Una unica cultura legale per giudici, pubblici ministeri e avvocati: ruoli differenziati ma formazione comune per un processo penale giusto ed efficiente¨.
Sommario.
1. Quadri da un tribunale. -2. Alcuni riferimenti. -3. Un sogno e alcune
esperienze. -4. L’ignoranza del mondo altrui. -5. Studio e formazione. – 6. Ipotesi
per la costruzione di una cultura comune. -7. Le utopiche ricadute delle riforme proposte.
1.
Quadri da un
tribunale.
Avvocato si accomodi.
Il suo
cliente è stato accompagnato, i testi sono puntuali.
Ieri
avevamo sentito Rossi oggi tocca a Verdi e Gialli. A voi la parola.…
Altre
domande pubblico ministero? Perfetto. Dichiaro chiusa l’istruttoria.
Oggi è
venerdì, lunedì ascolteremo le vostre conclusioni.
… Il
collegio si ritira.
Dall’ultimo
telegiornale della notte: “Oggi, a quasi due mesi dal terribile incidente,
giudice togato e scabini si sono pronunciati, dopo una camera di consiglio di
quasi due giorni, per la colpevolezza di Caio e Tizio. Sono stati invece
assolti Sempronio e Mevio. Solo l’avvocato di Caio ha dichiarato che avrebbe
proposto impugnazione”.
Pubblico ministero mi dica.
Ho
letto sia le sue richieste sia le osservazioni dell’avvocato Publio. Nessuna
delle due prospettazioni mi convince.
Nel
rispetto dei criteri dettati dal codice di rito non posso in alcun modo
disporre un provvedimento restrittivo. Ci aggiorniamo.
Il collegio ha
apprezzato molto l’organizzazione di Firma,
che accompagna una condivisibile filosofia imprenditoriale ad un Modello ex
231/01 efficace e, soprattutto,
condiviso a tutti i livelli dell’azienda, ove il profitto è perseguito nel
rispetto dei diritti dell’ambiente e dei lavoratori …
Giuseppe, la condanno a due
anni di servizi di pubblica utilità presso la scuola di Borghi; credo che le
sue affermazioni siano palesemente false. Avrebbe dovuto almeno chiedere scusa.
Maria
può tenere il bambino.
2. Alcuni riferimenti.
Una immagine di unità di spazio e di tempo quasi istantanea
fotografa un giudice che accoglie gentilmente le parti, non interviene
nell’istruttoria, decide subito all’esito e, quando deve valutare una struttura
aziendale, apprezza il lavoro imprenditoriale senza alcun pregiudizio circa la
logica del profitto e del mercato.
Solo uno dei due imputati condannati non è soddisfatto e unicamente
per lui si può ipotizzare saranno scritte le motivazioni per la celebrazione
dell’impugnazione pre-annunciata dal suo difensore.
Nel
primo caso non si tratta un organo
giurisdizionale interamente professionista. Decide nella forma dello scabinato:
togati e laici insieme come nella nostra Corte d’Assise.
Cambia la stanza, forse siamo in camera di consiglio. Probabilmente
è un organo monocratico. Si tratta di
contraddittorio cartolare. Il giudice legge le memorie delle parti e decide
senza alcuna istruttoria ex officio. Comunica la sua decisione
informalmente.
Leggiamo una parte di motivazione, presumibilmente per un
processo a carico dell’ente per una responsabilità amministrativa da reato; il
collegio dà atto di conoscere le logiche aziendali.
Ancora
un’aula giudiziaria. Il giudice spiega a Giuseppe i motivi della condanna. Si
può immaginare lo guardi negli occhi. Forse vi è stato qualche maltrattamento.
C’è un bambino di mezzo.
Non vi sono univoci e specifici riferimenti a ordinamenti esistenti. Lo scabinato è tipico del sistema tedesco, che però conosce l’esame incrociato, proprio dell’ordinamento di common law, solo sulla carta. Appartengono alla tradizione teutonica anche l’ipotesi (in realtà molto più articolata) della stesura di una motivazione solo se venga dichiarata la volontà di impugnare e l’usanza di spiegare in aula al condannato il perché della condanna, e talvolta, i motivi per cui non è stato creduto. Il contraddittorio pre-cautelare, che tuttavia non è solo cartolare, è proprio dell’esperienza francese.
Sempre
a tradizioni diverse dalla nostra conoscono il giudice che sa delle vicende
imprenditoriali.
Comune
a tutti è solo la figura di un giudice che non ha, o almeno non esercita, alcun
potere istruttorio. Solo quando parla a Giuseppe e Maria il tribunale sembra
assumere le vesti della persona condiscendente, che, dall’alto del suo scranno,
valuta e giudica soggetti in qualche misura non proprio dei pari.
E’ un
organo che conosce talvolta anche molto bene il mondo in cui si trova ad
operare.
3.
Un sogno e alcune
esperienze.
Ciò che vorrei, sintetizzabile in poche ma spero efficaci pennellate, è un organo giurisdizionale che rispetti in egual modo accusa e difesa e che non si soffermi a ipotizzare e a completare scenari che il pubblico ministero non ha voluto o non è riuscito a ricostruire.
Sogno
di non udire mai più da un giudice, “avvocato, ho capito, lasci perdere che ci
penso io”. Un giudice che non si
sostituisca alle parti, ma che rispetti le regole, che valuti la condotta del
difensore alla stessa maniera con cui valuta quella del pubblico ministero; che
non dia maggior credito alla parte pubblica perché pubblica e che non diffidi
dell’avvocato perché soggetto privato contiguo all’indagato. Che ascolti,
equidistante, le ragioni dell’uno e dell’altro.
Che
non unisca il suo convincimento a quello del pubblico ministero per affermare e
trovare un colpevole senza il rispetto delle norme che quel convincimento
vogliono formato solo superando la presunzione di non colpevolezza. Un giudice
che non sospetti delle logiche del mercato perché non ha mai lavorato in
azienda, un giudice che sappia proteggere i deboli nell’ambito di un mondo che
vive anche e spesso di ricerche, produttività e profitti.
Parlo ad una platea formata soprattutto da avvocati che, come ho avuto modo di sperimentare, conosce la frustrazione di essere messa da parte sugli assunti che il giudice è il miglior garante del rito e, soprattutto, non può essere contestato. Ma ho esercitato anche come magistrato ordinario e conosco la sottile diffidenza a cui il giovane tirocinante è educato e che guida gli organi giudicanti e requirenti nei confronti del difensore il quale, trattando con il cliente, si suppone abbia maggiori conoscenze dell’autorità con cui non le condivide. E là dove difenda una realtà aziendale si presuppone abbia (erroneamente) maggiori possibilità di successo per il mondo in cui si muove.
Nell’uno
e nell’altro ruolo ho visto, per fortuna non così frequentemente, ignoranze e
supponenza che denunciavano una manifesta inidoneità a comprendere i fatti per
cui si procedeva.
Come accademico, infine, ho potuto constatare
quante poco efficaci siano le norme processuali nell’ “educare” i soggetti
pubblici e privati del processo a migliorare i reciproci rapporti nell’ ampio
agone della giustizia.
Last
but non least,
anche come cittadino, non posso
che interrogarmi su come delimitare e
circoscrivere il potere dell’ordine giudiziario rispetto al cui operato i principi della
soggezione della legge e dell’obbligatorietà dell’azione penale non
costituiscono più, se mai la hanno costituito, alcuna efficace barriera contro
abusi e illegittimità.
4.
L’ignoranza del
mondo altrui.
Se le osservazioni che precedono sono corrette, o almeno condivisibili, si può comprendere come le mie proposte di riforma interessino soprattutto, se non esclusivamente, il piano della formazione.
A mio
modesto parere molti degli atteggiamenti e delle incomprensioni che
caratterizzano la nostra amministrazione della giustizia potrebbero essere in
gran parte risolti da una formazione comune alle diverse parti del processo che
consenta loro di conoscere meglio rispettivi ruoli e funzioni e, in senso più
ampio, di conoscere realtà spesso del tutto estranee alle professioni liberali
ma su cui ogni operatore giudiziario si trova a incidere, nel corso della sua
vita professionale, più volte e spesso in modo molto rilevante.
Il
pubblico ministero che censura il difensore assumendo che quest’ultimo sia
informato di circostanze che potrebbero aiutarlo nelle indagini, non ha mai
ricevuto, come avvocato, un cliente, e non sa quanto sia difficile trattare con
una persona che, per le più varie ragioni, non vuole o non è in grado di
riferire cosa potrebbe essere accaduto a proposito del reato contestato (o solo
ipotizzato in caso di addebito provvisorio).
L’avvocato
che lamenta la maleducazione del magistrato poiché non lo riceve all’ora
concordata non ha mai avuto occasione di trattare con il personale degli uffici
o la stessa polizia giudiziaria. E se può anche ritenere, a ragione, che un
modello organizzativo di tipo aziendale potrebbe risolvere molti dei denunciati
problemi, non ha neppure una pur vaga percezione di come siano solo le buone
volontà di taluni a consentire di trovare un fascicolo tra i migliaia presenti
nella stanza.
Il
giudice che condanna l’imprenditore presupponendo una condotta illecita e fini
di profitto non ha mai lavorato in un’azienda, ove di regola la conoscenza e il
rispetto delle norme anti-infortunistiche, di quelle a tutela dell’ambiente e
oggi delle disposizioni per la prevenzione dei reati presupposto ex d.lvo
231/2001, sono diffusi, presidiati e spesso sanzionati dalla dirigenza in
caso di inosservanza molto più frequentemente di quanto si sia abituati a
pensare.
5.
Studio e
formazione.
Oggi avvocati, magistrati e spesso anche imprenditori escono dal medesimo percorso formativo, il corso universitario di cinque anni in giurisprudenza: una serie di esami, di carattere il più delle volte teorico, che li introduce alle categorie concettuali che un domani dovrebbero aiutarli ad agire in autonomia per chiedere un risarcimento ex art, 2043 c.c., decidere sulla custodia cautelare di una persona accusata di rapina, ovvero applicare all’attività produttiva o di servizi le novità in tema di sicurezza sul lavoro.
L’approccio
che vorrebbe consegnare loro gli strumenti per applicare un innumerevole numero
di disposizioni, di cui in tutta la loro vita professionale conosceranno a mala
pena un 10%, è informato a riflessioni sistematiche che tuttavia si scontrano
con una serie di novità con esse del tutto incompatibili: la diffusa tendenza a
ricorrere a banche dati sempre più sofisticate per risolvere i “casi
difficili”, la predisposizione di atti, documenti e memorie sotto forma di
collage di atti altrui, in una successione meramente paratattica; la
conseguente rinuncia, per i motivi più vari, ad articolate forme di
argomentazioni e interpretazioni. Comprensibile, dunque, che dilaghino stages
di diversi livelli presso uffici giudiziari e legali per introdurre i giovani
all’applicazione concreta della legge.
Rimangono
tuttavia rigidamente divisi i percorsi post lauream dell’una e dell’altra professione legale.
Caduto il lodevole tentativo di una scuola post-universitaria comune, gli
aspiranti avvocati imparano la professione presso gli studi legali prima
dell’esame e sudano presso le scuole forensi; gli aspiranti giudici sino a ieri sui banchi delle loro scuole di
specializzazione, oggi senza neppure quelle, dopo aver superato il concorso di
magistratura sono formati, durante il periodo di tirocinio che precede l’assunzione
di funzioni, e quindi direttamente, dalle scuole del CSM.
L’una e l’altra categoria, per ragioni
che non è possibile neppure accennare ma in entrambi i casi molto risalenti nel
tempo, si formano come corporazioni, del tutto autonome l’una dall’altra: più
varia la prima, anche solo per l’elevatissimo numero di legali che esercitano
(ciascuno secondo una propria tradizione) nel nostro Paese; molto più omogena
la seconda, che con un organico di appena ca. 9000 unità, è in grado di informare rigidamente canoni e
stili di giudizio dei propri componenti.
Tranne
qualche timida ipotesi sul piano della formazione primaria, volta ad assicurare
la doppia laurea in giurisprudenza ed economia in soli sei anni, né i liberi
professionisti né gli esponenti della magistratura ordinaria hanno alcuna
esperienza delle realtà aziendale. E se si prescinde altresì da alcuni grossi
studi legali organizzati secondo criteri manageriali, che iniziano a far
capolino anche in alcune sperimentazioni nell’ambito dell’amministrazione della
giustizia, né gli uni né gli altri sanno apprezzare la necessaria
organizzazione del lavoro che può e deve caratterizzare anche le professioni
cd. liberali.
6.
Per una cultura
comune.
Forse non è la panacea di tutti i problemi, ma a mio modesto
parere molti dei problemi denunciati potrebbero essere opportunamente superati
da una formazione comune di avvocati e magistrati e da una netta distinzione dei
ruoli giudicanti e requirenti.
Si immagini, ad esempio, ancora una volta sulla falsariga
dell’esperienza tedesca, che dopo il
conseguimento della laurea in giurisprudenza tutti coloro che desiderino
intraprendere una professione legale debbano trascorrere un certo periodo di
tempo, che potrebbe essere indicato in due anni e mezzo complessivi, presso diversi uffici e
suddiviso in tal modo: otto mesi presso uno studio legale, otto mesi presso un
ufficio requirente e altri otto presso un ufficio giudicante. Gli ultimi sei
mesi potrebbero essere spesi proficuamente presso una impresa privata.
Solo all’esito di questo periodo dovrebbe essere consentito
l’accesso ad un concorso, che dovrebbe essere unico per tutte le professioni,
in cui i candidati dovrebbero dimostrare di saper interpretare il diritto,
saper risolvere problemi complessi e saper organizzare un lavoro in forma
collegiale.
La prima valutazione
potrebbe interessare la (classica) stesura
di una tema con il solo ausilio delle leggi e/o del codice di riferimento: non
interessa a questo proposito lo specifico argomento da trattare, il cui
contenuto potrebbe essere estratto a sorte da argomenti attinenti, in generale, al civile, al penale o
al processuale.
La seconda capacità potrebbe essere accertata con la
sottoposizione ai candidati di un “dossier”
e un quesito di cui argomentare la soluzione. Potrebbe anche trattarsi
di una decisione “politica” sulla base degli interessi manifestati dai diversi
gruppi coinvolti: in quale misura, ad esempio, in un dato comune è opportuno
costruire una piscina che soddisfi le esigenze sportive dei giovani, che
aumenti profitti e lavori a favore delle imprese costruttrici e dell’indotto
derivante dalla frequentazione del luogo sportivo ma a scapito delle risorse
che potrebbero essere dedicate per la costruzione di una casa di riposo, di un
centro sanitario o uno stadio ?
Ma
potrebbe bene anche concernere uno specifico caso: forniti gli atti che un
rappresentante dell’accusa trasmette al gip per una richiesta di una misura
cautelare, i candidati potrebbero essere richiesti, ad esempio, di predisporre
la più opportuna difesa o, per coloro che fossero più interessati a entrare
nell’organico della magistratura, di redigere il più opportuno provvedimento
(di rigetto o di accoglimento).
La terza competenza, infine, potrebbe, analogamente, essere verificata
richiedendo ai candidati la predisposizione di un progetto organizzativo
sulla base di alcuni dati volti a rappresentare gli obiettivi da perseguire e la
quantità e la qualità delle risorse a disposizione. In questa cornice si
potrebbe pensare alla trattazione di un
certo numero di procedimenti entro un dato
termine sulla base delle notizie di reato in entrata e dell’organico, anche
di cancelleria, dell’ufficio; ovvero alla predisposizione di una strategia
legale al fine di ottenere il miglior risultato per il cliente sulla base di
informazioni scarse (il fatto descritto in denuncia-querela) e risorse ampie
(una decina di professionisti e studi specializzati in diversi rami).
Con la partecipazione degli ordini e del Ministero della
Giustizia, le prove potrebbero essere organizzate distrettualmente, e le
commissioni dovrebbero essere composte da magistrati, avvocati, accademici (anche
nel settore dell’organizzazione del lavoro) in ugual modo.
All’esito, nel rispetto dell’ordine indicato in una graduatoria
nazionale in cui sarebbero inseriti solo i candidati che abbiano superato tutte
e tre le prove, le persone
risulterebbero abilitate a scegliere tra il posto di magistrato, optando tra
giudicanti e inquirenti, ovvero quello di legale tra liste che indichino i
posti vacanti. Se il CSM, come accade
ora, è già in grado di fornire l’elenco degli uffici scoperti, con l’accortezza
di una certa qual proporzionale distribuzione territoriale e l’indicazione
della natura dell’incarico (giudicante, requirente), gli ordini non dovrebbero incontrare troppe difficoltà a
predisporre una lista analoga.
Va da sé che anche la formazione successiva dovrebbe essere fornita
congiuntamente da ordini professionali e CSM.
Non è
elemento di poco conto: le norme, specie quelle processuali, vivono di prassi,
di tradizioni e di cultura.
Scrivere
di contraddittorio o di rito camerale partecipato ha ben altro rilevo se gli
attori hanno conosciuto quanto possano essere complesse la gestione delle
rispettive agende di lavoro e la predisposizione della più efficace forma
di dalla prospettiva della accusa o
della difesa. Applicare o valutare una certa organizzazione aziendale ha altro
spessore se si riescono ad apprezzare i
valori positivi di una economia di mercato.
Una formazione continua per magistrati e
professionisti insieme, potrebbe anche essere d’aiuto per migliorare la
comunicazione tra i soggetti del processo: certe questioni in diritto, pure astrattamente ipotizzabili ma
del tutto irrilevanti al fine del decidere, ad esempio, potrebbero essere del tutto tralasciate nella consapevolezza di
un sapere comune e di una reciproca fiducia.
Soprattutto, però, una educazione comune potrebbe contribuire all’affermazione di un diverso
stile nell’esercizio del potere giudiziario: il terzo ordine dello Stato, senza
nulla togliere alle esigenze dell’accertamento, si potrebbe fare apprezzare
dalla comunità intera non nella diffusa iconografia dell’angelo vendicatore ma
nella più modesta e più rilevante immagine del servitore pubblico che, insieme
al libero professionista dalla stessa educazione anche manageriale, fa
funzionare la complessa macchina processuale esclusivamente a fini di giustizia.
¨ Francesca
Ruggieri, ordinario di
diritto processuale penale presso l’Università degli Studi dell’Insubria (sede
di Como).