1. Avvocato, è notorio che Lei sostenga la separazione delle carriere dei magistrati: perché tale soluzione sarebbe più conforme alla Costituzione?
Indipendentemente da ogni polemica, o forse proprio a causa della pretestuosità delle polemiche, occorre prendere a riferimento proprio il testo della Costituzione che, secondo i detrattori della riforma, risulterebbe stravolta dall’approvazione del disegno di legge in corso di approvazione.
La risposta, insomma, è nella Costituzione stessa, la quale, già oggi, marca una distinzione tra il Giudice ed il Pubblico Ministero, differenziandoli ontologicamente - il Giudice deve essere terzo ed imparziale - e sotto il profilo delle garanzie, come risulta chiaramente dagli articoli 101 e 107,
La Costituzione disegna un processo di parti, che operano in condizione di parità, davanti ad un Giudice, che è naturalmente separato e distinto da loro. Terzo, se ci pensiamo bene, significa proprio questo: diverso dai primi due, distinto. Separato.
2. I contrari alla separazione, tra cui il professor Gialuz, sostengono che i numeri degli esiti assolutori dimostrerebbero come la separazione è assolutamente inutile, perché non esiste alcun appiattimento dei giudici alle tesi dei pm. Cosa pensa di questo argomento?
Questo è un argomento specioso, perché mira a confondere le acque. Lo scopo della riforma, è bene ricordare, non è quello di eliminare l’appiattimento di cui Lei parla. La riforma, come ho appena detto, mira a costruire un sistema nel quale sia esclusa a priori ogni forma di colleganza, di commistione, dalla quale possa derivare anche il semplice sospetto di un possibile appiattimento. Sul punto, potrei citare le parole della Corte Costituzionale, la quale, intervenendo sull’articolo 34 del codice di rito in tema di incompatibilità, disse che il Giudice non deve soltanto essere, ma anche sembrare imparziale. I vantaggi della riforma, nella migliore delle ipotesi, saranno visibili tra molto tempo, quando, finalmente si sarà consolidata una cultura del processo nella quale la prima delle garanzie è la terzietà del Giudice, percepito come entità distinta, separata, financo autarchica. Fuori da tutti i giochi, insomma.
D’altra parte, provi a pensare alla gestione delle carriere in una prospettiva come quella di cui le parlo: nessun Requirente interverrà mai sulla assegnazione di un Giudice ad incarichi direttivi, e viceversa.Nessun accordo di spartizione incrociata inciderà sulle nomine e sulle carriere.
Questo non è affatto poca cosa.
3. Altri affermano che separare le carriere allontanerebbe gli inquirenti dalla comune cultura della giurisdizione. Le pare che ci siano rischi di degenerazione dei pubblici ministeri?
La cultura della giurisdizione è un feticcio ideologico. Semplicemente non esiste, ma è stata inventata e viene utilizzata per sostenere che i protagonisti del processo sarebbero accomunati da una cultura unitaria, base di una appartenenza non suscettibile di frantumazione.
Invece, no. La cultura della giurisdizione è la cultura del Giudice, mentre le parti si ispirano alla propria cultura. L’inganno sta, come sempre, nella confusione: se per cultura della giurisdizione si intende la condivisione dei principi base del sistema, siamo tutti d’accordo, ma la definizione è lessicalmente sbagliata; se, al contrario, la si vuole contrabbandare come fondamento della consustanziazione tra le parti, allora siamo in presenza di un errore.
Infine, mi sembra addirittura sorprendente l’argomento secondo il quale, a carriere separate i Pubblici Ministeri si trasformerebbero in avvocati dell’Accusa a tutti i costi e a qualunque prezzo. Dov’è scritto questo? Vogliamo davvero credere che tra la separazione delle carriere trasformerà il Requirente in un ostinato accusatore, in una sorta di calunniatore? E se anche fosse, ci sarà pur sempre il Giudice, terzo, imparziale, a sistemare le cose, garantendo le persone.
4. Tra coloro che hanno avanzato dubbi sulla riforma, vi è anche un maestro come Paolo Ferrua, che in una intervista rilasciata a “Il Manifesto” ha considerato che <<l’idea di una separazione delle carriere che non incida minimamente sulla indipendenza del pubblico ministero è una favola volta a rassicurare i magistrati>>. Che ne pensa?
Paolo Ferrua, la cui amicizia mi onora, dice una cosa che è vera già oggi. Al riguardo, è sufficiente leggere l’articolo 101 - i Giudici sono soggetti soltanto alla legge - e l’articolo 107 - le garanzie di indipendenza del Pubblico Ministero sono stabilite dalla legge (ordinaria) -.
In teoria, già oggi, potrebbero farsi delle differenziazioni. Per comprendere la portata della questione, però, bisogna soffermarsi su ciò che i padri costituenti vollero per il Giudice, che è il vero obiettivo anche di questa riforma. Il Pubblico Ministero, in altre parole, potrà anche godere di minori guarentigie, ma chi decide è pur sempre il Giudice, che emette le sentenze.
Nessuno deve preoccuparsi di interventi volti all’assoggettamento del Pubblico Ministero all’esecutivo, la cui figura non è neppure sfiorata dalla riforma.
Un’ultima provocazione: ma se il processo accusatorio è morto perché separare le carriere?
Mi chiedo spesso perché le carriere siano unite, non perché debbano essere separate. Ho detto poc’anzi che la Costituzione sembra non soltanto consentire, ma addirittura agevolare un intervento correttivo in quella direzione. Direzione obbligata in un sistema accusatorio, quand’anche spurio come il nostro,, nel quale tutto o quasi tutto è affidato alle parti, fatta eccezione per la decisione. Pensi al processo civile, fatto di parti che contendono in condizioni di parità assoluta: mi pare che funzioni e che, agli occhi di tutti, appaia come giusto, equo, garantito.
L’anomalia, per dirla tutta, è nell’assetto vigente, non in quello che sarà.
Ci vediamo al referendum.