La
Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione rilevava, con riguardo alla
questione sul concorso fra i reati di atti persecutori e di omicidio aggravato
ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, l'esistenza di due contrastanti
orientamenti giurisprudenziali:
Ø l’uno,
riferibile a Sez. 1, n. 20786 del 12/04/2019, richiamato nella sentenza
impugnata, secondo cui sussiste un concorso tra le norme incriminatrici e non
un rapporto di specialità ex art. 15 c.p.. Inoltre, ponendo in rilievo
l'identità dell'autore dei due reati, considera la natura soggettiva
dell'aggravante di cui all'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1 che escluderebbe
l’art. 84 c.p. 1 comma che presuppone l'interferenza fra le norme incriminatrici
su un fatto oggettivo, comune agli ambiti applicativi delle stesse;
Ø l’altro,
riconducibile a Sez. 3, n. 30931 del 13/10/2020, secondo cui nell’omicidio
aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1 ricorrerebbe invece una
figura di reato complesso ex art. 84 c.p., che assorbe il delitto di cui
all'art. 612-bis c.p., escludendo il concorso fra i reati di omicidio e atti
persecutori sulla indubitabile circostanza che trattasi di una condotta
persecutoria da parte dello stesso autore nei confronti della medesima vittima.
La questione
rimessa alle Sezioni Unite veniva quindi proposta sulla base del seguente
quesito:
"Se,
in caso di omicidio commesso dopo l'esecuzione di condotte persecutorie poste
in essere dall'agente nei confronti della medesima persona offesa, i reati di
atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1,
n. 5.1 concorrano tra loro o sia invece ravvisabile un reato complesso, ai
sensi dell'art. 84 c.p., comma 1".
Le Sezioni
Unite aderiscono al secondo indirizzo interpretativo escludendo
in primo limine l’applicabilità del concorso apparente di norme tra gli
artt. 575 e 612 bis c.p., a mente dei precedenti giurisprudenziali richiamati [2]
non presentando le norme elementi tra loro comuni né con riguardo alle condotte
né agli eventi. In buona sostanza si fondono due fatti illeciti penalmente, sia
pure nell'ambito di un reato dominante che assorbe l'altro.
Ciò posto, il
Supremo Collegio procede con la disamina della fattispecie del reato complesso
concludendo, a seguito di un articolato e condivisibile ragionamento, che i
reati di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p.,
comma 1, n. 5.1 non concorrano tra loro ma siano riconducibili nell’alveo dell’ipotesi
dell'art. 84 c.p., comma 1.
Ed
invero, l'art. 84 c.p.
costituisce norma di chiusura del capo III dedicato al concorso di reati [3]
laddove il reato complesso può manifestarsi sotto una duplice accezione:
i)
quella i cui elementi costitutivi sono rappresentati
da singoli reati che danno vita ad un'autonoma figura criminosa[4]
ii)
quella in cui i singoli illeciti, che vengono a
comporre il reato complesso, assumono rispettivamente natura di elemento
costitutivo e di circostanza aggravante dove il titolo del c.d. reato-base
resta perciò inalterato[5].
Il caso
sottoposto viene peraltro ricondotto dalle Sezioni Unite all’ipotesi del cd.
“reato complesso circostanziato".
In tale
categoria rientrano le ipotesi in cui un reato compare come eventuale elemento
costitutivo o eventuale circostanza aggravante di un altro reato
per cui ad una fattispecie-base, distintamente prevista come reato, si aggiunge
quale circostanza aggravante un fatto autonomamente incriminato da altra
disposizione di legge.
Nella
verifica se l’art. 84 1° comma c.p. sia applicabile nei reati di atti persecutori
e di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, vengono fissati
alcuni punti fermi ritenendo le S.U. necessario che per l’applicabilità del
reato complesso:
-
l'elemento
costitutivo o la circostanza aggravante del reato complesso abbiano ad oggetto
un fatto oggettivamente identificabile come tale, non ricorrendo la fattispecie
in esame qualora la norma incriminatrice consideri solo una mera qualificazione
soggettiva del soggetto agente;
-
il
fatto sia inserito nella struttura del reato complesso nella completa
configurazione tipica con la quale è previsto quale reato da altra norma
incriminatrice;
-
il
fatto deve essere previsto dalla norma incriminatrice, che si assume
configurare un reato complesso, quale componente necessaria della relativa
fattispecie astratta, non essendone rilevante l'eventuale ricorrenza nel caso concreto
quale occasionale modalità esecutiva della condotta.
I
tratti strutturali della fattispecie normativa del reato complesso, delineati
all’art. 84 c.p., richiedono del resto la previsione testuale di più fatti di
per sé costituenti autonomi e diversi reati, puntualmente riconducibili a
distinte fattispecie incriminatrici.
Nel
caso dell’omicidio aggravato da atti persecutori, il legislatore ha chiaramente voluto
punire con maggiore severità la condotta persecutoria il cui esito finale è il
delitto di cui all’art. 575 c.p., per cui le pene stabilite per i singoli reati
sono assorbite in quella prevista dal reato complesso laddove i fatti sono
ricondotti ad un contesto criminoso unitario, hanno una comune matrice
ideologica e sono protesi verso un unico risultato finale.
In
particolare, l’unitarietà del fatto ad avviso delle Sezioni Unte, costituisce
un ulteriore e determinate elemento sostanziale che connota il reato complesso
che la giurisprudenza ha arricchito attraverso l’invocata contestualità
spaziale e temporale fra i singoli fatti criminosi e la loro comune prospettiva
finalistica non meramente occasionale.
Le S.U., aderendo come
detto al secondo degli orientamenti giurisprudenziali richiamati, ritengono quindi
che l’omicidio
volontario aggravato ai sensi dell’576, comma 1, n. 5.1, c.p. debba ricondursi
all’ipotesi di cui all’art. 84 c.p., presentando le caratteristiche strutturali
del reato complesso circostanziato che include il reato di atti persecutori in
una specifica forma aggravata del reato di omicidio, anche alla luce del fatto
che:
-
il reato di atti persecutori è richiamato
nella stessa previsione circostanziale mediante la citazione della relativa
norma incriminatrice ("dell'autore del delitto previsto dall'art.
612-bis nei confronti della stessa persona offesa");
-
l'espressione della norma attribuisce
valore ulteriore al solo titolo di reato richiamato ponendo in analogo risalto
l'essere i due reati diretti contro la medesima persona, e quindi all'identità
della vittima dei reati;
-
dal contenuto dei lavori preparatori al
D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla L. 23 aprile
2009, n. 38, introduttivo della circostanza aggravante in esame dai quali
appare evidente l’intenzione di punire con il massimo della pena fatti
omicidiari in danno di vittime di atti persecutori da parte degli stessi autori
di tali atti.
Attesa
la chiara scelta legislativa, si può sgombrare il campo dalle obiezioni
giurisprudenziali di segno contrario [6], in quanto affinché si
possa operare l’assorbimento del reato di atti persecutori in quello di
omicidio, oltre alla contestualità dei fatti criminosi è necessaria la
prospettiva finalistica nella quale i fatti sono realizzati, dove fra le
caratteristiche del reato complesso vi è proprio la presenza dell’unitarietà
del fatto in termini finalistici oltre che contestuali.
Tale
prospettiva finalistica, se da un lato esclude l’assorbimento degli atti persecutori
nell’omicidio laddove quest’ultimo venga commesso a distanza di tempo dal
primo, dall’altro esclude la riconducibilità nell’alveo dell’art. 84 c.p. nelle
lesioni aggravate ex art. 585 c.p. cagionate dallo stalker, nonostante il
richiamo all’art. 576 c.p., che nell’esperienza giudiziaria si presentano come
collaterali all’azione criminosa dell’agente.
Sullo
stesso crinale non osta alla applicazione del reato complesso la natura di
reato istantaneo dell’omicidio con quella abituale degli atti persecutori né la
supposta eliminazione o riduzione degli effetti sanzionatori di cui all’art.
612 bis c.p. attesa la pena massima stabilità dall’autore dell’omicidio
aggravato, appunto, dalla condotta persecutoria.
Alla luce di quanto sopra esposto le Sezioni Unite in risposta al quesito sopra riportato, affermano il seguente principio di diritto: "La fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi dell'art. 575 c.p. e art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1 - punito con la pena edittale dell'ergastolo - integra un reato complesso, ai sensi dell'art. 84 c.p., comma 1, in ragione della unitarietà del fatto".
* Fabio Ballarini è Avvocato del Foro di Roma, Cassazionista, autore di pubblicazioni in riviste scientifiche, ha collaborato alla redazione di diverse opere monografiche. Svolge il ruolo di Consigliere del Consiglio Distrettuale di Disciplina della Corte di Appello di Roma nonché di Componente della Commissione del Centro Studi dell’Ordine degli Avvocati di Roma, della Commissione della Crisi di impresa dell’Ordine degli Avvocati di Roma e della Commissione di Diritto societario dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
[1]
L’imputata
veniva giudicata con giudizio abbreviato dinanzi al Tribunale di Latina che, riconosciute
le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, la condannava alla pena di sedici anni di
reclusione per la continuazione fra il reato di cui all'art. 612-bisc.p. e
quello di cui all'art. 575 c.p., quest'ultimo aggravato dai futili motivi e
dalla commissione del fatto ad opera di persona responsabile del reato di atti
persecutori in danno della stessa vittima dell'omicidio. La Corte di assise di
appello di Roma assolveva peraltro l’imputata dall'imputazione di atti
persecutori per insussistenza del fatto e riqualificava il reato di omicidio
volontario come preterintenzionale escludendo altresì le aggravanti e
rideterminando la pena in 6 anni di reclusione. A seguito di ricorso per
Cassazione la Iª Sezione della Corte di Cassazione annullava con rinvio la
sentenza impugnata.
[2] Cfr. Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla; Sez. U, n. 1963 del
28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011,
Giordano.
[3] Nel codice penale la figura del reato complesso è
espressamente richiamata nell' art. 131 dove è previsto che “nei casi preveduti dall'art. 84, per il
reato complesso si procede sempre d'ufficio, se per taluno dei reati, che ne
sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti, si deve procedere di uffici”;
nell' art. 170, 2° co., ove si precisa che “la causa estintiva di un
reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato
complesso, non si estende al reato complesso”; nell’art. 301, ult. co. ove, nell’ambito dei
delitti contro la personalità dello Stato, si prevede che “quando l'offesa
alla vita, all'incolumità, alla libertà o all'onore è considerata dalla legge
come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato, questo
cessa dal costituire un reato complesso, e il colpevole soggiace a pene
distinte, secondo le norme sul concorso dei reati, applicandosi, per le dette
offese, le disposizioni contenute nei capi precedenti”.
[4] Ad
esempio la rapina, la quale è composta dal furto e dalla
violenza privata, il sequestro di persona a scopo di estorsione nel quale
confluiscono le fattispecie di cui agli artt. 605 e 629 c.p..
[5]
È il caso del furto aggravato dalla violazione di domicilio ex art. 625, n. 1 c.p..
[6]
Si veda in Penale
Diritto e Procedura, commento a Cass., sez. V, 1 marzo 2021, n. 14916, Mattia Di Florio
“Lo
stalker uccide la sua vittima: concorso di reati o reato complesso?”