 68 (capitolo quinto);

5)      In tema di autodifesa nell’appello de libertate, in Giur. it., 2002, p. 2132 - 2136 (nota a Cass., sez. I, 14 novembre 2001, Schiavone);

6)      Autodifesa e scelte differenziate dinanzi al giudice di pace, in Giust. pen., 2003, III, c. 247 - 252 (nota a Giudice di pace Fano, ord. 31 ottobre 2002: rimessione alla Corte costituzionale per questione di legittimità dell’art. 20 d.lgs n. 274 del 2000);

7)      Diritti del detenuto e intervento giurisdizionale: note sui provvedimenti punitivi, in Giurisdizione di sorveglianza e tutela dei diritti, a cura di A. Scalfati, Padova (Cedam), 2004, p. 109 – 145 (capitolo quarto);

8)      La disciplina processuale della liberazione anticipata, in Giurisdizione di sorveglianza e tutela dei diritti, a cura di A. Scalfati, Padova (Cedam), 2004, p. 185 – 201 (capitolo settimo);

9)      Connivenza e frequentazioni “ambigue” come limiti alla riparazione per l’ingiusta detenzione, in Cass. pen., 2004, p.  2953 – 2962 (nota a Cass., sez. IV, 18 marzo 2003, Cardillo, e Cass., sez. III, 4 febbraio 2003, Maurizzi);

10)  Codice di procedura penale ipertestuale, a cura di A. Gaito, Edizione di aggiornamento (cd-rom), Torino (Utet), 2004, commenti agli artt. 347-357 e 379-391 c.p.p.;

11)  Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, agg. 2° edizione, coordinato da G. Garuti, Milano (Ipsoa), 2005, Libro III, Titolo II e Titolo III, commenti agli artt. da 194 a 271 (p. 258 – 337);

12)  Codice dell’esecuzione penitenziaria, a cura di F. Peroni e A. Scalfati, Milano (Giuffrè), 2006, artt. 146 – 148, 176 – 179, 205, 207, 208, 211 bis, 213 c.p. (p. 527 – 587);

13)  voce Revisione (proc. pen.), in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano (Giuffrè), 2006, vol. V, p. 5176 - 5184;

14)  Novità su detenzione domiciliare e ordine esecutivo, in Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva. Analisi della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (“ex Cirielli”), a cura di A Scalfati, Padova (Cedam), 2006, p. 193 – 223;

15)  Casi e quesiti, in Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio. Legge 20 febbraio 2006, n. 46, “legge Pecorella”, a cura di A. Scalfati, Milano (Ipsoa), 2006, p. 251 – 260;

16)  Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, 3° edizione, Milano (Ipsoa), 2007, commenti agli artt. 516-522 c.p.p., 41-45, 46-53, 115, 119 e 201-206 disp. att. c.p.p.;

17)  voce Correlazione tra accusa e sentenza (dir. proc. pen.), in Il Diritto - Enciclopedia giuridica del Sole24ore, diretta da S. Patti, Milano, 2008, vol. IV, p. 467 - 468;

18)  voce Nuove contestazioni (dir. proc. pen.), in Il Diritto - Enciclopedia giuridica del Sole24ore, diretta da S. Patti, Milano, 2008, vol. X, p. 153 - 156;

19)  Atti della difesa nel processo penale, a cura di A. Scalfati, Torino (Giappichelli), 2009, commenti agli artt. 74–89, 90–95, 516–522, 523–524 e 529–543 c.p.p.;

20)  Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, 4° edizione, Milano (Ipsoa), 2010, commenti agli artt. 41-45, 46-53, 115 e 119 disp. att. c.p.p.;

21)  Gli accertamenti per la tutela dei non abbienti e l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in Il processo penale, dir. da A. Gaito e G. Spangher, La giustizia penale differenziata, vol. III, Gli accertamenti complementari, coord. da M. Montagna, Torino (Giappichelli), 2011, p. 435 – 453;

22)   In tema di effetti preclusivi rebus sic stantibus dell’archiviazione, in Giurisprudenza italiana, 2011, p. 1901 – 1906 (nota a Cass., sez. un., 24 giugno 2010, Giuliani);

23)  Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Gaito, 4° edizione, Torino (Utet), 2012, commenti agli artt. da 379 a 391 c.p.p.;

24)  voce Giudicato (effetti nei procedimenti civili e amministrativi), in Digesto del processo penale, diretto da A. Scalfati, Torino (Giappichelli), 2012;

25)  I lavori di pubblica utilità: un fenomeno non sempre di chiara adozione, in Processo penale e giustizia, 2013, n. 2, p. 89 – 99;

26)  Contestazioni suppletive “fisiologiche” e richiesta di giudizio abbreviato, in Processo penale e giustizia, 2013, n. 3, p. 69 – 76;

27)  Atti della difesa nel processo penale, a cura di A. Scalfati, 2° edizione, Torino (Giappichelli), 2016, commenti agli artt. 74–89, 90–95, 516–522, 523–524 e 529–543 c.p.p.;

28)  Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, 5° edizione, Milano (Ipsoa), 2017, commenti agli artt. 41-45, 46-53, 115 e 119 disp. att. c.p.p.;

29)  Corte costituzionale, nuove contestazioni e riti alternativi: un'evoluzione a canoni progressivamente inversi, in Il Foro Malatestiano, fasc. n. 1/2017;

30)  Spese e sanzione pecuniaria in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso per Cassazione, in La riforma delle impugnazioni penali, a cura di G. Ranaldi, Pisa (Ius Pisa), 2019;

31)  Codice di procedura penale commentato, a cura di G. Spangher, 6° edizione, Milano (Ipsoa), 2023, commenti agli artt. 41-45, 46-53, 115 e 119 disp. att. c.p.p.;

32)  Illegittimità costituzionale degli artt. 268 commi VI e VIII, 269 commi I e II, 270 comma III, c.p.p. e 89 bis disp. att. cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 2, 14 e 15 Cost., di F. Febbo, M. D'Agnolo, A. Turrisi, in Diritto di difesa (www.dirittodidifesa.eu), 1° novembre 2024;

33) I nuovi perimetri dell'appellabilità oggettiva, tra deja vu e dubbi di legittimità costituzionale, di M. D'Agnolo e D. Livreri, in Diritto di difesa 8www.dirittodidifesa.eu), 10 gennaio 2025.

 

 

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