Ci eravamo già occupati dell'eccezione c.d. Bajrami, divulgando il documento della Camera Penale di Trapani (al link).
Diamo adesso notizia di una questione che su quella falsariga è stata eccepita ed è stata accolta dal Tribunale di Ragusa. A seguire pubblichiamo il commento dell'Avvocato Michele Sbezzi.
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Da Dasgupta e Patalano a Bajrami: la
modifica della composizione di un collegio giudicante non comporta nullità
della sentenza. Stravolto il senso dell’art. 525 c.p.p.
Resta però inopportuno che alla
decisione finale partecipi chi non ha avuto contatto diretto con le fonti di
prova.
Ordinanza del Tribunale di Ragusa nel
proc. penale 1509/18 RGNR. Udienza dell’1.4.22
Di Michele Sbezzi (*)
Com’è noto, il codice di rito penale
impone, purtroppo ormai solo formalmente, il rispetto della immediatezza della
deliberazione, pretendendo tanto che non vi sia soluzione di continuità tra
conclusione del dibattimento e redazione della sentenza, quanto imponendo che
quest’ultima sia redatta esclusivamente dai giudici che hanno partecipato al
dibattimento.
La ratio che anima il duplice
principio in esame sembra del tutto evidente:
1) appena terminato il dibattimento,
il giudice ha un ricordo più fresco della massa di dati da utilizzare e delle
sottolineature offerte dalle parti; non rischia di perdere gli uni e le altre se
evita di impegnarsi in altri dibattimenti, nei quali andrebbe a incamerare
altri dati e altre sottolineature tra cui dovrà discernere ciò che gli serve
per decidere un processo da ciò che gli serve per l’altro;
2) la sentenza è frutto dell’istruttoria
dibattimentale; è quindi logico che a redigerla sia chiamato solo chi a quell’istruttoria
ha partecipato, traendone sensazioni e convincimenti che non possono derivargli
dalla semplice e arida lettura di verbali, peraltro spesso zeppi di errori, di
frasi sconclusionate, di parole incomprensibili.
Entrambi tali principii dovrebbero
apparire irrinunciabili perché di grande civiltà giuridica, espressione di
massimo rispetto della presunzione di innocenza che va superata solo quando
nessun dubbio ragionevole residui a contrastare il convincimento di
colpevolezza.
Eppure, entrambi tali principii sono
stati sostanzialmente superati, se non cancellati, da una giurisprudenza
certamente autorevole (per la caratura di chi la esprime) che ha mirato e mira,
però, più alla miglior organizzazione del lavoro che alla qualità delle
decisioni.
E’ esperienza giornaliera di ogni
Avvocato che il giudice si ritiri in camera di consiglio per deliberare, tutte
insieme, le decisioni incamerate nel corso della giornata di udienza. Così come
esperienza comune, illogica e contraria alla lettera dell’art. 525 c.p.p., è
ormai l’interpretazione secondo cui la sentenza può ben essere redatta anche da
chi al dibattimento non ha partecipato affatto. La nullità assoluta che dovrebbe
presidiare la norma viene bellamente superata da una pretesa di ragionevolezza
della durata del processo che, però, stravolge tanto il senso della stessa
ragionevolezza quanto l’evidente differenza che c’è tra ascoltare la
deposizione di un teste e leggerne il resoconto stenografico. Ma tant’è …
Come si arrivati a tutto ciò?
La soluzione di continuità tra
dibattimento e redazione della sentenza discende direttamente da un’esigenza,
sentita però solo dai giudici, di ottimizzazione dei tempi dell’udienza: andare
in camera di consiglio solo una volta, al termine di tutte le attività, sembra
garantire un minor tempo di permanenza e, forse, una più breve durata della
giornata di lavoro.
Quanto alla possibilità che la
sentenza sia redatta da chi è rimasto estraneo al dibattimento, va fatta una
breve cronistoria.
La sentenza Marchetta, (2° sezione
penale della Corte di Cassazione – 20 giugno 2017, n. 41571/17) ha esaminato il
caso di una condanna di primo grado riformata in appello sulla base di una
rilevata contraddittorietà della prova sull’elemento soggettivo. Con diffusa
motivazione, la Corte ha sottolineato e confermato l’assoluta necessità che il
giudice dell’appello, per ribaltare la sentenza di primo grado, deve
profondersi in una “motivazione rafforzata” in applicazione del noto canone
dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Afferma la Corte che, in caso di
ribaltamento della prima decisione, il giudice dell’impugnazione deve “scardinare l’impianto
argomentativo-dimostrativo della decisione assunta da chi ha avuto contatto
diretto con le fonti di prova.”
Con ciò, la Corte ha anche affermato e
sottolineato che la partecipazione al dibattimento conferisce al primo giudice
consapevolezza e conoscenza dei fatti che il giudice dell’impugnazione, non
partecipando all’istruttoria, non può avere.
A conclusione conforme era già giunta
la CEDU quando affermava (5.7.2011 Dan Moldavia) che il giudice, il quale
valuti diversamente dal precedente l’attendibilità di un testimone, deve
poterlo ascoltare direttamente.
Stiamo trattando del principio di
immediatezza tra assunzione della prova e sentenza in un rapporto privo di
intermediazioni, secondo il quale il giudice che voglia correttamente valutare
l’attendibilità del teste deve avere con lui un contatto diretto.
Per questa via si è giunti, in
Cassazione, ad affermare l’obbligatorietà della rinnovazione dell’istruttoria
nei casi di modifica della persona del giudice, da eseguirsi risentendo i testi
già escussi.
La sentenza in esame fa chiaro
riferimento alla sentenza Patalano (SSUU, n. 18620 del 19.1.2017), che a sua volta
aveva scolpito su pietra, in poche frasi, il portato dell’art. 525 c.p.p.:
“la percezione diretta è presupposto
tendenzialmente indefettibile di una valutazione logica, razionale e completa.
L’apporto informativo che ne deriva è condizione essenziale della correttezza e
completezza del ragionamento sull’apprezzamento degli elementi di prova.”
“Il canone <<oltre ogni
ragionevole dubbio>> assume veste di criterio generalissimo del processo
penale, direttamente collegato alla presunzione di innocenza.”
“Va fatto ricorso al metodo di
assunzione della prova epistemologicamente più affidabile.”
Ancor prima, con la nota sentenza
Dasgupta, le Sezioni Unite della Suprema Corte avevano affermato l’obbligo di
motivazione rafforzata in capo al giudice dell’impugnazione che operi un
overturning, nel particolare caso in cui una condanna venga riformata in senso
assolutorio. Nella sentenza in argomento, la Corte ha operato un ragionamento
approfondito che riguarda il principio di legalità e la funzione del magistrato,
dati per i quali qualsiasi ribaltamento della sentenza impugnata pretende una
motivazione rafforzata come conseguenza del solito, e fin lì indiscusso,
principio per il quale la sentenza resa dal giudice che ha avuto contatto
diretto ed immediato con la fonte di prova diviene per ciò solo più autorevole;
il suo ribaltamento non può dunque prescindere dalla necessità di esaminare
punto per punto ogni passaggio, per contestare – fino a scardinarlo – il
convincimento di fondatezza, attendibilità e credibilità della fonte di prova. L’ovvia
conseguenza dell’obbligo di rinnovazione della prova mediante nuova audizione
del teste già esclusso veniva a confermare il principio espresso dal 525 cpp e
munito di sanzione di nullità assoluta.
Sempre nello stesso senso va
rammentato che la Corte di Strasburgo ebbe ad affermare che esaminare la
questione della colpevolezza o dell’innocenza non è possibile se non valutando
direttamente la prova. “La valutazione dell’attendibilità di un testimone è un
compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante la semplice
lettura delle sue parole verbalizzate”.
E’ peraltro principio sempre accolto
dalla giurisprudenza, almeno fino a qualche tempo fa, quello secondo cui il
diritto all’ammissione della prova avanti il giudice che sarà chiamato a
decidere è uno degli aspetti essenziali del modello accusatorio, espresso dal
codice che conosciamo ed il cui stravolgimento non possiamo che contestare come
illogico e potenzialmente dannoso. A sottolinearlo, la Cassazione ha più e più
volte affermato l’obbligo di rinnovazione della prova orale come fondato
sull’opportunità di mantenere un rapporto diretto tra giudice e prova, rapporto
che non può essere assicurato dalla lettura dei verbali.
Anche la Corte Costituzionale
(ordinanza 205/2010) ha chiaramente affermato che il giudice deve cogliere tutti
i connotati espressivi, anche non verbali, prodotti dal metodo dialettico
dell’esame e controesame. E che ciò può fare solo partecipando direttamente
all’escussione del teste.
Purtroppo, tutto quanto abbiamo
argomentato finora è stato superato dalla nota sentenza Bajrami (SSUU
41736/2019), dalla cui lettura traiamo preoccupazione e sgomento.
L’antefatto della decisione riguarda
un annullamento in appello di sentenza redatta da chi ha partecipato all’intera
istruttoria senza però partecipare al momento dell’ammissione delle prove richieste
dalla parti. La sentenza ora in commento nasce dall’esigenza di chiarire se la
modifica della composizione del giudice, determinatasi dopo l’ammissione delle
prove, possa comportare l’obbligo di rinnovazione dell’intero dibattimento.
Bajrami, stravolgendo tutti i principi
fino a quel momento espressi dalla Suprema Corte, non giunge a dichiarare che
la rinnovazione dell’istruttoria non occorra, bensì che essa deve esser
richiesta da chi aveva regolarmente e tempestivamente proposto lista testi. Da
ciò fa discendere che la rinnovazione – nel caso muti la composizione del
giudice – non è strettamente obbligatoria; e, quindi, che la nullità assoluta
postulata dalla norma che ben conoscevamo non è conseguenza necessaria ed automatica.
Infatti, argomentando dalla necessità che la rinnovazione istruttoria debba
essere espressamente chiesta, giunge ad affermare che, così come dispone l’art.
468 c.p.p., esiste un termine decadenziale per la richiesta, che in essa va
indicato quale prova debba rinnovarsi e per quale motivo; e, infine, che la
richiesta può ben essere respinta dal giudice.
In buona sostanza, con ciò si è
cancellato un caposaldo del principio di legalità, del diritto alla prova
nonché della logica ferrea che anima il principio secondo cui ascoltare il
teste non è paragonabile a leggerne le parole trascritte a verbale.
Al momento, dunque, la sentenza
redatta da chi non ha partecipato al dibattimento non è più affetta da nullità
assoluta.
Capita, però, che giudici di merito la
pensino diversamente e decidano quindi di usare meglio il tempo a loro
disposizione per giungere alla conclusione del processo.
Così il Tribunale di Ragusa nel
procedimento penale 1509/18 RGNR, all’udienza dell’1 aprile 2022.
In occasione di quel processo, si è
determinata la temporanea assenza di uno dei magistrati che avrebbero dovuto
comporre il collegio giudicante. E quindi la sua sostituzione.
Si prevedeva peraltro che il
magistrato in questione sarebbe rientrato prima della udienza successiva e
sarebbe tornato a comporre il collegio; in buona sostanza, l’organo giudicante avrebbe
dovuto esser modificato due volte. L’istruttoria
sarebbe stata condotta da magistrati diversi, alcuni dei quali avrebbero infine
concorso a redigere la sentenza.
A ciò uno dei Difensori si è riferito
per eccepire la violazione del disposto dell’art. 525 cpp nell’interpretazione
che riteniamo più corretta e che prevede una nullità assoluta.
Si è dunque eccepito che le sentenze a
sezioni unite Dasgupta e Patalano danno chiaro il quadro di un’interpretazione
assai più convincente di quella espressa nella Bajrami. Che la Suprema Corte,
con la sentenza Marchetta, aveva riaffermato l’obbligatorietà della
rinnovazione dell’istruttoria e che anche Corte Costituzionale e CEDU si erano
più volte espresse in tal senso.
Il Collegio, pur preoccupandosi di
sottolineare che l’interpretazione fornita da ultimo dalla Suprema Corte avrebbe
reso legittimo l’organo giudicante in composizione modificata e consentito una
dichiarazione di utilizzabilità degli atti assunti anche in vista della
sentenza da emanare, ha purtuttavia ritenuto di dover sottolineare che la
complessità del procedimento e la già espletata attività istruttoria prima
della modifica della composizione rendevano opportuna la prosecuzione
del procedimento in composizione originale.
Con ciò, il Collegio ha certamente
evitato di affrontare la irrisolta questione della possibile nullità assoluta
della sentenza da redigere, ma al contempo ha affermato il principio che in un
procedimento complesso e che occuperà più udienze è opportuno che la
composizione del Collegio giudicante non venga modificata. Seppure non sembri
dare completa ragione all’interpretazione che con tutta evidenza preferiamo, la
decisione assunta dal Tribunale rappresenta comunque un buon compromesso: a
parere di quel Tribunale, la composizione di un collegio giudicante può anche
subire modifiche senza che ciò comporti nullità della sentenza; ma opportunità
vuole che un processo complesso, che duri per più udienze, sia condotto e
partecipato sempre dagli stessi componenti del collegio, i quali potranno così
avere contatto diretto con le fonti di prova e valutarne più compiutamente
l’attendibilità.
Scarica la memoria difensiva al link
(*) Michele Sbezzi: Avvocato del Foro di Ragusa. E' stato Vice pretore onorario dal 1996 al 2004. Ha rivestito il ruolo di Presidente della Camera Penale di Ragusa per otto anni non consecutivi fino al 2021. Attualmente è coordinatore nazionale del LaPEC e Giusto Processo.