04 novembre 2022

IL CASO REGENI E LA NOTIFICA ALL’ESTERO DEGLI ATTI IN ASSENZA DI COOPERAZIONE TRA STATI - di Gianluca Pipitone

 





E’ fatto notorio che tra l’Egitto e L’Italia ci siano moltissimi accordi di cooperazione in materia commerciale. Lo stesso non può dirsi per gli accordi in materia di cooperazione di giustizia. Di fatto, senza collaborazione da parte dell’Egitto, nessun cittadino Egiziano potrà mai essere processato dinanzi le autorità Giudiziarie Italiane.

Da alcuni anni, a minare i rapporti Italo-Egiziani, è intervenuto il Caso di Giulio Regeni, il ricercatore dell’università di Cambridge che nel 2016 è stato rapito, torturato e ucciso da quattro agenti della National security agency.

Proprio nel caso Regeni si è a pieno compreso che, l’assenza di accordi di cooperazione giudiziaria e la deliberata inerzia dell’Egitto, avrebbe comportato l’impossibilità di notificare agli imputati - presso uno specifico indirizzo - tutti gli atti del procedimento, proprio a partire dall’avviso di conclusione delle indagini, rendendo difficile la celebrazione del processo in Italia. 

Infatti con l’entrata in vigore nel 2014 dell’art. 420 bis c.p.p. (nuova formulazione), l’ordinamento giuridico Italiano si è adeguato alle innumerevoli sentenze di condanna della Corte Edu stabilendo che, la conoscenza del procedimento penale a carico dell’imputato, debba essere dimostrata ed effettiva e non può essere presunta.

Tale regime ha avuto una ricaduta diretta su molti casi, compreso quello di Regeni. Il processo, per diverso tempo, rischiava seriamente di arenarsi definitivamente, in quanto la Corte di Assise di Roma e la Cassazione avevano stabilito che senza la notifica degli atti agli imputati il processo non poteva andare avanti.

La Ministra Cartabia aveva incontrato anche i genitori di Giulio Regeni, insieme con il loro avvocato Alessandra Ballerini, promettendo il possibile, e finalmente la questione è stata affrontata politicamente. Nella riforma della giustizia penale, infatti, si affronta il tema delle notifiche all'estero.

Nell'articolo 169, comma 1 c.p.p. è stato inserito un passaggio cruciale: "Quando l'autorità giudiziaria - si legge - non può procedere alla notificazione con modalità telematiche e risulta dagli atti precisa notizia del luogo di residenza o del luogo in cui all'estero la stessa esercita abitualmente l'attività lavorativa, il giudice invia la raccomandata contenente l'indicazione dell'autorità che procede, del titolo del reato e della data e del luogo in cui è stato commesso. Se nel termine di trenta giorni non viene eletto un domicilio, le notifiche sono eseguite mediante consegna al difensore". 

Non sarà, dunque, necessario notificare il rinvio a giudizio nella residenza degli imputati, essendo sufficiente notificarli sul luogo di lavoro. E dopo un mese, anche senza risposta, saranno sufficienti le comunicazioni al difensore, anche d’ufficio.

Questa norma, certamente, cambia le regole del gioco, poiché tenta di risolvere un problema che non vale solo per il processo Regeni, ma per tutti gli altri casi in cui gli imputati - sottraendosi al processo - risultino irreperibili. L’obiettivo, non troppo celato, è quello di vincere - laddove ci fossero - le omissioni e ostilità degli Stati che non intendano collaborare con le autorità giudiziarie italiane.

In effetti, se in questo caso la questione è politica - il Sisi ha deliberatamente scelto di non collaborare ritenendo chiusa l'indagine Regeni - in altri decine di processi il problema è procedurale.

La nuova norma contenuta nella riforma Cartabia servirà a rimuovere l’ostacolo della notifica degli atti agli imputati (e in questo caso è conosciuto il luogo lavorativo dei quattro agenti egiziani) ma è molto probabile che le autorità egiziane continuino a opporsi con ogni mezzo alla possibilità che il processo approdi nella fase dibattimentale.

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