La Terza Sezione penale, in tema di stupefacenti, ha affermato che l’elemento specializzante della non occasionalità, richiesto per l’integrazione dell’ipotesi circostanziata di cui all’art. 73, comma 5, secondo periodo, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ricorre nel caso in cui l’agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico, sicché la circostanza deve ritenersi contestata in fatto ove sia contestata la recidiva specifica.
I gradi di giudizio.
In primo grado, il Tribunale di Roma, all'esito del giudizio abbreviato, condannava alla pena di due anni e otto mesi di reclusione. La Corte di appello di Roma confermava la decisione emessa dal Tribunale di Roma.
Il ricorso per Cassazione.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l'imputato, tramite il suo difensore, ricorreva in Cassazione, deducendo i seguenti motivi:
* nullità della sentenza di appello per violazione degli artt. 521, 178, comma 1, lett. b), e 179 cod. proc. pen., in relazione al capo A), per essere stata ritenuta, da parte del Tribunale, l'aggravante di cui al secondo periodo dell'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, non oggetto di contestazione;
* violazione del divieto di reformatio in peius per non aver la Corte di appello ridotto la pena a seguito dell'accoglimento del motivo di appello relativo al giudizio di bilanciamento tra le circostanze;
* violazione dell'art. 133 cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla determinazione della pena per il capo A), irrogata in misura notevolmente al minimo edittale, senza considerare la personalità dell'imputato, il pericolo in concreto cagionato, la qualità e la quantità di sostanza stupefacente detenuta, le modalità della condotta, i motivi a delinquere;
* violazione dell'art. 337 cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, non avendo la Corte di merito accertato che si fosse verificata una situazione di concreto pericolo.
La decisione della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi di impugnazione. In particolare, la Corte ha affermato che:
* il Tribunale ha implicitamente contestato la non occasionalità della condotta, richiamando la recidiva specifica infraquinquennale;
* il Tribunale ha tenuto conto dell'aggravante di cui al secondo periodo dell'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, nel determinare la pena;
* la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
* la condotta dell'imputato, che per sottrarsi al controllo, tentando di passare in un varco tra il veicolo dei militari e un'autovettura in sosta, ha impattato contro lo sportello dell'auto di servizio, integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale.
Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il precedente specifico.
Ai fini della decisione in commento, appare utile richiamare il precedente specifico in tema di resistenza a pubblico ufficiale, di cui alla sentenza n. 41408 del 04/07/2019, Foriglio, Rv. 277137, secondo cui integra l'elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che, per sfuggire all'intervento delle forze dell'ordine, si dia alla fuga, alla guida di un'autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida pericolosa, l'incolumità personale degli altri utenti della strada, tra cui, evidentemente, anche il personale delle forze dell'ordine impegnato nell'inseguimento del fuggitivo.
La sentenza in commento, nel richiamare il suddetto precedente, ha ritenuto che la condotta dell'imputato, che per sottrarsi al controllo, tentando di passare in un varco tra il veicolo dei militari e un'autovettura in sosta, ha impattato contro lo sportello dell'auto di servizio, integri il delitto di resistenza a pubblico ufficiale.