Rinvio pregiudiziale - Rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare in uno Stato membro - Direttiva 2008/115/CE - Principio di non refoulement - Obbligo, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio la violazione del principio di non respingimento in sede di esecuzione di una decisione di rimpatrio - Portata - Articoli 4, 19, par. 2 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
La Terza Sezione della Corte di Giustizia, con sentenza del 17 ottobre 2024, si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunale dell’Aia (Paesi Bassi), nell’ambito di una controversia tra quattro cittadini di un paese terzo (due dei quali avevano allegato, a sostegno della loro domanda di protezione internazionale, di essersi “occidentalizzati”, avendo adottato le norme ed i valori prevalenti nel Regno dei Paesi Bassi e di temere, in caso di ritorno nel paese d’origine, di trovarsi in una situazione che il principio di non respingimento vieta) e il Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza dei Paesi Bassi quanto alla legittimità di una decisione che respinge la loro domanda di permesso di soggiorno previsto dal diritto nazionale e dispone l’esecuzione di una decisione di rimpatrio, precedentemente adottata nell’ambito di una procedura di protezione internazionale.
La Corte, rispondendo alla terza questione pregiudiziale (ritenuta preliminare), dopo aver ribadito che gli Stati membri non possono allontanare, espellere o estradare uno straniero quando esistono seri e comprovati motivi di ritenere che, nel paese di destinazione, egli vada incontro a un rischio reale di subire trattamenti dagli artt. 4 e 19, par. 2, della Carta (§ 36), ha affermato che l’articolo 5 della direttiva 2008/115, letto alla luce degli articoli appena citati impone all’autorità nazionale di procedere, prima dell’esecuzione della decisione di rimpatrio, a una valutazione aggiornata dei rischi cui va incontro il cittadino di un paese terzo di essere esposto a trattamenti vietati in termini perentori da queste due disposizioni della Carta. Tale valutazione, prosegue la Corte, “deve essere distinta e autonoma rispetto a quella effettuata al momento dell’adozione di detta decisione di rimpatrio, deve consentire all’autorità nazionale di assicurarsi, tenendo conto di qualsiasi mutamento delle circostanze verificatosi nonché di ogni nuovo elemento eventualmente dedotto da tale cittadino di paese terzo, che non sussistano motivi seri e comprovati di ritenere che detto cittadino di un paese terzo sarebbe esposto, in caso di rimpatrio in un paese terzo, a un rischio reale di essere sottoposto, in quest’ultimo, alla pena di morte, alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti” (§ 38).
Con riferimento alla prima questione pregiudiziale, richiamando espressamente le conclusioni dell’Avvocato Generale de la Tour, la Corte ha affermato che “la tutela giurisdizionale garantita dall’articolo 47 della Carta e concretizzata all’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115 non sarebbe né effettiva né completa se il giudice nazionale non avesse l’obbligo di constatare d’ufficio la violazione del principio di non respingimento, quando gli elementi del fascicolo portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti nel corso del procedimento in contraddittorio dinanzi ad esso, tendono a dimostrare che la decisione di rimpatrio è basata su una valutazione obsoleta dei rischi di trattamenti vietati da tale principio, incorsi dal cittadino di un paese terzo interessato qualora dovesse ritornare nel paese terzo di cui si tratta, e di trarne tutte le conseguenze quanto all’esecuzione di tale decisione” (§ 50).
In merito alla questione relativa all’eventuale differenza del contenuto dei poteri del giudice in ragione del fatto che il rispetto del principio di non refoulement si debba valutare nell’ambito di un procedimento volto ad ottenere la protezione nazionale o la protezione internazionale, ha Corte ha affermato che: “l’esistenza di tale obbligo del giudice nazionale di vigilare, eventualmente d’ufficio, sul rispetto del principio di non respingimento si impone allo stesso modo nell’ambito di un procedimento di protezione internazionale e in quello di un procedimento, come il procedimento principale, avviato con una domanda di permesso di soggiorno previsto dal diritto nazionale” (§ 51).
Sulla prima questione pregiudiziale, la Corte ha così affermato che: “l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 5 di quest’ultima, nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, e l’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che impone ad un giudice nazionale, investito del controllo di legittimità di un atto con il quale l’autorità nazionale competente ha respinto una domanda di permesso di soggiorno previsto dal diritto nazionale, e, così facendo, ha posto fine alla sospensione dell’esecuzione di una decisione di rimpatrio adottata precedentemente nell’ambito di un procedimento di protezione internazionale, di rilevare d’ufficio l’eventuale violazione del principio di non respingimento risultante dall’esecuzione di quest’ultima decisione, sulla base degli elementi del fascicolo portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti in esito a un procedimento in contraddittorio” (§ 52).