Per la sezione di deontologia ospitiamo un contributo inviatoci dal collega Fabio Ballarini, consigliere del CDD del distretto di Roma, che ringraziamo.
Profili penali del procedimento disciplinare dinanzi ai
Consigli Distrettuali di Disciplina
Forensi
Sommario: 1. Inquadramento sistematico – 2. Natura giuridica del procedimento disciplinare. - 3. Azione disciplinare e procedimento penale -4. La sospensione cautelare. 5. Considerazioni conclusive.
1. Inquadramento sistematico.
Nel
regime normativo previgente alla L. 247/2012, risalente ai regi decreti n. 1578
del 1933 e n. 37 del 1934 [1], sussisteva una
concentrazione in capo ai singoli Consigli degli Ordini delle funzioni di
impulso dell’azione disciplinare, di istruttoria e di decisione, con una
impropria osmosi della fase requirente e decisoria a cui era necessario porre
rimedio.
Il
Legislatore, ha istituito, dal gennaio 2015, i Consigli Distrettuali di
Disciplina (nel prosieguo CDD) ovvero gli organismi ai quali la nuova legge
dell’ordinamento professionale forense conferisce il compito del controllo
disciplinare sugli avvocati iscritti all’albo.
I
CDD sono costituiti su base distrettuale, garantiscono il controllo
disciplinare in assoluta imparzialità, visto che il nuovo sistema elimina ogni
connessione tra eletto ed elettore. Ed invero, i componenti dei consigli
distrettuali di disciplina sono eletti dai consiglieri dei consigli dell’ordine
del distretto, riuniti in distinti seggi elettorali, su base capitaria e
democratica, con il rispetto della rappresentanza di genere.
Nell’ambito del
procedimento disciplinare demandato ai CDD le fonti normative risultano
costituite dalla L. 274/2012 (Titolo V, artt. 50 a 67), dal Regolamento n.
2/2014 del C.N.F. ed ovviamente dal nuovo Codice
Deontologico Forense.[2]
L’art.
65 della
L. n. 247 del 2012, testualmente recita che "le norme contenute nel
codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al
momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato". Sotto
un profilo sostanziale il NCDF, è informato al principio
della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante, “per
quanto possibile”[3].
Poiché
la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti
anche della vita privata costituenti illecito disciplinare non ne consente una
individuazione dettagliata e tassativa, ove l’illecito non sia stato
espressamente previsto/tipizzato dalla fonte regolamentare, deve quindi essere
ricostruito sulla base della legge e del Codice Deontologico, a mente del quale
l’avvocato “deve essere di condotta irreprensibile” [4].
Nel
caso di illecito atipico, inoltre, per la determinazione della relativa pena
dovrà farsi riferimento ai principi generali ed al tipo di sanzione applicabile
in ipotesi che presentino, seppur parzialmente, analogie con il caso specifico.
[5]
Nell’ambito del
procedimento disciplinare poi, l’applicazione delle norme di diritto
sostanziale riconducibili al codice deontologico forense si caratterizzano per
il fatto che le sanzioni disciplinari ivi contenute hanno natura
amministrativa con la conseguenza che, con riferimento al regime giuridico
della prescrizione, non è applicabile lo jus superveniens, ove più
favorevole all'incolpato.[6]
Peraltro,
mentre la nuova legge professionale è entrata in vigore il 2
febbraio 2013 le due restante fonti sono entrate
entrambe in vigore il 1° gennaio 2015. Ne consegue che, possono pertanto
costituire oggetto di indagine gli illeciti deontologici commessi: prima
dell’entrata in vigore della legge professionale, ovvero, successivamente ad
essa così come i fatti commessi tra l’entrata in vigore della L. 247/2012 ed il
NCD. Nella casistica vanno altresì annoverati gli illeciti deontologici
permanenti [7],
per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge professionale, nei
quali la condotta è connotata dalla continuità della violazione deontologica
che è destinata a protrarsi fino alla sua effettiva cessazione. Ai sensi dell’art. 56 L. n. 247/2012, l’azione
disciplinare si prescrive nel termine di sei anni (comma 1), che decorre dalla commissione
del fatto o dalla cessazione della sua permanenza ovvero, se questo costituisce
anche reato per cui sia stato promosso procedimento penale, dalla data di
definizione del processo stesso con sentenza irrevocabile; l’interruzione della
prescrizione fa decorrere un nuovo termine di cinque anni (comma 3), ma in
nessun caso il termine prescrizionale complessivo può essere superiore a sette
anni e sei mesi.[8]
Per quanto invece
concerne le norme di procedura la giurisprudenza delle Sezioni Unite [9] ha chiarito che nel
procedimento disciplinare trovano applicazione le norme particolari che, per
ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, nelle
fasi innanzi al CNF in grado di appello, quelle del codice di procedura civile,
mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle
ipotesi in cui la legge professionale vi faccia espresso rinvio, ovvero
allorché sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento
esclusivamente nel codice di procedura penale. Innanzi al CDD “.. per quanto
non specificamente disciplinato…” nella L.247/12 o nel Regolamento n. 2/14
CNF, si applicano in via sussidiaria, “.. le norme del codice di procedura
penale se compatibili..” (art. 59, lett. n) L.247/12).
2.
Natura giuridica del procedimento disciplinare.
Il procedimento disciplinare ha
natura amministrativa e si svolge secondo i principi costituzionali di
imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, non si applica tanto
l’art. 111 Cost. (con i correlativi ivi enunciati principi del giusto processo,
pertinenti alla sola attività giurisdizionale), quanto piuttosto l’art. 97,
comma 1, Cost., secondo il quale vanno assicurati il buon andamento e
l’imparzialità dell’amministrazione [10].
In un recente arresto le Sezioni
Unite Civili della Corte di Cassazione[11],
hanno ulteriormente chiarito che il procedimento disciplinare di primo grado ha sì natura
amministrativa, ma speciale e, pertanto, non trovano
applicazione l’art. 24 Cost. e l’art. 6 CEDU in tema di ragionevole durata del
processo, né l’art. 2 l. n. 241/1990 sulla durata del procedimento
amministrativo, giacché la mancata previsione di un termine finale del
procedimento disciplinare è coessenziale al fatto che esso debba avere una
durata sufficiente per consentire all’incolpato di sviluppare compiutamente la
propria difesa.
La natura
amministrativa e non giurisdizionale del procedimento disciplinare si riverbera
anche rispetto alla natura provvedimentale (e non giurisdizionale) del relativo
provvedimento sanzionatorio. In sintesi:
-
le udienze in sede disciplinare non saranno
accessibili al pubblico, essendo la pubblicità delle udienze tipica dei
processi e non dei procedimenti amministrativi;
-
saranno applicabili le regole sul procedimento e
sul provvedimento amministrativo relative alla motivazione, accesso agli atti,
contraddittorio, esercitabilità dell’autotutela (revoca, modifica,
annullamento, sospensione) previste dalla L.241/90 mentre non lo saranno quelle
per i procedimenti giurisdizionali previste nei codici di rito quali
accompagnamento coattivo di testimoni, obbligo di difesa tecnica tramite
avvocati, dovere di giuramento per i testimoni, cause di impedimento a
comparire ex art.486 c.p.c. etc….;
-
non sarà possibile sollevare questioni di
illegittimità costituzionale [12]
o invocare il principio del ne bis in idem[13]
o quello del favor rei;
-
non si applicherà la sospensione feriale dei
termini; [14]
-
non sarà possibile la costituzione di parte
civile da parte dell’esponente (cliente, collega) né riti alternativi di
derivazione processual penalistica (es: patteggiamento-abbreviato) ovvero
l’applicabilità alle sanzioni disciplinari, quali provvedimenti amministrativi,
degli istituti della amnistia, grazia, indulto e condono, che riguardano le
sole sanzioni penali.
Peraltro, l’art. 59, comma I, lett.
n, l.p.f. e art. 10 del regolamento n. 2/2014 CNF, prevedono che per quanto non
espressamente previsto, si applicano le norme del codice di procedura penale,
in quanto compatibili.[15]
Su questo crinale, al procedimento
disciplinare si applica il principio del libero convincimento del giudice,
vale a dire che il giudice deontologico ha ampio potere discrezionale nel
valutare la conferenza e la rilevanza delle prove acquisite nel corso del
procedimento disciplinare[16] e può
procedere alle sole indagini ritenute necessarie per l’accertamento dei fatti
per cui la
mancata ammissione della prova sollecitata dall’incolpato incide unicamente
sull’efficacia giustificativa della decisione di merito sul fatto e non sul
controllo di legittimità. [17]
Nel
procedimento disciplinare (che ha natura accusatoria) trova altresì applicazione
la presunzione di non colpevolezza dell’incolpato[18], pertanto, ove la prova
della violazione deontologica non possa ritenersi sufficientemente raggiunta
per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, l’incolpato
deve essere prosciolto dall’addebito. Infatti, vige il principio del favor
per l’incolpato, mutuato dai principi di garanzia che il processo penale, per
cui la sanzione disciplinare può essere irrogata, all’esito del relativo
procedimento, solo quando sussista prova sufficiente dei fatti contrastanti la
regola deontologica addebitati, dovendosi per converso assolversi in assenza di
certezza nella ricostruzione del fatto e dei comportamenti. [19]In sede disciplinare opera
altresì il principio di “acquisizione della prova”, in forza del quale un
elemento probatorio, una volta ritualmente introdotto nel processo, è acquisito
agli atti e, quindi, è ben utilizzabile da parte del giudice al fine della
formazione del convincimento.[20] La natura
accusatoria appare peraltro mitigata dall’art. 23 del Regolamento n. 22/2014
del C.N.F. allorquando elenca le prove utilizzabili ai fini della decisione costituite
da : a) le dichiarazioni e i documenti provenienti dall’incolpato; b) gli atti
formati e i documenti acquisiti nel corso della fase istruttoria e del
dibattimento; c) gli esposti e le segnalazioni inerenti alla notizia di
illecito disciplinare e i verbali di dichiarazioni testimoniali redatti nel
corso dell’istruttoria, che non sono stati confermati per qualsiasi motivo
in dibattimento, sono utilizzabili per la decisione solo nel caso in cui la
persona dalla quale provengono sia stata citata come teste per il dibattimento.
L’impostazione accusatoria implica che, di regola, spetta all’organo
disciplinare la dimostrazione dell’illecito salvo, in presenza di un “fumus”
corredato da evidenze già dalla originale segnalazione, il cosiddetto “onere di
allegazione” a carico del segnalato/incolpato ovvero “…l’onere di dimostrare
le proprie affermazioni o l’infondatezza dell’addebito..”.[21]
3.
Azione disciplinare e procedimento penale
Nei
casi più gravi l’illecito commesso dal professionista può costituire un reato
penalmente rilevante e anche un illecito disciplinare per cui l’incolpato in
sede disciplinare riveste contemporaneamente e per gli stessi fatti la qualità
di indagato-imputato in un procedimento penale.
La
possibilità di una divergenza tra gli epiloghi decisori pone a monte una scelta
da parte dell’ordinamento giuridico nel senso di ritenere accettabile o meno
anche una difformità di giudizio sul medesimo fatto tra la vertà processuale
emersa all’esito del giudizio penale e quella disciplinare. Detto in altri
termini, occorre scegliere se aderire ad una concezione di unitarietà o indipendenza
fra i giudicati delle diverse giurisdizioni, nel primo caso imponendo la cd.
pregiudizialità penale [22] privilegiando nel tempo e negli effetti il
processo penale su quello disciplinare (cfr. art. 3 cd. Codice Rocco), nel
secondo prevedendo dei meccanismi di revisione-adeguamento della pronuncia resa
in sede disciplinare in contrasto con una sentenza penale definitiva.
Sul
punto, le discipline professionali, nel regolare i rapporti di pregiudizialità
tra processo penale e procedimento disciplinare, hanno adottato soluzioni tra
loro non uniformi[23].
In
linea generale va registrata una certa propensione per l’istituto della
sospensione necessaria dell’azione disciplinare, concezione basata su un criterio
di ragionevolezza di continuare ad avvalersi delle più approfondite risultanze
penali per un miglior esercizio dell’azione punitiva interna con il limite
costituito degli inevitabili effetti dilatori sull’azione disciplinare, che consentivano
di fatto ai professionisti rinviati a giudizio oppure condannati in primo o
secondo grado di continuare a esercitare per anni la propria, talvolta
illecita, attività professionale. La nuova legge professionale forense ha,
invece, previsto il principio di autonomia dell’azione disciplinare rispetto al
processo penale, facendo salvi, peraltro, dei meccanismi di coordinamento tra
gli esiti dei due “giudizi”. Difatti, ai sensi dell’art. 54, comma 1 l.p. «il
procedimento disciplinare si svolge ed è definito con procedura e con
valutazioni autonome rispetto al processo penale avente per oggetto i medesimi
fatti». [24]
È, tuttavia, consentita eccezionalmente la sospensione qualora sia «indispensabile»
ai fini della decisione «acquisire atti e notizie appartenenti al processo
penale» (art. 54, comma 2 l.p.). Trattasi
di istituto eccezionale, a differenza della previgente normativa del 1933 in
cui costituiva “la regola”, la cui natura straordinaria è comprovata oltre che
dalla esplicita norma anche dal cosiddetto obbligo di motivazione “rafforzata”
nell’adozione della sospensione.[25] La sospensione del procedimento non può
comunque durare più di due anni e laddove intervenga sentenza penale di
condanna per reato non colposo la prescrizione comincia a decorrere dal
passaggio in giudicato della sentenza. (art. 56, comma 2 l.p.) Su questo crinale, il C.N.F. ha in
diverse occasioni ribadito che con l’entrata in vigore della L. 247/2012, vige la regola
dell’autonomia dei due processi (c.d. doppio binario) per cui la c.d.
pregiudizialità penale ha subìto una forte attenuazione, giacché ora il
procedimento disciplinare “può” essere sospeso solo se ciò sia
ritenuto “indispensabile”, poiché esso “si svolge ed è
definito con procedura e valutazioni autonome rispetto al processo penale
avente per oggetto i medesimi fatti”. L’impianto normativo, volto ad escludere la
pregiudizialità penale, imponeva un coordinamento con l’art. 653 c.p.p. a mente
del quale la sentenza di assoluzione con formula ampiamente liberatoria avrà
efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare. Di tal guisa, l’art. 55
l.p.f., con una norma di chiusura sulla falsa riga dell’art. 629 c.p.p.,
prevede la riapertura del procedimento disciplinare concluso con provvedimento
definitivo allorquando sia stata inflitta una sanzione disciplinare e, per gli
stessi fatti, l’autorità giudiziaria ha emesso sentenza di assoluzione perché
il fatto non sussiste o perché l’incolpato non lo ha commesso, in tale caso il
procedimento è riaperto e dovrà essere pronunciato il proscioglimento anche in
sede disciplinare. Ovvero, sia stato pronunciato il proscioglimento e
l’autorità giudiziaria ha emesso sentenza di condanna per reato non colposo
fondata su fatti rilevanti per l’accertamento della responsabilità
disciplinare, che non sono stati valutati dal CDD. In tale caso i nuovi fatti saranno
liberamente valutati nel procedimento disciplinare riaperto.
Necessario corollario a quanto
testé esplicitato è che : i) la sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata nel processo penale ha efficacia di
giudicato in quello disciplinare quanto all’accertamento del fatto, alla sua
eventuale illiceità penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso; ii)
nel caso di proscioglimento in sede penale occorre invece distinguere: qualora
l’assoluzione sia stata pronunciata perché il fatto non sussiste, l’esclusione
dell’ontologia del fatto ne impedisce la valutazione anche disciplinare, mentre
se essa è intervenuta perché il fatto non costituisce reato, riconoscendone
l’ontologia ed escludendo la sola rilevanza penale, l’organo disciplinare può e
deve valutarlo sotto il profilo deontologico; iii) la sentenza
penale definitiva di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio
disciplinare, quanto all’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e
della circostanza che l’imputato lo ha commesso (art. 653 c.p.p.), essendo
comunque riservata al giudice della deontologia la valutazione della rilevanza
disciplinare nello specifico ambito professionale alla luce dell’autonomia dei
rispettivi ordinamenti, sicché lo stesso non è vincolato alle valutazioni
contenute nella sentenza penale laddove esse esprimano determinazioni
riconducibili a finalità del tutto distinte da quelle del controllo
deontologico.[26]
4. La sospensione cautelare
La fase preliminare del
procedimento disciplinare ha inizio con l’acquisizione della notizia di
illecito che determina l’avvio dell’azione disciplinare, che può
avvenire attraverso la comunicazione di un esposto-denuncia o comunque in
altro modo. La segnalazione potrà realizzarsi attraverso un esposto o una denuncia provenienti dall’esponente individuato o
individuabile o anche in forma anonima. È prevista la possibilità che il CDD
acquisisca una notizia di illecito disciplinare non proveniente da una fonte
specificamente individuata o individuabile, e quindi anche direttamente.
Il comma 2 dell’art. 11 Reg. n. 2/2014 CNF, individua un caso particolare di acquisizione della notizia dell’illecito
ovvero quella proveniente dall’autorità giudiziaria che è tenuta a dare
immediata comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente quando nei
confronti di un iscritto: a) viene esercitata l’azione penale; b) viene
disposta, revocata o annullata l’applicazione di misure cautelari; c) vengono
effettuati perquisizioni o sequestri; d) vengono emessi provvedimenti che
definiscono la fase o il grado di giudizio. In quest’ultimo caso si innesta una
fase incidentale all’interno del procedimento disciplinare, quella della sospensione
cautelare prevista all’art. 32 Reg. n. 2/2014 CNF. La sospensione cautelare è irrogabile,
previa audizione dell’incolpato, per un periodo non superiore ad un anno peraltro
revocabile o modificabile nella sua durata anche d’ufficio in ogni momento
dalla sezione qualora, anche per circostanze sopravvenute, non appaia adeguata
ai fatti commessi. L’ambito applicativo della norma è delimitato ai casi
tassativi indicati nel 1° comma lett. a), b), c), d) ed e) quando l’autorità
giudiziaria abbia disposto: a) una misura cautelare detentiva o interdittiva
irrogata in sede penale e non impugnata o confermata in sede di riesame o di
appello; b) la pena accessoria della sospensione dall’esercizio di una
professione o di un’arte ai sensi dell’art. 35 del codice penale
anche se con la sentenza penale di primo grado sia stata disposta la sospensione
condizionale della pena; c) una misura di sicurezza detentiva; d) la condanna
in primo grado per i reati previsti dagli articoli 372, 374, 377, 378, 381, 640 e 646
del codice penale, se commessi nell’ambito dell’esercizio della
professione o del tirocinio, ovvero dagli articoli 244, 648-bis e 648-ter
del medesimo codice; e) la condanna a pena detentiva non inferiore a
tre anni”. [27] Per l’audizione
dell’incolpato è generalmente ammesso il ricorso a
forme semplificate, proprio nell’ottica della celerità della decisione sulla
misura cautelare come nel caso dell’avvocato colpito da misura cautelare penale
restrittiva della libertà personale per cui sarebbe oggettivamente impossibile
la convocazione presso il COA o la commissione disciplinare, rispetto alle
quali è invece ammissibile l’audizione in carcere o presso il domicilio
dell’incolpato, previo consenso dell’autorità giudiziaria, ovvero specialmente
durante la fase emergenziale da Covid-19 tramite collegamenti da remoto su
accordo con il personale carcerario come sancito dai vari protocolli dei
Tribunali di Sorveglianza per i colloqui in carcere tra difensore e detenuto. Il potere
cautelare esercitato dal CDD ai fini dell’adozione, modifica e revoca del
provvedimento di sospensione cautelare del professionista è discrezionale e non
sindacabile, essendo solo al CDD affidata dall’ordinamento la valutazione della
lesione al decoro e alla dignità della professione e quella dell’opportunità del
provvedimento stesso nonché di eventuali fatti sopravvenuti, mentre l’esame del
C.N.F. è limitato al controllo di legittimità, restando precluso ogni giudizio
rispetto all’opportunità dell’adozione della misura sospensiva. Ciò posto,
mentre alla base delle misure cautelari penali stanno il rischio di
inquinamento delle prove, il pericolo di reiterazione del reato ed il pericolo
di fuga, la sospensione cautelare disciplinare si giustifica in vista della
salvaguardia dell’Ordine Forense, al fine di preservarne la funzione sociale
dalle menomazioni di prestigio che possono conseguire alla notizia di
assoggettamento dell’avvocato a procedimento penale per fatti gravi e
comportamenti costituenti reato. Pertanto, il venir meno delle esigenze
cautelari che a suo tempo hanno giustificato l’emissione di provvedimenti
restrittivi della libertà personale non comporta l’automatico e corrispondente
venir meno delle esigenze cautelari poste a base della sospensione a tempo
indeterminato autonomamente disposta dal Consiglio territoriale. La sospensione
cautelare non ha altresì natura di sanzione disciplinare, trattandosi di un
provvedimento amministrativo a carattere provvisorio, svincolato dalle forme e
dalle garanzie del procedimento disciplinare, nel senso che non richiede la
preventiva formale apertura di un procedimento disciplinare, tuttavia, in
caso di applicazione della sospensione dall’esercizio della professione il
“periodo presofferto” in sede cautelare va computato nel periodo di espiazione
della sanzione disciplinare.
5. Considerazioni conclusive
Tirando
le fila a quanto sopra esposto, occorre partire dalle diverse sentenze delle
S.U. del Supremo Collegio laddove hanno ripetutamente statuito che il CDD è
soggetto che svolge una funzione amministrativa di natura giustiziale, non
giurisdizionale, caratterizzata da elementi di terzietà[28].
Il procedimento disciplinare appare, infatti, un rito speciale
disciplinato da una fonte primaria quale è la L.247/12 caratterizzato dalla natura
amministrativa con conseguente inapplicabilità dei parametri costituzionali ex
artt. 111 e 112 Cost., trovando applicazione le norme particolari che per ogni
singolo istituto sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, nella
fase innanzi al CNF quelle del c.p.c. o, nella fase di primo grado davanti al CDD, quelle
del c.p.p.(art. 59,lett. n) L.247/12). Peraltro, la stessa legge professionale richiama
l’applicabilità delle norme del c.p.p. ove compatibili, per cui nella fase
pre-istruttoria dove dominus è il Consigliere Istruttore, ed in quella
dibattimentale e decisionale, si rinvengono i tratti tipici del modello accusatorio
per cui incombe al Giudice disciplinare l’onere di verificare in modo
approfondito la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito deontologico
all’incolpato, purtuttavia alcune norme sembrano richiamare quello inquisitorio.
Se ne ricava quindi un quadro articolato
e complesso di norme permeate dalla scelta del Legislatore di limitare al minimo la pregiudizialità penale
a favore dell’indipendenza del giudizio disciplinare, prevedendo altresì meccanismi
di revisione-adeguamento della pronuncia resa in sede disciplinare in contrasto
con una sentenza penale definitiva e pur potendo il procedimento disciplinare
proseguire anche dopo il giudicato penale di condanna con pena accessoria.
Sotto il profilo sostanziale, del resto, sussiste una diversità ontologica tra
sanzione disciplinare e quella penale dove la pena principale, così come quella
accessoria, può estinguersi con gli istituti dell’amnistia o della
riabilitazione a differenza degli effetti permanenti tipici della radiazione
dall’albo. E così, la sanzione disciplinare avendo finalità, intensità ed
ambiti di applicazione diversi da quella penale non viola l’art. 6 CEDU in
relazione al principio del ne bis in idem,
considerato che la sanzione disciplinare è volta a reprimere l’inadempimento ai
doveri professionali dell’iscritto all’ordine. Inoltre, le norme del NCD forense non si applicano al
regime giuridico della prescrizione, anche laddove vi sia un trattamento
sanzionatorio più favorevole all'incolpato, applicandosi di converso anche ai procedimenti in corso al momento della sua
entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, avendo l’art. 65, comma
5, della L 247/12, recepito il criterio del favor rei, in luogo
del criterio del tempus regit actum.[29] che, invece, governa il regime delle
impugnazioni ed i relativi termini, dovendosi fare riferimento alla norma
vigente al momento della loro proposizione.[30]
[1]
La competenza a procedere
disciplinarmente apparteneva tanto al Consiglio dell’Ordine deputato alla
custodia dell’albo in cui il professionista era iscritto, quanto al Consiglio
nella giurisdizione del quale era avvenuto il fatto per cui si procedeva. Il
procedimento disciplinare era iniziato di ufficio o su richiesta del pubblico ministero
presso la Corte d’appello o il tribunale, ovvero su ricorso dell’interessato.
Il potere disciplinare nei confronti degli avvocati membri di un Consiglio
dell’Ordine spettava al C.N.F. Il rito prevedeva che, giunta la comunicazione
dell’illecito disciplinare, il presidente del Consiglio dell’Ordine desse
immediata comunicazione all’interessato ed al pubblico ministero dell’avvio del
procedimento disciplinare. La comunicazione doveva contenere l’enunciazione
sommaria dei fatti per i quali il procedimento era stato iniziato. Lo stesso
presidente, o un componente del Consiglio da lui delegato, raccoglieva quindi
le opportune informazioni ed i documenti ritenuti necessari ai fini del
procedimento nonché le deduzioni pervenute dall’incolpato e dal pubblico ministero
indicando i testimoni utili per l’accertamento dei fatti e provvedendo ad ogni
altra indagine. Inoltre, il presidente nominava il relatore tra i componenti
del Consiglio e fissava la data della seduta per il giudizio, ordinando la
citazione dell’incolpato, con l’osservanza di un termine non inferiore a dieci
giorni. La citazione era notificata all’incolpato ed al pubblico ministero e
doveva necessariamente contenere: 1) le generalità dell’incolpato; 2) la
menzione circostanziata degli addebiti; 3) l’indicazione del luogo, del giorno
e dell’ora della comparizione, con l’avvertimento della possibilità di essere
assistito da un difensore e che, in caso di mancata comparizione, si sarebbe
comunque proceduto al giudizio in sua assenza; 4) l’elenco dei testimoni
presentati in giudizio; 5) il termine entro il quale l’incolpato, il suo
difensore e il pubblico ministero avrebbero potuto prendere visione degli atti
del procedimento, proporre deduzioni ed indicare testimoni; 6) la data e la
sottoscrizione del presidente. Ove intendessero indicare testimoni, l’incolpato
ed il pubblico ministero avrebbero dovuto esporre sommariamente le circostanze
sulle quali farli esaminare. Il presidente del Consiglio dell’Ordine ordinava
la citazione dei testimoni indicati. Ove non fosse possibile provvedere
tempestivamente per la citazione dei testimoni, il presidente ordinava il
rinvio del giudizio ad altra seduta, dandone immediatamente comunicazione
all’incolpato, al pubblico ministero ed ai testimoni già citati. Nella seduta
stabilita, il relatore esponeva i fatti e le risultanze del procedimento;
veniva interrogato l’incolpato e venivano esaminati i testimoni; il difensore
era infine ammesso ad esporre le sue deduzioni. L’ultima parola spettava
all’incolpato. Nel caso in cui l’incolpato non si fosse presentato e non avesse
giustificato il proprio legittimo impedimento, si sarebbe proceduto in sua
assenza. Chiusa la discussione, il Consiglio deliberava; alla deliberazione non
erano ammessi l’incolpato ed il suo difensore. Si osservavano, in quanto
applicabili, le disposizioni dell’art. 527 del nuovo codice di rito. La
decisione era redatta dal relatore e doveva contenere l’esposizione dei fatti,
i motivi sui quali si era fondato il dispositivo, l’indicazione del giorno, del
mese e dell’anno in cui era stata pronunziata e la sottoscrizione del
presidente e del segretario. La decisione era pubblicata mediante deposito
dell’originale negli uffici di segreteria.” (cfr. Valentina Ventura, Compendio
di Ordinamento e Deontologia Forense, Cap.V, pagg. 85 e ss.)
[2]
L’art. 38 del r.d.l. n. 1578
del 1933 prevedeva che gli avvocati che si rendessero colpevoli di abusi o
mancanze nell’esercizio della professione o comunque di fatti non conformi alla
dignità e al decoro professionale fossero sottoposti a procedimento
disciplinare. Detta disposizione prevedeva un’anacronistica clausola di
riserva: all’art. 38 era infatti fatto rinvio al codice di procedura penale con
la dicitura «salvo quanto stabilito negli artt. 130, 131 e 132 del codice di
procedura penale». Il riferimento è al codice di rito del 1930, che
disciplinava le sanzioni contro il difensore dell’imputato che abbandona la
difesa (art. 130), o provvedimenti per la sostituzione del difensore (art. 131)
e l’abbandono della difesa di altre parti (art. 132).
Cfr. https://www.consiglionazionaleforense.it/documents/20182/51913/LA_PROF_FORENSE_ONLINE_31_3_2017.pdf/910c832f-33ad-4ca7-ac10-f75c536d0b28
[3] Il nuovo Codice Deontologico Forense è informato al principio
della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante, “per quanto possibile”
(art. 3 c. 3 L. 247/2012), poiché la variegata e potenzialmente illimitata
casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti
illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa
e non meramente esemplificativa. Conseguentemente, ove l’illecito non sia stato
espressamente previsto (rectius, tipizzato) dalla fonte regolamentare, deve
quindi essere ricostruito sulla base della legge (art. 3 c. 3 cit.) e del
Codice Deontologico, a mente del quale l’avvocato “deve essere di condotta
irreprensibile” (art. 17 c. 1 lett. h). Nel caso di illecito atipico, inoltre,
per la determinazione della relativa pena dovrà farsi riferimento ai principi
generali ed al tipo di sanzione applicabile in ipotesi che presentino, seppur
parzialmente, analogie con il caso specifico. (cfr. Consiglio Nazionale Forense pres. Mascherin, rel.
Masi, sentenza n. 83 del 18 settembre 2019)
[4] Art. 17 c. 1 lett. h L.
247/2012
[5]
Consiglio
Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Masi), sentenza n. 83 del 18 settembre
2019
[6]
Trattasi di interpretazione della portata della
disposizione contenuta nella L. n. 247 del 2012, articolo 65 "le norme
contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti
disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli
per l'incolpato", che ne esclude l'estensione al regime della
prescrizione. (Corte di Cassazione S. U. Sent. 28 febbraio 2020 n. 5596)
[7] È
il caso, ad esempio, dell’avvocato che si appropri dell'importo dell'assegno
emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un
giudizio civile (cfr. Cass. Civ. Sez. Un., sentenza n. 5200/19)
[9] Cass. SSUU 3.11.2020 n. 24373
[10] CNF pres. Mascherin, rel. Napoli,
sentenza n. 148 del 6 dicembre 2019
[11]
Cfr. Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza
15 settembre – 27 ottobre 2020, n. 23593 Presidente Curzio – Relatore Carrato «il procedimento
disciplinare di primo grado ha sì natura amministrativa, ma speciale,
in quanto disciplinato specificamente dalle norme dell’ordinamento forense, che
non contengono termini perentori per l’inizio, lo svolgimento e la definizione
del procedimento stesso davanti al Consiglio territoriale all’infuori di quelli
posti a tutela del diritto di difesa, nonché di quello di prescrizione
dell’azione disciplinare».
[12]
Tale facoltà prevista e
consentita a livello normativo dall’ art.1, l.9 febbraio 1948 n.1, e
dall’art.23, l.11 marzo 1953 n.87 solo “nel corso di un giudizio innanzi ad una
autorità giurisdizionale”.
[13] La doppia affermazione di
responsabilità̀, in sede penale ed amministrativa per l’identico fatto, è
conforme a Costituzione nonché ai principi della convenzione CEDU sicché non
vìola il divieto di bis in idem, stante la diversa natura ed i diversi
fini del processo penale e del procedimento disciplinare, nel quale ultimo il
bene tutelato è l’immagine della categoria, quale risultato della reputazione
dei suoi singoli appartenenti. (cfr.Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f.
Allorio, rel. Calabrò), sentenza n. 120 del 28 ottobre 2019; Corte di Cassazione (pres. Canzio, rel. Scarano),
SS.UU, sentenza n. 29878 del 20 novembre 2018)
[14]
L’art.1, l.
7 ottobre 1969 n.742, riguarda il solo processo innanzi inapplicabilità al
giudice e non il procedimento amministrativo.
[15] Il procedimento disciplinare si
svolge ed è definito con procedure e con valutazioni autonome rispetto al
processo penale (art. 54 c. 1 L. n. 247/2012), sicché è irrilevante in sede
deontologica l’eventuale concessione in ambito penale di attenuanti generiche
così come la determinazione della pena secondo l’istituto della continuazione,
perché l’apprezzamento dell’illiceità deontologica è riservato al giudice
disciplinare alla luce della diversità dei rispettivi ordinamenti e dei loro
presupposti. (cfr. Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel.
Picchioni), sentenza n. 162 del 7 dicembre 2019)
[16]
“Ai fini della condanna
disciplinare, la prova della responsabilità dell’incolpato deve essere
raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, e tale principio non subisce
deroghe né attenuazioni neppure nel caso in cui l’incolpato stesso abbia
numerosi precedenti disciplinari.” (cfr. Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel.
Masi), sentenza n. 83 del 18 settembre 2019)
[17] Cass., Sez. Un., 17 gennaio 2017,
n. 961
[18]
“Il procedimento disciplinare
è di natura accusatoria, sicché va accolto il ricorso avverso la decisione del
Consiglio territoriale allorquando la prova della violazione deontologica
non si possa ritenere sufficientemente raggiunta, per mancanza di prove certe o
per contraddittorietà delle stesse, giacché l’insufficienza di prova su un
fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della
responsabilità dell’incolpato, che pertanto va prosciolto dall’addebito, in
quanto per l’irrogazione della sanzione disciplinare non incombe all’incolpato
l’onere di dimostrare la propria innocenza né di contestare espressamente le
contestazioni rivoltegli, ma al Consiglio territoriale (ora CDD) di verificare
in modo approfondito la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito
deontologico. (cfr. Consiglio Nazionale Forense pres. Mascherin, rel.
Amadei, sentenza n. 67 del 29 luglio 2019)
[19] Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco,
rel. Secchieri), sentenza n. 161 del 7 dicembre 2019
[20]
Conseguentemente, le
risultanze probatorie acquisite, pur se formate in un procedimento diverso ed
anche tra diverse parti, sono utilizzabili da parte del giudice disciplinare,
ferma la libertà di valutarne la rilevanza e la concludenza ai fini del decidere,
senza che, tuttavia, si possa negare ad esse pregiudizialmente ogni valore
probatorio solo perché non “replicate” e “confermate” in sede
disciplinare (Nel caso di specie, il procedimento penale si era
concluso con l’assoluzione dell’imputato per depenalizzazione del fatto-reato
contestatogli).cfr. Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni,
rel. Napoli), sentenza n. 171 del 16 dicembre 2019
[21] Cfr. CNF
30.12.2011 n219; Cass. SS.UU 28.4.2020 n. 8242
[22] Cfr. CNF pres. Mascherin, rel. Logrieco,
sentenza n. 69 del 29 luglio 2019
[23]
Nel caso delle professioni di
ingegnere, architetto, per le professioni sanitarie e per i giornalisti, anche
se non espressamente previsto, è possibile dedurre la vigenza della
pregiudizialità penale dalle disposizioni relative agli effetti della sentenza
penale e all’interruzione dei termini di prescrizione dell’azione disciplinare.
La legge notarile (l. 16 febbraio 1913, n. 89) prevede, invece, la sospensione
del procedimento disciplinare a carico del notaio fino al passaggio in
giudicato della sentenza, quando per lo stesso fatto si «proceda penalmente»
mentre è obbligatoria se vi è «perfetta coincidenza» tra i fatti oggetto delle
due azioni. La sospensione è invece facoltativa se tra i due procedimenti
sussiste solo un rapporto di «connessione», nel senso di una non «esatta
coincidenza fattuale». In ogni caso è necessario che il p.m. abbia esercitato
l’azione penale notiziandone puntualmente il Consiglio distrettuale ed in caso
contrario, qualora il procedimento disciplinare venisse promosso e concluso, la
sanzione deve ritenersi legittima, salvo la possibilità di una revisione
qualora gli esiti del processo penale fossero profondamente discordanti. Si
aggiunga che l’inizio del processo determina anche la sospensione della
prescrizione dell’azione disciplinare fino al passaggio in giudicato della
sentenza. Il procedimento rimane sospeso fino alla pronuncia della sentenza
definitiva e deve essere riassunto entro termini ragionevoli, in ossequio ai
principi generali di immediatezza dell’addebito e di tempestività della
sanzione, fatti propri dalla legge notarile laddove dispone che «il
procedimento [disciplinare] è promosso senza indugio» (art. 153, comma 2). La soluzione
prospettata ha trovato riscontro nella prassi giudiziaria ritenendosi che il
procedimento disciplinare nei confronti del notaio debba essere sospeso quando
l'infrazione disciplinare rivesta i caratteri di illecito penale e il processo
penale sia già stato iniziato (Trib Palermo 02/06/1993, Ferraro in Vita Notar,
1994, I, 100)
[24]
Anche il N.C.D.
forense, prevede all’art. 5, comma 1 che «deve essere sottoposto a
procedimento disciplinare l’avvocato cui sia imputabile un comportamento non
colposo che abbia violato la legge penale, salva ogni autonoma valutazione sul
fatto commesso».
[25] CNF 31.10.2019 n. 135
[26] Cfr. ex plurimis Consiglio
Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Napoli), sentenza n. 171 del 16
dicembre 2019
[27]Ai sensi del 3° comma dell’art. 32 la sospensione
cautelare perde efficacia qualora: a) nel termine di sei mesi dalla sua
irrogazione, la sezione competente del Consiglio distrettuale di disciplina non
deliberi il provvedimento sanzionatorio; b) la sezione competente del Consiglio
distrettuale di disciplina deliberi non esservi luogo a provvedimento
disciplinare; c) la sezione competente del Consiglio distrettuale di disciplina
disponga l’irrogazione delle sanzioni dell’avvertimento o della censura
[28]
Cfr. Cass Sez. Un. n.16993
del 10/07/2017; n.34476 del 27/12/2019 e, recentemente, n.24896 del 06/11/2020.
[29] cfr. Cass. Sez. Un. n.3023 del 16/02/2015; n.18394 del
20/09/2016; n.27200 del 16.11.2017 ed in ultimo Cass. (pres. Travaglino, rel.
Crucitti), SS.UU, sentenza n. 8242 del 28 aprile 2020