21 novembre 2025

In caso di mancata risposta dellla P.A. alla richiesta di indagini difensive, ricorre un'omissione di atti di ufficio

 

La Corte di cassazione ha considerato che <<la sussunzione della richiesta nella fattispecie delle indagini investigative prevista dall'art. 391-quater cod. proc. pen. (piuttosto che come istanza di accesso documentale ex I. 241/90 n.d.r.) non esonera il ricorrente dal rispondere espressamente, anche solo per fornire giustificazione, venendo altresì in rilievo la condotta di omissione nella risposta nonostante le varie diffide ad adempiere. Si aggiunge, peraltro, che le conseguenze previste dall'ultimo comma dell'art. 391-quater cod. proc. pen. in caso di rifiuto della Pubblica Amministrazione hanno natura processuale in quanto finalizzate a superare la stasi istruttoria determinata dalla mancata acquisizione della documentazione; esse, tuttavia, non sono sostitutive delle conseguenze penali previste dall'art. 328, comma secondo cod. pen., alle quali eventualmente - come nel caso di specie - si aggiungono in caso di sussistenza del reato>> (sentenza al link).

20 novembre 2025

Consegna di beni nell’ambito di procedura estradizionale – Art. 20 del Trattato di estradizione Italia-Argentina – Connessione dei beni con il reato cui attiene la domanda estradizionale – Necessità.

 


La Sesta Sezione penale, in tema di estradizione processuale passiva, ha affermato che, in virtù dell’art. 20, lett. a) e b), della Convenzione di estradizione Italia-Argentina, firmata a Roma il 9 dicembre 1987, ratificata e posta in esecuzione con legge 19 febbraio 1992, n. 219, il sequestro di beni da consegnare allo Stato richiedente postula che gli stessi siano connessi al reato oggetto della domanda estradizionale, costituendone mezzi di prova od oggetti da esso provenienti, questi ultimi intesi, conformemente al disposto dell’art. 714, comma 1, cod. proc. pen., quali corpo del reato o cose ad esso pertinenti.

Scarica la sentenza Cass. pen., sez. VI, n. 15113/2025 al link

19 novembre 2025

Quali presupposti per la applicabilità della recidiva ?

La Corte ha rammentato che <<la recidiva rileva quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, il giudice è tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato "sub iudice">> (sentenza al link)

18 novembre 2025

La richiesta di interrogatorio successiva all’ammissione dell’imputato all’abbreviato secco

 




La Corte di Cassazione chiarisce che, sebbene l'orientamento maggioritario (che la Corte stessa preferisce ) ritenga che negare l'interrogatorio richiesto dopo l'ammissione al rito abbreviato configuri una nullità , tale nullità è "di ordine generale e a regime intermedio".
In base all'art. 182 c.p.p., comma 2, questa nullità deve essere eccepita dalla parte presente (l'imputato e il suo difensore) "immediatamente dopo il suo compimento".
Nel caso di specie, dai verbali di udienza non risulta che la difesa abbia eccepito la nullità dell'ordinanza che rigettava l'interrogatorio.

Conclusione: In mancanza di una tempestiva eccezione, la nullità è "rimasta sanata" (ovvero, guarita/superata)..

17 novembre 2025

CON IL COMPUTER RISOLVO UN SACCO DI PROBLEMI CHE PRIMA NON AVEVO di Casula, D'Agnolo e Monsagrati

 

Per gentile concessione dei colleghi, Andrea Casula, Marco D'Agnolo e Andrea Monsagrati, condividiamo un post che hanno pubblicato su il loro blog "L'altroPenale",  in cui i colleghi, muovendo dall' opaco fondale normativo del Portale, illustrano alcune questioni inerenti il deposito tramite il suddetto "robo” dall’utilità a tutt'oggi inspiegata, per riprendere le loro parole (post al link)


15 novembre 2025

STAVOLTA SI FA SUL SERIO: PERCHÉ VOTARE SÌ AL REFERENDUM SULLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE TRA PM E GIUDICI di Guido Todaro*

 



1. Premessa

Il tema del referendum, che attiene alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, non è una questione tecnica da addetti ai lavori. È una questione di libertà, di giustizia e di equilibrio tra i poteri dello Stato, che riguarda tutti noi.

 

2. Due funzioni diverse, due carriere diverse

Nel processo penale ci sono tre protagonisti:

 • il Pubblico Ministero (PM), che accusa;

 • il Giudice, che decide;

 • il Difensore, che difende.

Oggi, in Italia, PM e giudici fanno parte dello stesso corpo, lo stesso ordine della magistratura, con lo stesso percorso di carriera, lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) che li governa.

In pratica, chi oggi accusa, domani può fare il giudice, e viceversa. È pur vero che, con una riforma del 2022, il cambio di funzioni può avvenire solo una volta ed entro i primi dieci anni di attività (sei anni più quattro: arg. ex art. 13 comma 3 d. legisl. n. 160/2006, come modificato dall’art. 12 l. n. 71/2002, in relazione all’art. 194 dell’ord. giud.), diversamente dal passato in cui i magistrati potevano cambiare fino ad un massimo di quattro volte: sennonché, la modifica del 2022 è una legge ordinaria, il che significa, a testo costituzionale invariato, che una nuova legge potrebbe ripristinare il vecchio limite di 4 volte, o financo non prevedere limiti. La novella costituzionale, per contro, renderebbe definitiva la separazione delle carriere, stabilendo che un magistrato dovrà scegliere una volta per tutte tra la funzione requirente e quella giudicante, senza poter cambiare: una modifica costituzionale, dunque, senza possibilità di fluttuanti modifiche dovute alla legge e alle varie contingenze del momento.

Orbene: PM e giudice sono colleghi, avvocato e PM non sono colleghi, avvocato e giudice non sono colleghi.

Questa commistione tra chi accusa e chi giudica, che può sembrare un dettaglio burocratico, mina alla radice un principio fondamentale: la terzietà del giudice.

In NESSUN altro ambito della vita accettiamo che chi decide sia troppo vicino a una delle parti in causa. Perché dovremmo farlo nella giustizia penale? Perché dovremmo farlo quando è in gioco il bene più grande, cioè la libertà personale?

 

3. Il principio europeo della separazione

In quasi tutta Europa – Francia, Spagna, Germania – le carriere di PM e giudici sono separate.

In Portogallo, la separazione delle carriere inquirente e giudicante è stata frutto della riforma del sistema giudiziario dopo la rivoluzione del 1974: la scelta fu accompagnata da una totale e ferma indipendenza dall’Esecutivo, garantita dal Consiglio superiore del pubblico ministero, composto da magistrati eletti e membri “laici”, con maggioranza di magistrati, e presieduto dal Procuratore generale della Repubblica.

È certo vero che non ha senso “celebrare” in astratto altri ordinamenti – come quello francese, tedesco, spagnolo o portoghese richiamati – poiché non possiamo conoscere fino in fondo il clima culturale e il dibattito interno che circondano i loro sistemi di giustizia. Come pure è indubbio che ogni ordinamento va valutato nel proprio contesto storico, sociale e istituzionale, di talché i modelli stranieri non possono essere semplicemente trapiantati o idealizzati. Tuttavia, il riferimento a questi Paesi, lungi dal configurarsi come un’esaltazione dell’“esotico” o del “diverso da noi”, induce una riflessione: si può evidenziare, con spirito comparatistico, che in ordinamenti europei di solida tradizione democratica e giuridica – e in cui il livello di tutela dei diritti fondamentali non è certo inferiore al nostro – la separazione delle carriere è già una realtà.

Questo dimostra che tale assetto non rappresenta affatto un “male assoluto” o una minaccia all’indipendenza della magistratura, come talvolta viene sostenuto nel dibattito italiano, ma può convivere, per converso, con un sistema giudiziario equilibrato ed efficiente

Separare le carriere non significa mettere in contrasto i due ruoli, ma riconoscere la loro diversità.

Il giudice deve essere terzo, imparziale, indipendente; il PM deve essere libero di indagare, ma non deve appartenere alla stessa corporazione di chi lo giudica.

La separazione, dunque, rafforza l’indipendenza di entrambi:

 • il PM non sarà mai più sospettato di “favori” o “protezioni” da parte dei giudici;

 • il giudice non sarà mai più visto come “collega dell’accusa”, talvolta tacciato – ad esempio con riguardo alla fase delle indagini preliminari e in materia cautelare, là dove non ha la disponibilità dell’intero fascicolo ma dei soli atti somministrati dall’organo requirente – di appiattirsi acriticamente sulle richieste del PM.

 

4. Un equilibrio costituzionale da ricostruire

La Costituzione tutela la magistratura come potere autonomo, ma non impone la confusione tra giudici e PM, come qualcuno, sbagliando, ha sostenuto.

L’articolo 111 Cost. parla chiaro: il processo deve svolgersi nel contraddittorio delle parti, davanti a un giudice terzo e imparziale.

Terzietà significa essere diverso tanto dal PM quanto dal Difensore.

Oggi questa terzietà, in senso sostanziale, è messa in discussione da un sistema in cui PM e giudici appartengono alla stessa carriera e spesso condividono gli stessi percorsi formativi e le stesse valutazioni e progressioni di carriera.

Sono compagni di banco, per usare una immagine chiara e sintetica.

Separarli non significa “indebolire la magistratura”, ma rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia.

 

5. Giustizia più trasparente, più credibile, più umana

Una giustizia credibile è una giustizia trasparente, che non solo è imparziale, ma appare tale agli occhi del popolo.

Quando un cittadino entra in un’aula di tribunale, deve sentire CHIARAMENTE che il giudice non appartiene né all’accusa né alla difesa, ma solo alla legge e alla Costituzione.

Separare le carriere significa anche questo: dare al giudice l’autonomia e l’isolamento necessario per decidere secondo coscienza, non secondo appartenenze e correnti.

Al contempo, volendo semplificare e usare una immagine impropria ma plastica, l’obiettivo programmatico che si vorrebbe realizzare è quello di contrapporre un avvocato della difesa e un avvocato dell’accusa (sia pur dotato di indipendenza e garanzie ordinamentali forti), che si contendono lealmente l’esito davanti ad un giudice diverso da entrambi. Cosa c'è da capire?

 

6. Nessuna punizione per i magistrati, ma una riforma per i cittadini

Non è una battaglia contro i magistrati, ma una riforma per i cittadini.

È un passo di civiltà, un modo per rendere più chiaro e più giusto il sistema giudiziario.

Così come l’avvocato difende, il PM accusa e il giudice giudica: funzioni diverse, ognuno nel proprio ruolo, ognuno con la propria dignità, ognuno SEPARATO dall’altro.

 

7. Critiche alle ragioni del No

Si sostiene, da parte dei promotori del no, che, in prospettiva, la separazione delle carriere potrebbe portare i PM sotto il controllo dell’Esecutivo.

L’argomento è basato su una paura ipotetica, non sui contenuti effettivi della riforma.

Chi afferma che la separazione delle carriere porterebbe “inevitabilmente” alla subordinazione del PM all’Esecutivo, in sostanza, fa un salto logico: la riforma in discussione non lo prevede, anzi ribadisce l’indipendenza del PM e istituisce un CSM autonomo per la magistratura requirente.

Il novellato art. 104 Cost., in continuità con il testo attuale, rimarca che la magistratura costituisce un ordine autonomo e INDIPENDENTE da ogni altro potere, soggiungendo – e così esaltando non solo l’indipendenza esterna ma anche l’INDIPENDENZA INTERNA, non meno importante – che è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente.

Temere un rischio futuro, non codificato nella norma, equivale a respingere una legge non per ciò che fa, ma per ciò che potrebbe un giorno essere modificata e portata “a fare”: una forma di argomento dal pendio scivoloso, che in logica è un errore, una vera e propria trappola argomentativa.

Ma c’è di più.

L’attuale sistema non è privo di “indirizzi” e priorità.

Oggi, nell’ambito di una cornice generale definita dal Legislatore (art. 132 bis comma 1 disp. att. c.p.p.), sono comunque i dirigenti degli uffici ad adottare i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la rapida definizione dei processi per i quali è prevista la trattazione prioritaria (art. 132 bis comma 2 disp. att. c.p.p.): in altre parole, i singoli uffici delle Procure della Repubblica specificano i criteri di priorità, tenendo conto della loro realtà criminale specifica, e delle risorse disponibili.

Oggi, dunque, i Procuratori capi, nominati dal CSM, stabiliscono concretamente le priorità investigative. Queste scelte riflettono comunque sensibilità personali, indirizzi culturali o mediatici, e risorse limitate.

In altre parole, l’agenda dell’azione penale è già selettiva, anche se formalmente “obbligatoria”.

Quindi, dire che la riforma metterebbe “in mano all’esecutivo” l’agenda giudiziaria ignora che oggi non è neutrale né rigidamente automatica: è semplicemente decisa da altri, in modo forse meno trasparente e meno democraticamente partecipato.

Se anche l’esecutivo, in futuro, avesse un ruolo d’indirizzo, il problema sarebbe di controlli e garanzie, non di principio

In un sistema democratico, le priorità nella repressione dei reati (es. mafia, corruzione, droga, reati ambientali, violenze domestiche, reati dei colletti bianchi) possono essere legittimamente orientate dal Parlamento o dal Governo, purché ciò avvenga in modo trasparente e con limiti normativi chiari.

Non è scandaloso che la politica, espressione della volontà popolare, definisca obiettivi generali, purché il potere giudiziario resti libero nel giudizio concreto.

Anzi, questo argomento può essere rovesciato: perché un singolo Procuratore capo deve decidere le priorità a livello locale, con disparità di trattamento tra territori, e non potrebbe essere l’Esecutivo a farlo in termini generali?

Chi sostiene la necessità di conservare l’attuale sistema, vuole forse preservare di fatto il monopolio e quindi, nella sostanza, lo fa per un interesse proprio all’autogoverno dei criteri di priorità?

In ogni caso, i PM non passeranno sotto l’Esecutivo: quella di cui sopra è solo una speculazione che risponde ad un’altra speculazione.

A riprova di ciò, basti considerare che né l’art. 107 (al netto di una modifica che non sposta nulla, ma semplicemente raccorda la previsione alla istituzione dei due Consigli superiori della magistratura) né l’art. 112 della Costituzione sono toccati dalla riforma: il pubblico ministero gode e continuerà a godere delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario e continuerà altresì ad avere l’obbligo di esercitare l’azione penale (a garanzia di uguaglianza dei cittadini).

Senza considerare il già richiamato art. 104 della Costituzione, la cui chiarezza è lapidaria, insuscettibile di strumentalizzazioni interpretative.

Del resto, chi paventa il timore che il PM passi sotto l’Esecutivo, dimentica di dire - volutamente? - che anche quella sarebbe una riforma costituzionale, che richiederebbe i tempi e le maggioranze qualificate previste dall’art. 138 Cost., e, nel caso, un analogo referendum costituzionale: se fosse quello il pericolo, si dovrebbe semmai votare no a quell’ipotetico e futuro referendum, non già ora, a fronte di una riforma che non fa altro che attuare sul piano ordinamentale, a oltre 30 anni di distanza, il sistema accusatorio voluto dai riformatori del codice di procedura penale e imposto dalla Costituzione.

In sintesi: criticare una riforma costituzionale per timore di un abuso futuro è debole sul piano logico e poco corretto sul piano giuridico.

Meglio discutere nel merito: se la separazione delle carriere migliori o peggiori la qualità della giustizia, la percezione di imparzialità, l’efficienza del sistema.

Il “fantasma” del PM sotto l’Esecutivo è, allo stato, una distorsione polemica più che una previsione fondata.

 

8. Una riforma al passo con i tempi contro un retaggio del passato

Partiamo da un’affermazione sicuramente condivisa da tutti: giudice e pubblico ministero, pur assumendo entrambi la qualifica di «magistrato», esercitano due funzioni radicalmente diverse.  

Occorre allora evitare una sorta di strabismo concettuale che permea la questione, iniziando col porsi la giusta domanda iniziale.

Se le funzioni di giudice e di pubblico ministero sono diverse, la vera domanda è non già perché separare le carriere - che è una logica conseguenza della diversità di funzioni - quanto piuttosto chiedersi perché le carriere siano (ancora) unite.

Nella Costituzione del 1948, la magistratura fu delineata come un ordine indipendente e unitario (“i magistrati si distinguono solo per funzioni”), istituendo un organo di autogoverno ‘domestico’ (CSM). Tale assetto poggiava su due ragioni. La prima di (condivisibile) reazione al regime totalitario: nel ventennio fascista la magistratura era, purtroppo, influenzabile o coercibile dal potere esecutivo; la seconda: la disciplina del processo penale dell’epoca era improntata ad un modello autoritario, di tipo inquisitorio, che tendeva a “confondere” o comunque a non distinguere chiaramente le funzioni inquirenti e giudicanti.

Oggi le cose sono profondamente diverse.

Lo Stato ha una struttura democratica, repubblicana, imperniata su reciproci controlli tra i poteri; il (nuovo) codice di procedura penale del 1988 ha una impostazione di fondo completamente diversa, di stampo accusatorio, in cui la figura del pubblico ministero è staccata da quella del giudice.

I tempi sono dunque maturi per modificare la Costituzione con regole precise sui ruoli di chi accusa e chi giudica, che devono essere separati anche in relazione alle carriere, non solo alle funzioni.

Insomma, questa è una riforma figlia del suo tempo, che attua e perfeziona il modello dell’attuale codice di procedura penale, così superando un retaggio che non ha più ragion d’essere.

Un processo autenticamente accusatorio esige una rigorosa separazione delle funzioni fra accusa e difesa. Ma ciò non è sufficiente: la logica propria del modello accusatorio non si esaurisce nella mera distinzione funzionale, ma richiede anche una separazione strutturale e culturale delle carriere. Questo perché, se è vero che il giudice deve rimanere terzo rispetto alle parti, tale terzietà non può essere pienamente garantita finché magistrati requirenti e giudicanti continuino a condividere lo stesso percorso formativo, la stessa progressione professionale e la stessa cultura di appartenenza istituzionale.

Anche a voler sostenere che non vi sia una perfetta corrispondenza biunivoca tra giusto processo accusatorio e separazione delle carriere, quest’ultima sicuramente rafforza il primo.

Semmai, avrebbe senso un dibattito su come realizzare l’obbiettivo in concreto, con la partecipazione di tutti, cittadini e addetti ai lavori, con i magistrati che potrebbero sicuramente offrire un ausilio utile, se solo taluni (non tutti, per la verità) abbandonassero aprioristiche barricate ideologiche.

Dunque, votare SÌ alla separazione delle carriere significa:

 • garantire più imparzialità nei processi;

 • rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia;

 • tutelare la Costituzione e lo Stato di diritto;

 • portare l’Italia al livello degli altri ordinamenti europei.

Una giustizia equa non è una giustizia più dura o più morbida, ma una giustizia più giusta.

Per questo, da avvocato, ma soprattutto da cittadino, dico che occorre votare SÌ al referendum per la separazione delle carriere tra PM e giudici.

 

9. Per concludere

Ci lamentiamo ogni giorno della giustizia: dei processi infiniti, delle decisioni discutibili, delle ingiustizie che sembrano inevitabili. Ma se davvero vogliamo cambiare le cose, dobbiamo avere il coraggio di intervenire alla radice.

Abbiamo provato per decenni con un sistema in cui pubblici ministeri e giudici appartengono allo stesso corpo.

Ora è il momento di cambiare davvero, di voltare pagina, di separare ruoli e responsabilità per rendere la giustizia più chiara, più indipendente, più giusta.

Se poi questo cambiamento non dovesse bastare, si potrà sempre correggere il cammino.

Ma restare fermi, no: significherebbe accettare che tutto resti com’è. E questo, per un Paese che crede nel diritto e nella libertà, non è più possibile.

 

(*) Guido Todaro: Avvocato del Foro di Bologna, Cassazionista, Specialista in Diritto Penale, è Dottore di Ricerca in Diritto e Processo Penale presso l’Università di Bologna, nonché Professore a contratto di Procedura Penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali afferente alla medesima Università.
È componente del Comitato di Gestione della Scuola Territoriale della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”, nonché membro della Redazione della Rivista Cassazione penale e Caporedattore della Rivista La Giustizia Penale.
È Autore di oltre 60 pubblicazioni in riviste scientifiche, nonché coautore del libro “La difesa nel procedimento cautelare personale”, Giuffrè, 2012, e con-curatore del Volume “Custodia cautelare e sovraffollamento carcerario”, Studi Urbinati, v. 65, n. 1, 2014.

14 novembre 2025

STRANIERI – Trattenimento amministrativo: la prima sezione penale della Corte di Cassazione solleva incidente di legittimità costituzionale

 



STRANIERI – Trattenimento amministrativo delle persone straniere ai sensi della l. n. 187 del 2024 – Art. 6, comma 2-bis, d.lgs. n. 142 del 2015, nella parte in cui prevede che il richiedente protezione internazionale permanga nel CPR fino alla decisione sulla convalida del provvedimento di trattenimento secondario eventualmente adottato dal Questore nel caso di mancata convalida del provvedimento di trattenimento pre-espulsivo adottato, ex art. 6, comma 3, d.lgs. n. 142 del 2015, nei confronti del predetto che abbia presentato la domanda in un CPR – Questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 11, 13, 14, 111 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, all’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani, all’art. 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e all’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – Rilevanza – Non manifesta infondatezza.



L’esito in sintesi

La Prima Sezione penale ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, introdotto dall’art. 1, comma 2-bis, lett. a), d.l. 28 marzo 2025, n. 37, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2025, n. 75, nella parte in cui, nel caso di mancata convalida del provvedimento di trattenimento adottato ai sensi del comma 3 del medesimo art. 6 nei confronti del richiedente che ha presentato la domanda in un centro di cui all’art. 14 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede che il richiedente permanga nel centro fino alla decisione sulla convalida del provvedimento di trattenimento eventualmente adottato dal Questore, per violazione degli artt. 3, 11, 13, 14, 111 e 117 della Costituzione, quest’ultimo con riferimento all’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, all’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani, all’art. 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e all’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

13 novembre 2025

E' applicabile il sequestro preventivo impeditivo nei confronti di un ente indagato ?





La Corte di cassazione è tornata sul controverso tema in epigrafe . Invero, i giudici di legittimità annotano come <<sul punto si siano registrate decisioni di segno opposto: secondo una prima, in tema di misure cautelari reali, il sequestro preventivo impeditivo, di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., non può essere disposto nei confronti di un ente, del quale sia stata ritenuta sussistente la responsabilità da reato (Sez. 6, n. 19717 del 12/02/2025, Pmt, Rv. 288087 - 01); secondo una seconda, al contrario, in tema di responsabilità da reato degli enti e persone giuridiche, è ammissibile il sequestro "impeditivo" di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., non essendovi totale sovrapposizione e quindi incompatibilità logico giuridica tra il suddetto sequestro e le misure interdittive (Sez. 2, n. 34293 del 10/07/2018, Sunflower, Rv. 273515 - 01)>>. La pronuncia che qui si riporta ha aderito al secondo indirizzo, rilevando che <<affermare che nel procedimento a carico di una persona fisica vi siano delle limitazioni all’applicabilità dell’art. 321 comma 1 cod. proc. pen. laddove il bene sequestrando sia riferibile ad un ente collettivo, vorrebbe dire, come affermato dal primo dei due arresti sopra richiamati, creare una inaccettabile ed illegittima zona di impunità e privare il sistema di un formidabile strumento preventivo>>(sentenza al link).

La sentenza merita peraltro di essere segnalata perchè ribadisce che <<il sequestro preventivo presuppone la preventiva individuazione del rapporto di pertinenza della res con i reati (e non con il reo) per i quali si procede (o analoghi), quindi l’accertamento della strutturalità e non della mera occasionalità di tale legame con il reato>>, né, al fine di accertare la ricorrenza del rapporto di pertinenzialità, si può fare riferimento ad <<un qualunque altro reato, poiché la funzione preventiva non può essere valutata in senso astratto, cioè nell’ottica di una generale prevenzione, in quanto ciò imporrebbe un sacrificio alla libera disponibilità del bene non connotato da concretezza e attualità, ma basato su una mera ipotesi>>. 

12 novembre 2025

La restituzione integrale del profitto come condizione di ammissibilità del patteggiamento NON riguarda il corruttore.




 

Segnaliamo due recenti pronunce di legittimità, che pur occupandosi di diversi profili della condizione di ammissibilità del patteggiamento in tema di delitti contro la pubblica amminsitrazione, ex art. art. 444-comma 1-ter c.p.p, hanno osservato che l'integrale restituzione del prezzo o del profitto, quale condizione di ammissibilità del rito, non riguarda l'art. 321 cod. pen., ovvero la corruzione dal lato attivo del corruttore, per come rilevato anche nell'ordinanza della Corte Cost., 6 luglio 2022, dep. 25 luglio 2022, n. 194. (Sentenza VI Num. 20255 Anno 2025) (Sent. VI 26109/25)

Per completezza si rimette anche il link all' ordinanza della Corte costituzionale (provvedimento Corte costituzionale al link)

11 novembre 2025

Dipendente di istituto di credito tesoriere per conto di un ente locale - Qualifica di incaricato di pubblico servizio - Configurabilità

 



Oggetto

Dipendente di istituto di credito tesoriere per conto di un ente locale - Qualifica di incaricato di pubblico servizio - Configurabilità - Sussistenza - Ragioni.

La Sesta Sezione penale, in tema di peculato, ha affermato che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dipendente di un istituto di credito, incaricato di gestire il servizio di tesoreria per conto di un ente locale, posto che la sua attività non si limita al maneggio del denaro pubblico, né all’adempimento di obblighi di pagamento impartiti dall'ente, bensì contempla una più ampia ingerenza nella complessiva attività finanziaria dell'ente, che ricomprende anche la rendicontazione, nei confronti della tesoreria provinciale, dei flussi di denaro, in entrata e in uscita, secondo modalità predeterminate per legge e finalizzate a consentire il controllo sui conti pubblici.

10 novembre 2025

MAE: Persona richiesta in consegna – Gravità delle condizioni di salute – Rifiuto della consegna – Possibilità – Limiti – Ricorribilità per cassazione dell’ordinanza emessa dalla Corte d’appello quale giudice dell’esecuzione – Sussistenza.

 



La Sesta Sezione penale, in tema di mandato d’arresto europeo, ha affermato che la Corte di appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, può rifiutare la consegna con ordinanza ricorribile per cassazione ex art. 22 legge 22 aprile 2005, n. 69, nel caso in cui, a seguito della decisione che l’abbia disposta, emergano motivi seri e comprovati per ritenere che questa espone la persona richiesta a un rischio reale di riduzione significativa della sua aspettativa di vita o di un deterioramento rapido e irrimediabile del suo stato di salute.

08 novembre 2025

Separazione delle carriere: alcune domande ad Ettore Grenci*.




Il collega Ettore Grenci, del foro di Bologna, ha recentemente sottoscritto, congiuntamente ad altri Avvocati di cultura progressista, un appello a tutta la politica, ma in particolare alle forze di opposizione, a non alimentare l'equivoco che i fautori della separazione delle carriere siano nemici della magistratura e della Costituzione e comunque strenui sostenitori dell'attuale maggioranza di Governo, auspicando che si moltiplichino le occasioni di confronto sul merito della Riforma. Abbiamo raccolto l'auspicio dei colleghi, ponendo ad Ettore, che ringraziamo, alcune domande.        


1     1) Ettore, perché sei favorevole alla separazione delle carriere?

Anzitutto grazie per questa occasione di confronto.

La risposta, per quanto mi riguarda, è semplice: per dare concreta e piena attuazione al sistema accusatorio introdotto con il codice di rito dell’88 ed alle garanzie che esso prevede per tutti coloro che si trovano a subire un processo penale. Non è un caso se in tutti i paesi in cui vige un sistema autenticamente accusatorio è sempre prevista una netta separazione tra organo inquirente ed organo giudicante. E non è un caso se questo era anche la prospettiva - non potutasi realizzare in quel frangente - di uno dei padri del nostro codice, Giuliano Vassalli.

     2)  I sostenitori del NO paventano il rischio che il PM perderebbe la cultura giurisdizionale, fin qui condivisa col Giudice, trasformandosi in un “superpoliziotto”. Ravvisi il rischio di una deriva del genere?

La risposta è in qualche modo collegata a quella precedente. Anzitutto dovremo sforzarci di comprendere che questa riforma non ha al suo centro il PM, ma il Giudice. In buona sostanza, non dobbiamo chiederci cosa potrebbe diventare il PM, che ne sarà della sua cultura giurisdizionale, ma cosa porterà alla cultura giurisdizionale dell’unico organo che deve esercitare la giurisdizione, ovvero il Giudice. Non sarà un effetto immediato, ma sono ragionevolmente convinto che nel tempo si realizzerà un ulteriore rafforzamento della cultura giurisdizionale della nostra magistratura giudicante, con l’auspicabile effetto che – così definite le rispettive posizioni processuali - anche la magistratura requirente si “contamini” di questa cultura per realizzare, con maggiore efficacia ed effettività, le proprie funzioni ed i propri scopi.

Aggiungerei, per concludere, che quel rischio che in molti paventano non esiste nella misura in cui il Pubblico Ministero agisce nell’ambito dei poteri tassativamente definiti dalle regole del codice di rito e dalla Costituzione, il cui rispetto è di per sé garanzia contro ogni forma di potenziale degenerazione inquisitoria.  

       3) Non ti pare che l’insistenza su una cultura condivisa tra PM e Giudice, in controluce manifesti una qualche impronta inquisitoria?

Ribadisco: l’unica cultura che deve essere condivisa è quella del rispetto della Legge e delle garanzie, che unisce non solo Giudici e PM ma anche l’Avvocatura. Il perimetro entro il quale si giudica un imputato è quello dettato dal codice di rito e dalle sue regole, nel rispetto dei diritti dei cittadini, punto.

Ma non mi voglio sottrarre alla tua domanda: sono convinto che tanto più si insiste sull’idea di  “necessaria vicinanza” tra organo inquirente e organo giudicante, tanto più ci si allontana dall’idea di sistema accusatorio a cui si ispirava il Legislatore sia nel 1988, con il nuovo codice processuale, sia nel 2001 con l’introduzione dell’art. 111 nella nostra Costituzione.

4) Restiamo ai lamentati rischi della revisione costituzionale: si sostiene che la separazione delle carriere sarebbe inutile, sia perché l’elevato numero di assoluzioni dimostrerebbe l’indipendenza dei Giudici, sia perché riformare i rapporti tra le due autorità giudiziarie non inciderebbe sui veri mali della giustizia. Che ne pensi ?

Chi sposta il piano dell’attenzione sui c.d. “mali della giustizia” lo fa nella consapevolezza di distogliere l’attenzione dal tema centrale della riforma, che non è, non può e non vuole essere quello di “curare” tutti i mali che affliggono il sistema giudiziario italiano, ma di garantire a tutti i cittadini un Giusto processo davanti ad un Giudice terzo ed imparziale. Se riusciremo in questo intento, avremo semplicemente dato concretezza ed attuazione ad un principio previsto dalla nostra Costituzione, che già di sé mi pare essere un nobile obiettivo, e dunque un “bene” per la Giustizia nella sua più alta accezione.

Quanto al numero delle assoluzioni, potrei obiettare che oggi esso è potrebbe essere il frutto di indagini condotte in maniera non efficace, ovvero dalla mancanza di una efficace verifica delle stesse nel momento in cui ci si trova al bivio tra la scelta di esercitare l’azione penale o chiedere l’archiviazione.

Ma potremmo anche immaginare che in un futuro, con un Giudice nettamente separato dal pubblico ministero, e dunque con una maggiore enfatizzazione della sua terzietà, le assoluzioni potrebbero essere ancora superiori ai numeri attuali. Ma siamo nel campo delle ipotesi, e dunque da prendere con tutte le cautele del caso, soprattutto per il rispetto che dobbiamo alle migliaia di persone oggi sottoposte a processi penali, magari detenute, tutte presunte innocenti, sulle cui speranze non è consentita alcuna forma di speculazione.

Voglio però aggiungere che le stesse cautele andrebbero prese da chi invece propone come verità assolute scenari futuri che non solo sono tutti ancora da dimostrare, ma che non sono neanche ipotizzabili sulla base di quanto scritto oggi nel testo della riforma, come ad esempio il tanto paventato rischio di “scivolamento” del PM sotto il controllo dell’esecutivo.

5) Guardiamo ad uno specifico aspetto della riforma. L’articolo 104 della Costituzione revisionato prevede che i componenti togati dei due organi di autogoverno siano estratti a sorte, secondo le procedure previsti dalla legge. Vorrei chiederti se condividi il ricorso al sorteggio quale metodo di scelta dei componenti del doppio “CSM”.  

Come sai, la proposta di Legge costituzionale di iniziativa popolare sulla quale l’UCPI ha raccolto oltre 70.000 firme, non prevedeva il sorteggio come modalità di scelta dei componenti togati dei due organi. D’altra parte, però, non vedo nulla di particolarmente sovversivo nella previsione di un sorteggio, per alcune semplici ragioni.

Anzitutto mi stupisco delle critiche da parte dell’ ANM su questo sistema, atteso che esso valorizza e qualifica la figura di tutti i magistrati italiani, le cui capacità, preparazione e competenza sono considerati tali da garantire di per sé la loro migliore rappresentanza.

Va poi chiarito un punto, che purtroppo pare sfuggire nel dibattito pubblico e soprattutto nella narrazione proveniente proprio dalla magistratura associata: il CSM è un organo di rilevo costituzionale, non è un organo politico rappresentativo, come appunto l’ANM. La differenza è fondamentale per comprendere come in questi anni si sia venuta a creare all’interno del CSM quella degenerazione correntizia i cui scandali hanno leso l’immagine non solo del Consiglio ma di tutta la magistratura italiana, minando fortemente la fiducia dei cittadini per essa.

 Forse il sorteggio non annullerà del tutto i rischi che tali degenerazioni si possano verificare nuovamente in futuro, ma certamente li limiterà significativamente. E questo credo sia un bene per tutti, in primis  per la stessa magistratura.

6) Ettore, recentemente, con altri colleghi, hai reso manifesta la tua cultura politica, perché trovi sbagliato il riferimento operato da alcuni oppositori della revisione ad una riforma di destra?

C’è una larga parte di Avvocatura che si ispira ad ideali politici di sinistra e che non intende assistere passivamente alla narrazione per cui questa sarebbe una “riforma di destra”, o di questa destra, o un regalo postumo a Berlusconi, fino ad arrivare a chi vaneggia della realizzazione del Piano di rinascita democratica P2 di Licio Gelli.

Se solo questo Paese avesse un po' di memoria storica – e, in questo caso, se ne avesse il principale partito della sinistra italiana oggi all’opposizione - dovrebbe ricordare, ad esempio, che il partigiano socialista Giuliano Vassalli era favorevole ad una netta distinzione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, come lo era d’altra parte anche Giovanni Falcone.

Dovrebbe anche ricordare che l’art. 111 Cost. nacque da una proposta unitaria dell’allora PDS e di Forza Italia, ed in particolare dai Senatori Cesare Salvi e Marcello Pera. Ed è proprio Cesare Salvi a ricordare, in una recente intervista, che nel referendum abrogativo sulla responsabilità dei giudici del 1987 il PCI si schierò per il sì, aggiungendo al ricordo una frase di Aldo Tortorella, dirigente della sinistra comunista: “Dobbiamo affrontare la questione della giustizia non come diritto di un ceto ma come tutela del cittadino”.

Ecco, credo che sia questo l’ideale che dovrebbe oggi indurre anche la sinistra ad una posizione favorevole sulla riforma.

Permettimi anche di dire che trovo molto grave – e anche per questo ho inteso manifestare il mio pensiero in quel documento che citavi - che si utilizzi la Carta costituzionale come clava propagandistica per colpire chi ha posizioni diverse sulla riforma, additandoli a “nemici della Costituzione”, in una assurda divisione tra chi ne è vero tutore è chi non lo è.

 Come avvocati sappiamo bene cosa vuol dire difendere la nostra Costituzione: lo facciamo ogni volta che entriamo in un’aula d’udienza per difendere la presunzione d’innocenza, la libertà personale, lo stesso diritto di difesa, magari nella difesa d’ufficio di qualcuno che non vedremo mai, oppure che non ha altri che noi a tutelarlo da un abuso di potere o a garantirgli un ultimo brandello di dignità davanti all’autorità dello Stato.

Quindi sì, una cultura di sinistra non è affatto contraddittoria rispetto alla convinzione che si possa, anzi si debba, riformare l’ordinamento giudiziario con una chiara e netta distinzione tra chi giudica e chi accusa, salvaguardandone sempre l’autonomia e l’indipendenza.

7) In un’intervista pubblicata su “Il Dubbio” del 10 ottobre scorso, il prof. Giorgio Spangher ha lamentato il pericolo, in caso di vittoria del “NO”, di una legittimazione politica della magistratura. Che ne pensi ?  

Su questi temi le parole del Prof. Spangher vanno sempre ascoltate e considerate con attenzione, non solo perché a pronunciarle è uno tra i più grandi studiosi contemporanei del processo penale, ma anche per la profonda conoscenza del nostro ordinamento giudiziario che gli deriva anche dall’aver rivestito il ruolo di componente laico del CSM.

Quello che personalmente mi preoccupa - e mi preoccuperebbe maggiormente se fossi un magistrato - è che, al di là di scenari futuri, vedo questo pericolo affacciarsi sempre più nell’attualità.

Ingaggiare oggi una battaglia politica (o, peggio, ideologica) non solo contro questa riforma ma anche contro chi la propone, proporre l’idea di una divisione in tifoserie di amici e nemici della Costituzione, prefigurare scenari apocalittici di possibili derive autoritarie qualora vincesse il “si” al referendum, e magari avvicinandosi pericolosamente a posizioni e strategie di partiti politici che ne sono oppositori, sono di per sé scelte e comportamenti che, inevitabilmente, comportano un concreto rischio di delegittimazione. Non si può infatti non scorgere il pericolo che, così facendo, si finisce per accreditare l’idea di una magistratura che si trasforma essa stessa in partito politico, con un inevitabile pregiudizio non solo alla sua immagine davanti ai cittadini, ma soprattutto a quella indipendenza ed autonomia che con così tanta forza proprio la magistratura invoca quali principi irrinunciabili che la riforma metterebbe in pericolo.

Parimenti intollerabile, a parti invertite, è la delegittimazione della Magistratura da parte della Politica, magari quando si è al cospetto di una sentenza non gradita. Su questo l’Avvocatura ha sempre fatto sentire la propria voce, pretendendo il rispetto dei ruoli e delle funzioni, e anche manifestando solidarietà a singoli magistrati talvolta coinvolti in campagne mediatiche denigratorie.

In questo senso, credo si imponga, per la stessa tenuta democratica del Paese, uno sforzo comune per riaffermare la centralità e l’importanza del principio della separazione dei poteri, e dunque per orientare in questa direzione le scelte e i comportamenti delle parti che li rappresentato.

Partendo da questa fondamentale premessa, occorre poi urgentemente riportare la discussione su questa riforma su un piano tecnico, certamente anche con il linguaggio semplice della politica, ma sfrondandola da qualsiasi strumentalizzazione ideologica o propagandistica. Se non sarà così, finiremo per snaturare lo strumento referendario ed il suo significato di straordinaria occasione di democrazia diretta. E a quel punto la delegittimazione riguarderà tutti, perché riguarderà la stessa idea di democrazia. 


 (*) Ettore Grenci: Avvocato del Foro di Bologna, Referente della "Commissione diritti umani e carcere" del COA di Bologna, Componente dell’osservatorio Corte Costituzionale UCPI, responsabile della scuola territoriale della CP di Bologna.

07 novembre 2025

Impugnazioni - Terzo interessato che deduca l’errore di fatto in cui sia incorsa la Corte di cassazione – Rimedio esperibile – Individuazione.

 


La Sesta Sezione ha affermato, in tema di confisca, che il terzo interessato, che intenda dedurre l’errore di fatto in cui sia incorsa la Corte di cassazione, non è legittimato a presentare ricorso straordinario ex art 625-bis cod. proc. pen., in quanto mezzo di impugnazione esperibile solo dal soggetto condannato, né può chiedere la correzione dell’errore materiale, posto che l’emenda del vizio dedotto comporterebbe una modificazione essenziale dell’atto, ma può attivare l’incidente di esecuzione, ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen., trattandosi del rimedio operante, in generale, nelle ipotesi in cui la posizione del terzo sia stata di fatto pretermessa.

06 novembre 2025

Rigetto della richiesta di invio al centro per la giustizia riparativa: ricorribile anche per cassazione - SS.UU. del 30/10/2025 R.G. n. 4108/2025

 





Avevamo anticipato la pendenza della Questione (link):

Se sia ricorribile per cassazione il provvedimento del giudice di merito di rigetto della richiesta di invio al Centro per la giustizia riparativa per l'avvio di un programma di giustizia riparativa e, nell'ipotesi affermativa, in quali casi e per quali motivi.

Diamo ora notizia della Decisione del 30/10/2025

Il provvedimento del giudice di merito di rigetto della richiesta di invio al Centro per la giustizia riparativa per l'avvio di un programma di giustizia riparativa è impugnabile con l'appello o con il ricorso per cassazione unitamente alla sentenza conclusiva del relativo grado e indipendentemente dal regime di procedibilità del reato.

05 novembre 2025

Vi sono limiti al potere di integrazione officiosa del 441 comma 5 c.p.p.?

 

La Corte di cassazione è stata adita con un ricorso a mezzo del quale, la difesa lamentava che l'integrazione probatoria, disposta in sede di giudizio abbreviato, <<avrebbe violato il divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (come affermato, ad esempio, da Sez. 3, n. 33939 del 16/06/2010, Anzaldo, Rv. 248229)>>. Infatti- ad avviso del ricorrente- il giudice <<avrebbe ricercato un nuovo impianto accusatorio del tutto avulso dallo stato degli atti>>, così sostituendosi al pubblico ministero <<nella ricerca di elementi di prova idonei a verificare (e non già a confermare) se l'imputata abbia commesso il reato contestato>>. Sulla scorta di tali preemesse i difensori allegavano l'inutilizzabilità delle prove assunte nel corso dell'integrazione probatoria. 

 La Corte, pur ritenendo infondata la doglianza, ha <<escluso che il giudice possa seguire un autonomo percorso di indagine su elementi di fatto non esplorati dalle parti e risultanti già dagli atti>>, all' uopo, richiamando Sez. 5, n. 15124 del 19/3/2002, Ranieri, Rv. 221322.

Tuttavia i giudici di legittimità hanno ribadito che:

- il ricorso del giudice dell'abbreviato ai poteri istruttori di cui all'art. 441, comma 5, cod. proc. pen., richiede non la totale assenza di informazione probatoria, al cui cospetto nessuna integrazione sarebbe ammissibile, ma esclusivamente l'incompletezza di essa e che le lacune debbano essere colmate per l'acquisizione non di un qualsiasi elemento, ma solo di quelli necessari per decidere (si vedano, tra molte: Sez. 3, n. 20237 del 7/2/2014, Casalati, Rv. 259644; Sez. 3, n. 12842 del 16/1/2013, Gambarini, Rv. 255109; Sez. 5, n. 36335 del 30/4/2012, R., Rv. 254027);

- l'integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell'art. 441, comma quinto, cod. proc. pen., può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all'imputato, atteso che gli unici limiti a cui è soggetto l'esercizio del relativo potere sono costituiti dadivieto lla necessità ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l'assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Sez. 6, n. 17360 del 13/04/2021, Prevete, Rv. 280968 - 01, in motivazione, la Corte ha precisato che la scelta unilaterale del rito alternativo da parte dell'imputato non può fondare alcuna aspettativa circa un preteso diritto ad essere giudicati sulla sola base degli atti disponibili al momento dell'ordinanza di ammissione del rito, essendo rimesso al giudice di valutare l'eventuale incompletezza delle indagini e la conseguente impossibilità di decidere allo stato degli atti, disponendo la necessaria integrazione istruttoria; conf. Sez. 4, n. 34702 del 20/05/2015, Giorgi, Rv. 264407) (sentenza al link)

04 novembre 2025

Conflitto e cautela: Il dilemma della competenza che paralizza la libertà - La questione alle Sezioni Unite (udienza fissata al 15 gennaio 2026)

 



Abstract


L'ordinanza (al link) della Corte Suprema di Cassazione (Prima Sezione Penale) affronta una questione di conflitto di competenza in materia di misure cautelari e giurisdizione territoriale
Il nodo giuridico centrale è stabilire se sussista un conflitto negativo di competenza nel caso in cui un giudice, pervenutogli il fascicolo a seguito della declaratoria di incompetenza di un altro giudice, prima disponga una misura cautelare (per evitarne la decadenza ai sensi dell'art. 27 cod. proc. pen.) e successivamente sollevi conflitto, dichiarandosi a sua volta incompetente.

La Corte rileva un profondo e irriducibile contrasto giurisprudenziale al proprio interno tra due orientamenti opposti:

L'Orientamento Prevalente: Nega la sussistenza del conflitto. L'adozione della misura cautelare da parte del secondo giudice costituisce una dichiarazione implicita di competenza, che fa cessare il conflitto e consente al procedimento principale di proseguire.

L'Orientamento Minoritario/Recentissimo: Ammette il conflitto. Il provvedimento cautelare è un atto meramente interinale e urgente per tutelare la libertà personale, che non impedisce al giudice di contestare la propria competenza. La doppia declaratoria di incompetenza crea uno stallo procedimentale superabile solo con l'intervento della Cassazione.

Alla luce di questo contrasto, che investe principi fondamentali in tema di riparto di competenza e libertà personale, la Prima Sezione Penale non decide nel merito e rimette il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affinché forniscano un'indirizzo interpretativo autorevole e uniforme.

Parole Chiave: Conflitto di Competenza, Misure Cautelari, Articolo 27 Codice di Procedura Penale, Giudice Naturale, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Stallo Processuale.


**Sintesi dell'Ordinanza della Corte di Cassazione Penale - Sez. I - n. 2526/2025 (A.I)**


 **1. Oggetto della Questione**

L'ordinanza si occupa di risolvere un **conflitto negativo di competenza** sollevato dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Alessandria. La questione giuridica centrale è la seguente:


 Se sussista conflitto negativo di competenza quando un GIP, ricevuti gli atti a seguito della dichiarazione di incompetenza di un altro giudice (che aveva applicato misure cautelari in via provvisoria), prima applichi a sua volta una misura cautelare (ex art. 27 c.p.p.) e poi sollevi conflitto dichiarandosi incompetente (ex art. 28 c.p.p.), invece di limitarsi a sollevare il conflitto senza adottare provvedimenti.


**2. Contesto di Fatto**

*   Procedimento: Indagini per una serie di truffe aggravate a danno di anziani, commesse da un gruppo di persone con modalità simili (simulazione di appartenenza alle Forze dell'Ordine per estorcere denaro).

*   Sequenza degli eventi:

    1.  Il GIP di Verbania applica misure cautelari ma si dichiara incompetente per territorio, indicando come competente il Tribunale di Alessandria e trasmettendo gli atti.

    2.  Il GIP di Alessandria, investito della richiesta, **prima rinnova le misure cautelari** (custodia in carcere e arresti domiciliari) per non farle decadere, e **poi solleva conflitto negativo di competenza**, dichiarandosi a sua volta incompetente.

*   **Motivazione del GIP di Alessandria:** Ha agito seguendo un recente orientamento della Cassazione (Sez. 6 - Sent. Borgese e Collicenza) secondo cui la misura cautelare del primo giudice perde efficacia se non rinnovata entro 20 giorni dal giudice "ad quem", e il sollevamento del conflitto **non sospende** il procedimento né il termine perentorio per la rinnovazione.


 **3. Il Contrasto Giurisprudenziale (Considerato in Diritto)**

La Prima Sezione Penale evidenzia un **profondo contrasto** nella giurisprudenza della Corte stessa, che necessita dell'intervento delle **Sezioni Unite** per essere risolto. Il contrasto si articola tra due orientamenti opposti:


**A) Orientamento Prevalente (che NEGA il conflitto)**

*   **Principio:** Non sussiste conflitto negativo se il giudice, pur dichiarandosi incompetente, compie l'atto per cui è stato investito (in questo caso, la misura cautelare).

*   **Motivazione:** Il compimento dell'atto costituisce una **dichiarazione implicita di competenza**, che fa cessare il conflitto ai sensi dell'art. 29 c.p.p. Inoltre, non si verifica quello "stallo processuale" che è il presupposto per il conflitto, poiché il procedimento principale può continuare.

*   **Riferimenti:** Sez. 1, n. 39874/2012 (Commisso); Sez. 1, n. 23854/2016 (Tunnara); Sez. 1, n. 8661/2018 (Esti).


**B) Orientamento Minoritario/Recentissimo (che AMMETTE il conflitto)**

*   **Principio:** È ammissibile il conflitto anche se il giudice ha emesso la misura cautelare, se l'ha fatto con **finalità meramente interinali e urgenti** per evitare la decadenza della misura, senza con ciò voler riconoscere la propria competenza.

*   **Motivazione:** Lo **stallo processuale** si verifica ugualmente perché due giudici si sono dichiarati incompetenti. L'urgenza di tutelare la libertà personale (rinnovando la misura) non deve vanificare la questione di competenza. La proposizione del conflitto non sospende il procedimento (art. 30 c.p.p.), quindi il giudice è tenuto ad agire.

*   **Riferimenti:** Sez. 1, n. 2993/2019; Sez. 1, n. 732/2025; **Sez. 6, n. 6731/2024 (Borgese)** e **Sez. 6, n. 1288/2024 (Collicenza)**.


#### **4. Punti Specifici del Contrasto**

Il contrasto si radicalizza sull'interpretazione di tre norme chiave:

1.  **Art. 27 c.p.p. (Termine perentorio per la rinnovazione delle misure):**

    *   **Orientamento A:** Il giudice "ad quem" deve scegliere: o rinnovare la misura (e quindi esercitare la competenza) o sollevare conflitto.

    *   **Orientamento B:** Il giudice può e deve rinnovare la misura per urgenza, senza che questo pregiudichi la possibilità di sollevare un legittimo conflitto.

2.  **Art. 29 c.p.p. (Cessazione del conflitto):**

    *   **Orientamento A:** L'adozione della misura cautelare equivale a una dichiarazione di competenza che fa cessare il conflitto.

    *   **Orientamento B:** La rinnovazione è un atto d'urgenza, non una dichiarazione di competenza, quindi il conflitto sussiste.

3.  **Art. 32, comma 3, c.p.p. (Decorrenza dei termini dopo la decisione sul conflitto):**

    *   **Orientamento A:** Questa norma implicherebbe che il termine di 20 giorni per la rinnovazione parta dalla decisione della Cassazione, "congelando" l'efficacia della prima misura.

    *   **Orientamento B:** La norma si riferisce solo a un nuovo termine che scatta *dopo* la sentenza della Cassazione, e non sospende il termine iniziale di 20 giorni.


 **5. Decisione della Corte (Provvedimento)**

Data l'irriducibilità del contrasto giurisprudenziale su una questione che coinvolge il riparto di competenza e i diritti fondamentali della libertà personale, la **Prima Sezione Penale non decide nel merito**, ma **rimette il ricorso alle Sezioni Unite** della Corte di Cassazione, affinché sia quest'ultima a fornire una interpretazione autorevole e uniforme della legge.


---


In sintesi, questa ordinanza fotografa una **lacerazione interna alla giurisprudenza di legittimità** su una procedura fondamentale, chiedendo l'intervento supremo delle Sezioni Unite per chiarire se l'esigenza di non far decadere una misura cautelare (art. 27 c.p.p.) possa coesistere con la legittimità di un conflitto di competenza (artt. 28 e ss. c.p.p.).

Ultima pubblicazione

In caso di mancata risposta dellla P.A. alla richiesta di indagini difensive, ricorre un'omissione di atti di ufficio

  La Corte di cassazione ha considerato che << la sussunzione della richiesta nella fattispecie delle indagini investigative prevista...

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