02 dicembre 2025

Pena minima per il delitto di furto in abitazione più severa di quella per le lesioni personali gravi. Il Gip di Siena solleva qlc.

 

Il GIP di Siena, in un caso di furto in abitazione di modestissima rilevanza, ha rilevato che la misura minima della pena detentiva del reato di cui all'art. 624-bis, primo comma, cod. pen., nella parte in cui  sopravanza la pena minima del reato di lesione personale «grave» di cui agli artt. 582 e 583, primo comma, cod. pen., posto a tutela e presidio di un bene di rango costituzionalmente superiore a quelli tutelati dal reato di furto in abitazione, si pone in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione. Inoltre,  sempre in riferimento alla disciplina sanzionatoria del reato di furto in abitazione, il medesimo Giudice ha sollevato ulteriori dubbi di conformità a Costituzione, nella parte in cui risulta omessa la previsione della possibilità, in capo al giudice, di mitigare la sanzione e di "individualizzarla" rispetto alla «gravità» oggettiva e soggettiva del singolo e concreto fatto-reato, là dove l'offensività di quest'ultimo, data la sua lieve entità, non ne giustifichi una punizione così rigida e severa, in ragione del contrasto di tale vulnus normativo con gli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.

In ragione di ciò, il predetto giudice, ha sollevato <<questione di legittimità costituzionale dell'articolo 624-bis, primo comma, del codice penale, come modificato dall'art. 5, comma i, lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa), in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede la pena della reclusione «da quattro a sette anni» anziché «da tre a sette anni»; nonchè <<questione di legittimità costituzionale dell'articolo 624-bis, primo comma, del codice penale, introdotto dall'art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2000, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurea dei cittadini), in riferimento agli articoli 3 e 27, primo e ter'o comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un tero quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità>>(ordinanza al link)


01 dicembre 2025

Bancoposta e raccolta risparmio: è attività a natura pubblicistica! La sentenza e il commento a sezioni unite n. 34036/2025

 



Ci eravamo già occupati della questione, segnalando la pendenza, in due post (al link1 e al link2), e avevamo pubblicato l'informazione provvisoria sulla decisione delle sezioni unite (al link3), che erano chiamate a dare soluzione al seguente quesito:

Se, nell'ambito delle attività di "bancoposta" svolte da Poste Italiane s.p.a., la "raccolta del risparmio postale", ossia la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata per conto della Cassa depositi e prestiti, abbia natura pubblicistica e, in caso positivo, se l'operatore di Poste Italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione di tali prodotti rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

La decisione:

La raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, effettuata da Poste italiane s.p.a. per conto della Cassa depositi e prestiti, ha natura pubblicistica. 

L'operatore di Poste Italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione di tali prodotti riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

Pubblichiamo ora la sentenza al link


Commento (A.I.) alla sentenza

### **Analisi della Questione Giuridica nella Sentenza 36993/2023**


La sentenza delle Sezioni Unite Penali affronta e risolve una fondamentale questione di diritto penale che ha lungamente diviso la giurisprudenza di legittimità: la qualifica soggettiva del dipendente di **Poste Italiane S.p.A.** addetto alla vendita e gestione dei prodotti del **risparmio postale** (libretti di risparmio e buoni fruttiferi postali).


#### **1. Il Cuore del Problema Giuridico**


La questione decisiva era stabilire se tale dipendente, nello svolgimento di queste specifiche mansioni, debba essere considerato un **"incaricato di pubblico servizio"** ai sensi dell'**art. 358 del codice penale**.


La rilevanza di questa qualifica è cruciale per l'imputazione penale:

*   **Se ricorre la qualifica**, la condotta di appropriazione di denaro connessa a tali prodotti integra il reato di **peculato (art. 314 c.p.)**, reato proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, che prevede una pena più severa.

*   **Se non ricorre la qualifica**, la stessa condotta potrebbe configurare, al massimo, un reato comune come l'**appropriazione indebita (art. 646 c.p.)** o la **truffa (art. 640 c.p.)**, con un trattamento sanzionatorio meno grave.


#### **2. Il Contrasto Giurisprudenziale Precedente**


Prima di questa pronuncia, la giurisprudenza della Corte di Cassazione era spaccata in due orientamenti contrapposti.


*   **Orientamento Pubblicistico (Maggioritario)**: Sosteneva che l'attività di raccolta del risparmio postale, per conto della Cassa Depositi e Prestiti (CDP), avesse una **natura pubblicistica**. Si basava su:

    *   La **riserva di legge** che attribuisce in via esclusiva a CDP e Poste Italiane questa attività.

    *   La **finalità pubblica** dei fondi raccolti, destinati al finanziamento di enti locali e investimenti pubblici.

    *   La **garanzia dello Stato** sul rimborso del capitale.

    *   Il **regime fiscale agevolato** e l'esenzione da imposte di successione.

    *   Il **controllo della Corte dei Conti** su CDP e Poste Italiane.

    *   La **disciplina stringente e dettagliata** imposta dal Ministero dell'Economia su caratteristiche e condizioni dei prodotti.


*   **Orientamento Privatistico (Minoritario)**: Negava la natura pubblicistica, argomentando che:

    *   I rapporti tra Poste Italiane e la clientela sono **disciplinati dal diritto civile** (art. 3 D.P.R. 144/2001).

    *   L'attività è **praticamente identica** a quella svolta dalle banche per la raccolta del risparmio.

    *   Applicare un regime penale più severo ai dipendenti postali rispetto a quelli bancari violerebbe il **principio di eguaglianza (art. 3 Cost.)**.

    *   La norma del D.P.R. 156/1973 (che equiparava gli addetti postali a pubblici ufficiali) è **superata** dalle successive riforme e privatizzazioni del settore.


#### **3. L'Analisi e la Soluzione delle Sezioni Unite**


Le Sezioni Unite, con un'analisi estremamente approfondita e sistematica, hanno **affermato e definitivamente accolto l'orientamento pubblicistico**, stabilendo due principi di diritto cardine:


1.  **"L'attività di raccolta del risparmio postale [...] costituisce prestazione di un pubblico servizio."**

2.  **"L'operatore di Poste Italiane S.p.A. addetto alla vendita e gestione dei prodotti derivanti dalla raccolta del risparmio postale [...] riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio."**


**Le ragioni fondamentali della decisione sono:**


*   **Approccio Funzionale-oggettivo**: La Corte ribadisce che le qualifiche di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio si determinano in base alla **natura dell'attività concretamente svolta**, non alla forma giuridica dell'ente di appartenenza. È irrilevante che Poste Italiane sia una S.p.A.; ciò che conta è se la sua attività sia disciplinata da norme di diritto pubblico.

*   **Individuazione di una "Disciplina Pubblicistica"**: La sentenza dimostra in modo analitico come l'intera filiera del risparmio postale sia pervasa da norme di diritto pubblico e atti autoritativi che ne delimitano ogni aspetto (emissione, condizioni economiche, tassazione, destinazione dei fondi), limitando drasticamente l'autonomia privata.

*   **Pubblicizzazione dell'Attività**: Viene evidenziato come lo Stato non si limiti a vigilare, ma sia parte integrante e attiva del servizio attraverso la **garanzia dello Stato**, il **controllo diretto** sulla gestione separata della CDP e il **potere di indirizzo** del Ministero dell'Economia.

*   **Natura di "Servizio Economico di Interesse Generale"**: La Corte richiama la qualificazione del risparmio postale come servizio di interesse economico generale, riconosciuta anche dall'Unione Europea, sottolineandone la finalità sociale e la vocazione a operare in condizioni di obbligatorietà, continuità e imparzialità, tipiche di un servizio pubblico.

*   **Distinzione netta dall'attività bancaria**: Viene confutato l'argomento dell'eguaglianza, dimostrando che il risparmio postale non è equiparabile alla comune attività bancaria o all'intermediazione di titoli di Stato, a causa del suo regime giuridico speciale, unico e di derivazione pubblicistica.


#### **4. Commento e Significato della Pronuncia**


Questa sentenza ha un'importanza fondamentale per diversi ordini di ragioni:


1.  **Definizione di un Principio Chiaro e Unitario**: Pone fine a un annoso e pericoloso contrasto giurisprudenziale, fornendo certezza del diritto per i giudici di merito, gli avvocati e gli stessi operatori del settore.

2.  **Rafforzamento della Tutela Penale del Risparmio Pubblico**: Inquadrando l'attività come pubblico servizio, eleva il livello di tutela penale. Il peculato, rispetto all'appropriazione indebita, rappresenta una scelta di politica criminale più severa, finalizzata a proteggere in modo più incisivo la fiducia dei risparmiatori e l'integrità di uno strumento finanziario di rilevante interesse collettivo.

3.  **Affermazione del Metodo Funzionale**: Ribadisce con forza che il diritto penale, nel definire le qualifiche soggettive, guarda alla **sostanza e alla funzione** dell'attività, non alle etichette formali o alla natura privatistica del soggetto erogatore. Questo principio è essenziale in un'epoca di privatizzazioni e di commistione tra pubblico e privato.

4.  **Valorizzazione del Quadro Normativo**: La Corte non si limita a un'interpretazione astratta, ma compie una disamina minuziosa dell'intreccio di leggi, decreti e regolamenti che governano il risparmio postale, dimostrando come esso configuri un **sistema a sé stante e profondamente radicato nell'ordinamento pubblico**.


In conclusione, la sentenza delle Sezioni Unite rappresenta una pietra miliare nella giurisprudenza in materia. Con un ragionamento giuridico solido e circostanziato, essa supera le apparenti contraddizioni formali per cogliere la realtà sostanziale di un servizio di rilevante interesse pubblico, assicurandone la dovuta protezione attraverso gli strumenti più appropriati del diritto penale.


28 novembre 2025

Furto di energia elettrica: per la Corte, in caso di difetto di querela, il potere di modificare l'imputazione prevale sul 129 c.p.p.

Il Tribunale di Salerno aveva prosciolto l'imputata, constatando che il reato di furto di energia elettrica era contestato in modo tale da risultare procedibile a querela e, soprattutto, per quel che qui interessa, ritenendo irrilevante la contestazione - intervenuta in udienza- dell'aggravante di cui all'art. 625, n.7, cod. pen., che rendeva il reato procedibile d'ufficio. Invero, il Tribunale aveva ritenuto che il decorso del termine relativo alla proposizione della querela imponesse l'immediata declaratoria dell’improcedibilità̀ dell'azione penale

Il P.G. presso la Corte distrettuale ha interposto ricorso adducendo che il Tribunale, nel ritenere priva di rilievo la contestazione suppletiva operata dal pubblico ministero, avrebbe violato gli artt. 516 e ss. cod. proc. pen. e avrebbe leso il potere del pubblico ministero di esercitare l’azione penale e di modificare l'imputazione. 

La Corte di Cassazione adita, pur richiamando le SS.UU. Domingo (n. 49935 del 28/09/2023), secondo cui la maturata causa di estinzione (per prescrizione) del reato prevale sulla successiva contestazione suppletiva, sono addivenute alla soluzione opposta in caso di improcedibilità per difetto di querela, ponendo mente <<agli effetti, distorsivi e poco coerenti con il principio costituzionale di obbligatorietà̀ della azione penale, che deriverebbero dal riconoscimento della prevalenza massima accordata al venire meno della condizione di procedibilità>> (sentenza al link)

27 novembre 2025

La Corte Costituzionale dichiara illegittimo l'art. 83 cpp.

 

La Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità dell'art. 83 cpp,  

1) nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall'assicurazione obbligatoria prevista dall'art. 10, comma 1, terzo periodo, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), l'assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato. In sostanza il medico strutturato potrà citare a giudizio l'assicuratore della struttura sanitaria o socio sanitaria; 

 2) in via consequenziale, la Corte ha dichiarato l'incostituzionalità della norma nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall'assicurazione obbligatoria prevista dall'art. 10, comma 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24, l'imputato- medico libero professionist- possa citare a giudizio il proprio assicuratore.

(comunicato al link) (sentenza al link)

26 novembre 2025

❌NOVITÀ Corte Costituzionale❌ il medico imputato può citare la sua assicurazione quale responsabile civile. PROCESSO PENALE: ILLEGITTIMO NON CONSENTIRE AL MEDICO IMPUTATO DI CHIEDERE LA CITAZIONE IN GIUDIZIO DELL’ASSICURATORE DELLA STRUTTURA SANITARIA O SOCIOSANITARIA PER I CASI DI RESPONSABILITÀ CIVILE DERIVANTE DALLE ASSICURAZIONI OBBLIGATORIE PREVISTE DALLA LEGGE GELLI-BIANCO

 



Ci eravamo occupati della questione dando notizia della mancata rimessione alla Corte Costituzionale da parte del tribunale di Trapani (qui e qui).


È tuttavia di ieri la notizia che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 83 c.p.p..

È illegittimo l’articolo 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente al medico imputato di chiedere, nel processo penale, la citazione dell’assicuratore della struttura sanitaria o sociosanitaria per i casi di responsabilità civile derivante dalle assicurazioni obbligatorie, previste dall’articolo 10 della legge numero 24 del 2017 (cosiddetta legge Gelli-Bianco). Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 170, depositata oggi.

La questione è stata sollevata dal Tribunale di Verona, sezione penale, in un procedimento per omicidio colposo a carico di un dirigente medico, che aveva chiesto di poter citare in giudizio, come responsabile civile, la compagnia assicuratrice della struttura sanitaria pubblica presso cui prestava servizio.

Il giudice rimettente aveva ritenuto che la norma censurata violasse l’articolo 3 della Costituzione, determinando un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imputato assoggettato all’azione risarcitoria nel processo penale, al quale è precluso ottenere
la citazione dell’assicuratore della struttura come responsabile civile, ed il convenuto che al contrario con la stessa azione in sede civile può chiamare in garanzia il medesimo assicuratore La Corte ha ritenuto fondata la questione, richiamando i propri precedenti (sentenze n. 112 del 1998 e n. 159 del 2022), con i quali era già stata riconosciuta la possibilità per l’imputato di chiedere la citazione nel processo penale dell’assicuratore nei casi di assicurazioni obbligatorie per responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dall’attività venatoria. 

Anche nel settore sanitario – ha osservato la Corte – l’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge numero 24 del 2017 svolge una funzione “plurima” di garanzia, volta a tutelare sia i pazienti danneggiati, assicurando loro un ristoro diretto entro i limiti del massimale, sia i medici assicurati, che hanno diritto di essere manlevati dalle pretese risarcitorie della parte civile. Si tratta, del resto, di una misura che mira anche a contrastare la dannosa dinamica della medicina difensiva. 

Impedire al medico imputato di citare nel processo penale la compagnia assicuratrice – ha concluso la pronuncia – determina una ingiustificata disparità di trattamento (in violazione dell’articolo 3 della Costituzione) rispetto a quanto avviene nel processo civile, dove il convenuto può invece chiamare in garanzia il proprio assicuratore. 

La decisione, per ragioni di coerenza sistematica, dichiara inoltre l’illegittimità conseguenziale dell’articolo 10, comma 2, della medesima legge numero 24 del 2017, relativa ai medici che esercitano l’attività in regime libero-professionale. 

Anche in questo caso, infatti, l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile del professionista svolge un’analoga funzione di garanzia a favore del paziente e del medico assicurato

Interrogatorio preventivo cautelare e sue deroghe. Vale il principio della domanda ?

 

La seconda sezione ha dato continuità all'orientamento di legittimità della medesima sezione ( in precedenza Sez. 2, n. 12034 del 18/02/2025, Melis, Rv. 287774 - 01; Sez. 2, n. 5548 del 09/01/2025, Marangio, Rv. 287575 - 02), secondo il quale,  al fine di determinare se procedere all'interrogatorio preventivo cautelare, non si deve avere riferimento alla domanda cautelare, ma alle valutazioni effettuate dal giudice, investito della stessa. 

Del pari, la sentenza che si annota ha ribadito che l'eventuale nullità dell'ordinanza genetica, prevista dall'art. 292, comma 3 - bis, cod. proc. pen., qualora non sia preceduta dall'interrogatorio preventivo nei casi in cui è previsto, è di ordine generale a regime intermedio, ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., riguardando la violazione del diritto di difesa, con la conseguenza che deve essere dedotta con l'interrogatorio di garanzia postumo, nel frattempo svolto, che rappresenta il primo momento utile, ai sensi dell'art. 182 cod. proc. pen., restando altrimenti sanata. Ne consegue che la relativa eccezione è proponibile in sede di riesame, ovvero la nullità è rilevabile d'ufficio dal tribunale, solo se sia stata previamente sollevata in sede di interrogatorio e respinta dal giudice.(sentenza al link)

25 novembre 2025

Delitto di peculato –Avvenuto risarcimento, da parte dell’imputato, del danno cagionato alla persona offesa – Riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater cod. pen. – Obbligatorietà – Esclusione

 


La Sesta Sezione penale, in tema di peculato, ha affermato che la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater cod. pen. non è dovuta nel caso in cui, all’atto della pronunzia della sentenza di condanna, risulti che l’imputato abbia, medio tempore, risarcito il danno cagionato dalla condotta illecita.


24 novembre 2025

Informativa antimafia e richiesta ex art. 34 CAM in pendenza di giudizio amministrativo: la questione alle sezioni unite

 






Pende alle sezioni unite e sarà decisa all'udienza dell'11 dicembre 2025, la seguente questione:

Se, in presenza di una richiesta di applicazione del controllo giudiziario previsto dall'art 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il giudice, preso atto dell'emissione dell'informazione antimafia interdittiva e della pendenza del giudizio amministrativo avverso la stessa, debba accertare la sussistenza dell'infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo di tale accertamento, rigettare la richiesta di controllo giudiziario richiesto volontariamente dall'impresa.

21 novembre 2025

In caso di mancata risposta dellla P.A. alla richiesta di indagini difensive, ricorre un'omissione di atti di ufficio

 

La Corte di cassazione ha considerato che <<la sussunzione della richiesta nella fattispecie delle indagini investigative prevista dall'art. 391-quater cod. proc. pen. (piuttosto che come istanza di accesso documentale ex I. 241/90 n.d.r.) non esonera il ricorrente dal rispondere espressamente, anche solo per fornire giustificazione, venendo altresì in rilievo la condotta di omissione nella risposta nonostante le varie diffide ad adempiere. Si aggiunge, peraltro, che le conseguenze previste dall'ultimo comma dell'art. 391-quater cod. proc. pen. in caso di rifiuto della Pubblica Amministrazione hanno natura processuale in quanto finalizzate a superare la stasi istruttoria determinata dalla mancata acquisizione della documentazione; esse, tuttavia, non sono sostitutive delle conseguenze penali previste dall'art. 328, comma secondo cod. pen., alle quali eventualmente - come nel caso di specie - si aggiungono in caso di sussistenza del reato>> (sentenza al link).

20 novembre 2025

Consegna di beni nell’ambito di procedura estradizionale – Art. 20 del Trattato di estradizione Italia-Argentina – Connessione dei beni con il reato cui attiene la domanda estradizionale – Necessità.

 


La Sesta Sezione penale, in tema di estradizione processuale passiva, ha affermato che, in virtù dell’art. 20, lett. a) e b), della Convenzione di estradizione Italia-Argentina, firmata a Roma il 9 dicembre 1987, ratificata e posta in esecuzione con legge 19 febbraio 1992, n. 219, il sequestro di beni da consegnare allo Stato richiedente postula che gli stessi siano connessi al reato oggetto della domanda estradizionale, costituendone mezzi di prova od oggetti da esso provenienti, questi ultimi intesi, conformemente al disposto dell’art. 714, comma 1, cod. proc. pen., quali corpo del reato o cose ad esso pertinenti.

Scarica la sentenza Cass. pen., sez. VI, n. 15113/2025 al link

19 novembre 2025

Quali presupposti per la applicabilità della recidiva ?

La Corte ha rammentato che <<la recidiva rileva quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, il giudice è tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato "sub iudice">> (sentenza al link)

18 novembre 2025

La richiesta di interrogatorio successiva all’ammissione dell’imputato all’abbreviato secco

 




La Corte di Cassazione chiarisce che, sebbene l'orientamento maggioritario (che la Corte stessa preferisce ) ritenga che negare l'interrogatorio richiesto dopo l'ammissione al rito abbreviato configuri una nullità , tale nullità è "di ordine generale e a regime intermedio".
In base all'art. 182 c.p.p., comma 2, questa nullità deve essere eccepita dalla parte presente (l'imputato e il suo difensore) "immediatamente dopo il suo compimento".
Nel caso di specie, dai verbali di udienza non risulta che la difesa abbia eccepito la nullità dell'ordinanza che rigettava l'interrogatorio.

Conclusione: In mancanza di una tempestiva eccezione, la nullità è "rimasta sanata" (ovvero, guarita/superata)..

17 novembre 2025

CON IL COMPUTER RISOLVO UN SACCO DI PROBLEMI CHE PRIMA NON AVEVO di Casula, D'Agnolo e Monsagrati

 

Per gentile concessione dei colleghi, Andrea Casula, Marco D'Agnolo e Andrea Monsagrati, condividiamo un post che hanno pubblicato su il loro blog "L'altroPenale",  in cui i colleghi, muovendo dall' opaco fondale normativo del Portale, illustrano alcune questioni inerenti il deposito tramite il suddetto "robo” dall’utilità a tutt'oggi inspiegata, per riprendere le loro parole (post al link)


15 novembre 2025

STAVOLTA SI FA SUL SERIO: PERCHÉ VOTARE SÌ AL REFERENDUM SULLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE TRA PM E GIUDICI di Guido Todaro*

 



1. Premessa

Il tema del referendum, che attiene alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, non è una questione tecnica da addetti ai lavori. È una questione di libertà, di giustizia e di equilibrio tra i poteri dello Stato, che riguarda tutti noi.

 

2. Due funzioni diverse, due carriere diverse

Nel processo penale ci sono tre protagonisti:

 • il Pubblico Ministero (PM), che accusa;

 • il Giudice, che decide;

 • il Difensore, che difende.

Oggi, in Italia, PM e giudici fanno parte dello stesso corpo, lo stesso ordine della magistratura, con lo stesso percorso di carriera, lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) che li governa.

In pratica, chi oggi accusa, domani può fare il giudice, e viceversa. È pur vero che, con una riforma del 2022, il cambio di funzioni può avvenire solo una volta ed entro i primi dieci anni di attività (sei anni più quattro: arg. ex art. 13 comma 3 d. legisl. n. 160/2006, come modificato dall’art. 12 l. n. 71/2002, in relazione all’art. 194 dell’ord. giud.), diversamente dal passato in cui i magistrati potevano cambiare fino ad un massimo di quattro volte: sennonché, la modifica del 2022 è una legge ordinaria, il che significa, a testo costituzionale invariato, che una nuova legge potrebbe ripristinare il vecchio limite di 4 volte, o financo non prevedere limiti. La novella costituzionale, per contro, renderebbe definitiva la separazione delle carriere, stabilendo che un magistrato dovrà scegliere una volta per tutte tra la funzione requirente e quella giudicante, senza poter cambiare: una modifica costituzionale, dunque, senza possibilità di fluttuanti modifiche dovute alla legge e alle varie contingenze del momento.

Orbene: PM e giudice sono colleghi, avvocato e PM non sono colleghi, avvocato e giudice non sono colleghi.

Questa commistione tra chi accusa e chi giudica, che può sembrare un dettaglio burocratico, mina alla radice un principio fondamentale: la terzietà del giudice.

In NESSUN altro ambito della vita accettiamo che chi decide sia troppo vicino a una delle parti in causa. Perché dovremmo farlo nella giustizia penale? Perché dovremmo farlo quando è in gioco il bene più grande, cioè la libertà personale?

 

3. Il principio europeo della separazione

In quasi tutta Europa – Francia, Spagna, Germania – le carriere di PM e giudici sono separate.

In Portogallo, la separazione delle carriere inquirente e giudicante è stata frutto della riforma del sistema giudiziario dopo la rivoluzione del 1974: la scelta fu accompagnata da una totale e ferma indipendenza dall’Esecutivo, garantita dal Consiglio superiore del pubblico ministero, composto da magistrati eletti e membri “laici”, con maggioranza di magistrati, e presieduto dal Procuratore generale della Repubblica.

È certo vero che non ha senso “celebrare” in astratto altri ordinamenti – come quello francese, tedesco, spagnolo o portoghese richiamati – poiché non possiamo conoscere fino in fondo il clima culturale e il dibattito interno che circondano i loro sistemi di giustizia. Come pure è indubbio che ogni ordinamento va valutato nel proprio contesto storico, sociale e istituzionale, di talché i modelli stranieri non possono essere semplicemente trapiantati o idealizzati. Tuttavia, il riferimento a questi Paesi, lungi dal configurarsi come un’esaltazione dell’“esotico” o del “diverso da noi”, induce una riflessione: si può evidenziare, con spirito comparatistico, che in ordinamenti europei di solida tradizione democratica e giuridica – e in cui il livello di tutela dei diritti fondamentali non è certo inferiore al nostro – la separazione delle carriere è già una realtà.

Questo dimostra che tale assetto non rappresenta affatto un “male assoluto” o una minaccia all’indipendenza della magistratura, come talvolta viene sostenuto nel dibattito italiano, ma può convivere, per converso, con un sistema giudiziario equilibrato ed efficiente

Separare le carriere non significa mettere in contrasto i due ruoli, ma riconoscere la loro diversità.

Il giudice deve essere terzo, imparziale, indipendente; il PM deve essere libero di indagare, ma non deve appartenere alla stessa corporazione di chi lo giudica.

La separazione, dunque, rafforza l’indipendenza di entrambi:

 • il PM non sarà mai più sospettato di “favori” o “protezioni” da parte dei giudici;

 • il giudice non sarà mai più visto come “collega dell’accusa”, talvolta tacciato – ad esempio con riguardo alla fase delle indagini preliminari e in materia cautelare, là dove non ha la disponibilità dell’intero fascicolo ma dei soli atti somministrati dall’organo requirente – di appiattirsi acriticamente sulle richieste del PM.

 

4. Un equilibrio costituzionale da ricostruire

La Costituzione tutela la magistratura come potere autonomo, ma non impone la confusione tra giudici e PM, come qualcuno, sbagliando, ha sostenuto.

L’articolo 111 Cost. parla chiaro: il processo deve svolgersi nel contraddittorio delle parti, davanti a un giudice terzo e imparziale.

Terzietà significa essere diverso tanto dal PM quanto dal Difensore.

Oggi questa terzietà, in senso sostanziale, è messa in discussione da un sistema in cui PM e giudici appartengono alla stessa carriera e spesso condividono gli stessi percorsi formativi e le stesse valutazioni e progressioni di carriera.

Sono compagni di banco, per usare una immagine chiara e sintetica.

Separarli non significa “indebolire la magistratura”, ma rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia.

 

5. Giustizia più trasparente, più credibile, più umana

Una giustizia credibile è una giustizia trasparente, che non solo è imparziale, ma appare tale agli occhi del popolo.

Quando un cittadino entra in un’aula di tribunale, deve sentire CHIARAMENTE che il giudice non appartiene né all’accusa né alla difesa, ma solo alla legge e alla Costituzione.

Separare le carriere significa anche questo: dare al giudice l’autonomia e l’isolamento necessario per decidere secondo coscienza, non secondo appartenenze e correnti.

Al contempo, volendo semplificare e usare una immagine impropria ma plastica, l’obiettivo programmatico che si vorrebbe realizzare è quello di contrapporre un avvocato della difesa e un avvocato dell’accusa (sia pur dotato di indipendenza e garanzie ordinamentali forti), che si contendono lealmente l’esito davanti ad un giudice diverso da entrambi. Cosa c'è da capire?

 

6. Nessuna punizione per i magistrati, ma una riforma per i cittadini

Non è una battaglia contro i magistrati, ma una riforma per i cittadini.

È un passo di civiltà, un modo per rendere più chiaro e più giusto il sistema giudiziario.

Così come l’avvocato difende, il PM accusa e il giudice giudica: funzioni diverse, ognuno nel proprio ruolo, ognuno con la propria dignità, ognuno SEPARATO dall’altro.

 

7. Critiche alle ragioni del No

Si sostiene, da parte dei promotori del no, che, in prospettiva, la separazione delle carriere potrebbe portare i PM sotto il controllo dell’Esecutivo.

L’argomento è basato su una paura ipotetica, non sui contenuti effettivi della riforma.

Chi afferma che la separazione delle carriere porterebbe “inevitabilmente” alla subordinazione del PM all’Esecutivo, in sostanza, fa un salto logico: la riforma in discussione non lo prevede, anzi ribadisce l’indipendenza del PM e istituisce un CSM autonomo per la magistratura requirente.

Il novellato art. 104 Cost., in continuità con il testo attuale, rimarca che la magistratura costituisce un ordine autonomo e INDIPENDENTE da ogni altro potere, soggiungendo – e così esaltando non solo l’indipendenza esterna ma anche l’INDIPENDENZA INTERNA, non meno importante – che è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente.

Temere un rischio futuro, non codificato nella norma, equivale a respingere una legge non per ciò che fa, ma per ciò che potrebbe un giorno essere modificata e portata “a fare”: una forma di argomento dal pendio scivoloso, che in logica è un errore, una vera e propria trappola argomentativa.

Ma c’è di più.

L’attuale sistema non è privo di “indirizzi” e priorità.

Oggi, nell’ambito di una cornice generale definita dal Legislatore (art. 132 bis comma 1 disp. att. c.p.p.), sono comunque i dirigenti degli uffici ad adottare i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la rapida definizione dei processi per i quali è prevista la trattazione prioritaria (art. 132 bis comma 2 disp. att. c.p.p.): in altre parole, i singoli uffici delle Procure della Repubblica specificano i criteri di priorità, tenendo conto della loro realtà criminale specifica, e delle risorse disponibili.

Oggi, dunque, i Procuratori capi, nominati dal CSM, stabiliscono concretamente le priorità investigative. Queste scelte riflettono comunque sensibilità personali, indirizzi culturali o mediatici, e risorse limitate.

In altre parole, l’agenda dell’azione penale è già selettiva, anche se formalmente “obbligatoria”.

Quindi, dire che la riforma metterebbe “in mano all’esecutivo” l’agenda giudiziaria ignora che oggi non è neutrale né rigidamente automatica: è semplicemente decisa da altri, in modo forse meno trasparente e meno democraticamente partecipato.

Se anche l’esecutivo, in futuro, avesse un ruolo d’indirizzo, il problema sarebbe di controlli e garanzie, non di principio

In un sistema democratico, le priorità nella repressione dei reati (es. mafia, corruzione, droga, reati ambientali, violenze domestiche, reati dei colletti bianchi) possono essere legittimamente orientate dal Parlamento o dal Governo, purché ciò avvenga in modo trasparente e con limiti normativi chiari.

Non è scandaloso che la politica, espressione della volontà popolare, definisca obiettivi generali, purché il potere giudiziario resti libero nel giudizio concreto.

Anzi, questo argomento può essere rovesciato: perché un singolo Procuratore capo deve decidere le priorità a livello locale, con disparità di trattamento tra territori, e non potrebbe essere l’Esecutivo a farlo in termini generali?

Chi sostiene la necessità di conservare l’attuale sistema, vuole forse preservare di fatto il monopolio e quindi, nella sostanza, lo fa per un interesse proprio all’autogoverno dei criteri di priorità?

In ogni caso, i PM non passeranno sotto l’Esecutivo: quella di cui sopra è solo una speculazione che risponde ad un’altra speculazione.

A riprova di ciò, basti considerare che né l’art. 107 (al netto di una modifica che non sposta nulla, ma semplicemente raccorda la previsione alla istituzione dei due Consigli superiori della magistratura) né l’art. 112 della Costituzione sono toccati dalla riforma: il pubblico ministero gode e continuerà a godere delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario e continuerà altresì ad avere l’obbligo di esercitare l’azione penale (a garanzia di uguaglianza dei cittadini).

Senza considerare il già richiamato art. 104 della Costituzione, la cui chiarezza è lapidaria, insuscettibile di strumentalizzazioni interpretative.

Del resto, chi paventa il timore che il PM passi sotto l’Esecutivo, dimentica di dire - volutamente? - che anche quella sarebbe una riforma costituzionale, che richiederebbe i tempi e le maggioranze qualificate previste dall’art. 138 Cost., e, nel caso, un analogo referendum costituzionale: se fosse quello il pericolo, si dovrebbe semmai votare no a quell’ipotetico e futuro referendum, non già ora, a fronte di una riforma che non fa altro che attuare sul piano ordinamentale, a oltre 30 anni di distanza, il sistema accusatorio voluto dai riformatori del codice di procedura penale e imposto dalla Costituzione.

In sintesi: criticare una riforma costituzionale per timore di un abuso futuro è debole sul piano logico e poco corretto sul piano giuridico.

Meglio discutere nel merito: se la separazione delle carriere migliori o peggiori la qualità della giustizia, la percezione di imparzialità, l’efficienza del sistema.

Il “fantasma” del PM sotto l’Esecutivo è, allo stato, una distorsione polemica più che una previsione fondata.

 

8. Una riforma al passo con i tempi contro un retaggio del passato

Partiamo da un’affermazione sicuramente condivisa da tutti: giudice e pubblico ministero, pur assumendo entrambi la qualifica di «magistrato», esercitano due funzioni radicalmente diverse.  

Occorre allora evitare una sorta di strabismo concettuale che permea la questione, iniziando col porsi la giusta domanda iniziale.

Se le funzioni di giudice e di pubblico ministero sono diverse, la vera domanda è non già perché separare le carriere - che è una logica conseguenza della diversità di funzioni - quanto piuttosto chiedersi perché le carriere siano (ancora) unite.

Nella Costituzione del 1948, la magistratura fu delineata come un ordine indipendente e unitario (“i magistrati si distinguono solo per funzioni”), istituendo un organo di autogoverno ‘domestico’ (CSM). Tale assetto poggiava su due ragioni. La prima di (condivisibile) reazione al regime totalitario: nel ventennio fascista la magistratura era, purtroppo, influenzabile o coercibile dal potere esecutivo; la seconda: la disciplina del processo penale dell’epoca era improntata ad un modello autoritario, di tipo inquisitorio, che tendeva a “confondere” o comunque a non distinguere chiaramente le funzioni inquirenti e giudicanti.

Oggi le cose sono profondamente diverse.

Lo Stato ha una struttura democratica, repubblicana, imperniata su reciproci controlli tra i poteri; il (nuovo) codice di procedura penale del 1988 ha una impostazione di fondo completamente diversa, di stampo accusatorio, in cui la figura del pubblico ministero è staccata da quella del giudice.

I tempi sono dunque maturi per modificare la Costituzione con regole precise sui ruoli di chi accusa e chi giudica, che devono essere separati anche in relazione alle carriere, non solo alle funzioni.

Insomma, questa è una riforma figlia del suo tempo, che attua e perfeziona il modello dell’attuale codice di procedura penale, così superando un retaggio che non ha più ragion d’essere.

Un processo autenticamente accusatorio esige una rigorosa separazione delle funzioni fra accusa e difesa. Ma ciò non è sufficiente: la logica propria del modello accusatorio non si esaurisce nella mera distinzione funzionale, ma richiede anche una separazione strutturale e culturale delle carriere. Questo perché, se è vero che il giudice deve rimanere terzo rispetto alle parti, tale terzietà non può essere pienamente garantita finché magistrati requirenti e giudicanti continuino a condividere lo stesso percorso formativo, la stessa progressione professionale e la stessa cultura di appartenenza istituzionale.

Anche a voler sostenere che non vi sia una perfetta corrispondenza biunivoca tra giusto processo accusatorio e separazione delle carriere, quest’ultima sicuramente rafforza il primo.

Semmai, avrebbe senso un dibattito su come realizzare l’obbiettivo in concreto, con la partecipazione di tutti, cittadini e addetti ai lavori, con i magistrati che potrebbero sicuramente offrire un ausilio utile, se solo taluni (non tutti, per la verità) abbandonassero aprioristiche barricate ideologiche.

Dunque, votare SÌ alla separazione delle carriere significa:

 • garantire più imparzialità nei processi;

 • rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia;

 • tutelare la Costituzione e lo Stato di diritto;

 • portare l’Italia al livello degli altri ordinamenti europei.

Una giustizia equa non è una giustizia più dura o più morbida, ma una giustizia più giusta.

Per questo, da avvocato, ma soprattutto da cittadino, dico che occorre votare SÌ al referendum per la separazione delle carriere tra PM e giudici.

 

9. Per concludere

Ci lamentiamo ogni giorno della giustizia: dei processi infiniti, delle decisioni discutibili, delle ingiustizie che sembrano inevitabili. Ma se davvero vogliamo cambiare le cose, dobbiamo avere il coraggio di intervenire alla radice.

Abbiamo provato per decenni con un sistema in cui pubblici ministeri e giudici appartengono allo stesso corpo.

Ora è il momento di cambiare davvero, di voltare pagina, di separare ruoli e responsabilità per rendere la giustizia più chiara, più indipendente, più giusta.

Se poi questo cambiamento non dovesse bastare, si potrà sempre correggere il cammino.

Ma restare fermi, no: significherebbe accettare che tutto resti com’è. E questo, per un Paese che crede nel diritto e nella libertà, non è più possibile.

 

(*) Guido Todaro: Avvocato del Foro di Bologna, Cassazionista, Specialista in Diritto Penale, è Dottore di Ricerca in Diritto e Processo Penale presso l’Università di Bologna, nonché Professore a contratto di Procedura Penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali afferente alla medesima Università.
È componente del Comitato di Gestione della Scuola Territoriale della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”, nonché membro della Redazione della Rivista Cassazione penale e Caporedattore della Rivista La Giustizia Penale.
È Autore di oltre 60 pubblicazioni in riviste scientifiche, nonché coautore del libro “La difesa nel procedimento cautelare personale”, Giuffrè, 2012, e con-curatore del Volume “Custodia cautelare e sovraffollamento carcerario”, Studi Urbinati, v. 65, n. 1, 2014.

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