1. Caro Professore, prima di valutare alcuni aspetti specifici del nuovo appello disegnato dalla c.d. Riforma Cartabia, vorrei chiederTi quale sia il tuo giudizio complessivo sulla stessa.
Il modello processuale che ci consegna la Riforma impone di mutare l’ideologia di fondo con la quale ci siamo sempre misurati.
Cambia il baricentro, spostato alla fase delle indagini, il che impone un approccio differente per pubblico ministero, soggetti privati, difensore e giudice stesso. Se verrà metabolizzata questa nuova impronta offerta dal d.lgs. n. 150/2022 nei prossimi anni potremo trarre un bilancio sull’efficacia dell’intervento del legislatore.
Certo che la virata verso l’a-cognitivismo è marcato e, per coloro che interpretano il processo come il luogo per la verifica delle accuse, l’opzione di metodo non appare convincente.
2. Muoviamo dalla inammissibilità per difetto di specificità. In caso di motivi in parte generici e in parte specifici, la cognizione del Giudice di appello sarà limitata ai punti investiti dai motivi ammissibili, oppure l’immutata regola dell’art. 597 c.p.p. potrebbe consentire una soluzione diversa, a fronte di un appello comunque ammissibile?
La rivisitazione dell’appello impone un maggior tecnicismo che avrà quale prima conseguenza la necessità di una maggiore preparazione per i protagonisti tecnici. L’auspicio è che questa differente impostazione rispetto al modello originario non celi finalità deflattive, antitetiche ad un modello che aspira a qualità.
Venendo alla cognizione del giudice di appello di fronte a motivi in parte inammissibili, la soluzione non potrà che essere quella di mettre à côté quelli inammissibili e valutare quelli ammissibili.
3. Nella medesima evenienza, ai fini del decorso della prescrizione e della improcedibilità, si assisterà ad uno “spacchettamento” dell’impugnazione come già avviene nel giudizio di legittimità?
Se la soluzione sarà quella di cui alla precedente risposta, la conseguenza dovrà necessariamente porsi nei termini di una selezione dei motivi ammissibili da quelli che non lo sono con le relative conseguenze ai fini decisori.
4. La nuova causa di inammissibilità consentirà, a fin de non recevoir, una valutazione sulla manifesta infondatezza delle censure?
La manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione impone una breve riflessione in chiave di metodo che riporta a quella che in origine costituiva l’ortodossa distinzione tra inammissibilità originaria e inammissibilità sopravvenuta. Solo la prima implicava di non considerare il rapporto processuale in astratto “ingaggiato” con l’impugnazione, mai originatosi difettando l’atto introduttivo dei requisiti per sottoporlo al vaglio del giudice ad quem. È il caso dell’impugnazione presentata da soggetto non legittimato, carente di interesse, inosservante dei tempi e delle forme prescritte, etc. Si tratta di ipotesi che ictu oculi non richiedono la disamina dell’impugnazione.
Qualora, però, per valutare l’ammissibilità dell’impugnazione il giudice debba esaminarla il rapporto processuale si instaura e, conseguentemente, saremo al cospetto di una inammissibilità sopravvenuta.
Venendo alla domanda, pare che il modello che il legislatore voglia delineare per l’appello sia il medesimo di quello operante in sede di legittimità ed allora non si può che concludere nel senso che l’inammissibilità comprenderà anche i casi di manifesta infondatezza. Auspichiamo, però, che si opti per una interpretazione assiologicamente ortodossa, tale da confinare questa inammissibilità come sopravvenuta.
D’altro canto, il comma 1-bis dell’art. 581 c.p.p. sembra non ammettere la possibilità di dilatare oltremodo il concetto di specificità dei motivi di impugnazione sul piano del fatto e del diritto, legato com’è all’esigenza che l’atto si confronti con il provvedimento impugnato, rimandando ad un momento successivo la valutazione della fondatezza delle critiche.
5. Per la celebrazione dei giudizi di appello si stabilizza la deroga al regime della pubblicità, salvo che per talune eccezioni. Ma la pubblicità dei giudizi è rimettibile alle considerazioni delle parti o del giudice?
La domanda impone di osservare la garanzia della pubblicità delle udienze nella prospettiva interna e in quella sovranazionale. In quest’ultima sede, la pubblicità costituisce direttamente una Grundnorm, essendo esplicitamente prevista. Previsione, però, che classifica la pubblicità come un diritto dell’accusato, quindi nella sua disponibilità. La nostra Carta costituzionale non la prevede, invece, anche se in forza dell’art. 117, comma 1, Cost. può ritenersi riconosciuto il medesimo diritto all’accusato il quale, pertanto, può valutare se fruirne o meno. Sotto questo profilo le norme del codice di rito che prevedono la facoltà per le parti di optare per la pubblicità del procedimento risultano in armonia con le norme fondamentali.
6. Nell’appello cartolare è sparita ogni distinzione temporale tra le conclusioni del requirente e quelle delle altre parti, nonché l’obbligo di comunicazione delle prime alle difese. Si tratta di una disciplina lesiva dei diritti di difesa?
Un distinguo sui tempi di deposito delle conclusioni del Procuratore generale e delle altre parti, a mio avviso, è rimediabile con la facoltà di depositare memorie di replica fino a cinque giorni prima dell’udienza, il che non dovrebbe recare pregiudizio alla difesa.
Qualora queste scansioni dovessero essere ritenute lesive dei diritti della difesa, questa potrebbe comunque optare per l’opzione della trattazione orale dell’appello.
7. E’ stato limitato, ma non soppresso, il potere del pubblico ministero di appellare le pronunce di proscioglimento. Qual è il tuo giudizio al riguardo?
Spesso omettiamo che il pubblico ministero è una giusta parte secondo l’efficace immagine tracciata da Delfino Siracusano. Egli deve vigilare sull’esatta osservanza della legge. Se questa è la ortodossa prospettiva da cui inquadrare il ruolo del pubblico ministero trovo giusto non resecare il potere di chiedere il controllo di una decisione, anche di proscioglimento, anche da parte del rappresentante della pubblica accusa.
È auspicabile che questa facoltà non venga utilizzata per finalità persecutorie, dato che si smoderebbe in una forma di abuso del processo.
8. Il nuovo termine per impugnare le sentenze rese nei confronti dell’assente è stato ampliato in favore del solo difensore. Si tratta di una svista oppure di una reale deroga al principio di cui all’art. 585 III co. c.p.p.?
La finalità di questo termine diversificato risponde alla necessità di consentire al difensore di potersi rapportare con il proprio assistito anche al fine di farsi rilasciare l’apposito mandato ad impugnare.
L’arguta domanda, ovvero se l’addenda di quindici giorni prevista per il solo difensore dell’assente prevista dal comma 1-bis dell’art. 585 c.p.p. costituisca una deroga al principio di cui al comma 3 del medesimo articolo, pone un tema che non è stato particolarmente problematizzato nei primi commenti alla integrazione effettuata dal legislatore.
A mio avviso, sarebbe erroneo applicare la disciplina prevista dal predetto comma 3 in quanto questo si riferisce alla decorrenza del termine per impugnare, mentre l’addenda prevista dal comma 1-bis attiene ai termini per proporre impugnazione. Considerato che l’assente è rappresentato dal difensore con tutte le conseguenze che ne derivano in ipotesi di difficoltà di quest’ultimo a prendere contatto con il proprio assistito – aspetto che costituisce la ratio del nuovo comma 1-bis –, in realtà la situazione che si prospetta pare quella che il legislatore non abbia considerato la possibilità per l’imputato assente di proporre autonomamente appello – questo problema non si pone per il ricorso in cassazione in ragione del tenore dell’art. 613, comma 1, c.p.p. –, concentrandosi, invece, sulla necessità per il difensore di fruire del tempo necessario per poter consultarsi con il proprio assistito in ordine all’an e al quomodo dell’impugnazione.
Ne consegue che deve ritenersi che per l’imputato assente il termine per proporre appello non fruisca della dilatazione di quindici giorni prevista dall’art. 585, comma 1-bis, c.p.p.
9. Il giudice dell’appello potrà applicare ex officio le nuove pene sostitutive oppure occorrerà una specifica richiesta in seno all’atto di impugnazione, per come indicato da SS.UU. n.12872 del 19/01/2017, per le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi?
Il maggior rigore richiesto in ordine alla specificità dei motivi di appello impone di non ritenere scalfito l’obiter dictum delle Sezioni unite in ordine all’impossibilità per il giudice di appello di applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi qualora nell'atto di appello non risulti formulata alcuna specifica e motivata richiesta in relazione a tale punto della decisione.
10. Tra gli istituti che in passato hai approfondito vi è quello del c.d. concordato in appello, come giudichi il nuovo assetto dell’istituto?
Lo svincolare il concordato da determinate tipologie di reati e categorie di imputato, si propone uno scopo deflattivo in linea con la ratio che anima la Riforma. Il rischio, altrimenti, è quello di far implodere il sistema con tutte le conseguenze del caso, in primis l’aspirazione alla qualità delle decisioni.
Vi è un aspetto che può vanificare questo lodevole proposito, ovvero i criteri orientativi che verranno determinati dalle singole Procure Generali. Dall’esperienza che ho maturato in questi mesi, l’impressione è quella che il nuovo istituto, proprio sulla scorta di limiti molto stringenti posti dalle Procure Generali, non permetterà di sgravare le Corti territoriali del carico di lavoro che le affligge.
11.Un’ultima domanda: a tuo avviso in caso di rinuncia all’appello avverso una sentenza pronunciata all’esito del giudizio abbreviato, è possibile godere dello sconto di pena in executivis?
La ratio del riconoscimento dell’ulteriore sconto di pena di un sesto risponde – in linea, ad esempio, con quanto previsto per il decreto penale di condanna – di non dar corso a tutta l’attività conseguente alla presentazione di un’impugnazione (il lavoro delle cancellerie, le notifiche, l’instaurazione del contraddittorio, etc.). La rinuncia all’appello impone che tutto ciò si effettui e, quindi, non esclude quel dispendio di risorse che la presentazione dell’impugnazione impone.
La mia risposta, pertanto, è negativa.
Filippo Giunchedi
Associato di Diritto processuale penale
nell’Università Niccolò Cusano di Roma