31 maggio 2024

Overtime per l'impugnazione dell'assente: la giurisprudenza di merito alla prova (non superata!) delle novità Cartabia. La Cassazione pone rimedio all'errore

 




Il Tribunale di Palermo, con sentenza emessa in data 7 febbraio 2023, ha dichiarato l'imputato colpevole dei reati a lui ascritti, ritenuti avvinti dalla continuazione, e lo ha condannato alla pena sospesa di un anno e tre mesi di reclusione ed euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. 

Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha dichiarato inammissibile per tardività l'appello proposto dall'imputato avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo, di cui ha ordinato l'esecuzione.

Presentato ricorso avverso tale sentenza è stata dedotta inosservanza dell'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen. 

La Corte di appello aveva erroneamente ritenuto l'appello tardivo, in quanto era stato presentato oltre il termine di quindici giorni dal deposito della sentenza impugnata; essendo, infatti, la stessa stata emessa con motivazione contestuale in data 7 febbraio 2023, il termine decorreva dalla lettura del provvedimento per tutte le parti che sono o devono considerarsi presenti in giudizio, secondo quanto disposto dall'art. 585, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. 

L'appello depositato telematicamente in data 3 marzo 2023 era stato ritenuto inammissibile, essendo il termine per impugnare integralmente decorso in data 22 febbraio 2023. 

Tuttavia, il ricorrente deduce che l'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. f), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) e in vigore dal 30 dicembre 2022, sancisce che «[i] termini previsti dal comma 1 sono aumentati di quindici giorni per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza». Posto, pertanto, che l'imputtao è stato giudicato in primo grado in absentia, il termine per appellare la sentenza di primo grado scadeva il 9 marzo 2023 e non già il 22 febbraio 2023, come sostenuto dalla Corte di appello; l'appello era, dunque, tempestivo.

Il motivo è ritenuto fondato dalla corte regolatrice.

L'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. f), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 del 2022 sancisce che «[i] termini previsti dal comma 1 sono aumentati di quindici giorni per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza». 

Il disposto dell'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen. è, del resto, applicabile nel caso di specie, in quanto la sentenza di primo grado è stata emessa in data 7 febbraio 2023. L'art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 150 del 2022, del resto, sancisce, infatti, che «Le disposizioni degli articoli 157-ter, comma 3, 581, commi 1-ter e 1- quater, e 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto» ovvero al 30 dicembre 2022. Essendo stato, dunque, l'imputato giudicato in primo grado in absentia, il termine di trenta giorni per appellare la sentenza di primo grado, decorrente dalla lettura in udienza della sentenza contestuale, secondo quanto disposto dall'art. 585, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., scadeva il 9 marzo 2023 e non il 22 febbraio 2023, come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello. L'appello proposto nell'interesse dell'imputato in data 3 marzo 2023 è, dunque, tempestivo. 

Scarica la sentenza della Corte di Cassazione al link.


Della questione ci eravamo occupati qui  Alcune domande sull'appello Cartabia a Filippo GIUNCHEDI.

Si era osservato:

Il nuovo termine per impugnare le sentenze rese nei confronti dell’assente è stato ampliato in favore del solo difensore. Si tratta di una svista oppure di una reale deroga al principio di cui all’art. 585 III co. c.p.p.?

La finalità di questo termine diversificato risponde alla necessità di consentire al difensore di potersi rapportare con il proprio assistito anche al fine di farsi rilasciare l’apposito mandato ad impugnare.

L’arguta domanda, ovvero se l’addenda di quindici giorni prevista per il solo difensore dell’assente prevista dal comma 1-bis dell’art. 585 c.p.p. costituisca una deroga al principio di cui al comma 3 del medesimo articolo, pone un tema che non è stato particolarmente problematizzato nei primi commenti alla integrazione effettuata dal legislatore.

A mio avviso, sarebbe erroneo applicare la disciplina prevista dal predetto comma 3 in quanto questo si riferisce alla decorrenza del termine per impugnare, mentre l’addenda prevista dal comma 1-bis attiene ai termini per proporre impugnazione. Considerato che l’assente è rappresentato dal difensore con tutte le conseguenze che ne derivano in ipotesi di difficoltà di quest’ultimo a prendere contatto con il proprio assistito – aspetto che costituisce la ratio del nuovo comma 1-bis –, in realtà la situazione che si prospetta pare quella che il legislatore non abbia considerato la possibilità per l’imputato assente di proporre autonomamente appello – questo problema non si pone per il ricorso in cassazione in ragione del tenore dell’art. 613, comma 1, c.p.p. –, concentrandosi, invece, sulla necessità per il difensore di fruire del tempo necessario per poter consultarsi con il proprio assistito in ordine all’an e al quomodo dell’impugnazione.

Ne consegue che deve ritenersi che per l’imputato assente il termine per proporre appello non fruisca della dilatazione di quindici giorni prevista dall’art. 585, comma 1-bis, c.p.p.  

30 maggio 2024

La prima sezione riapre la questione della concedibilità sospensione condizionale dopo l'estinzione reato patteggiato


 

In questi anni ci siamo più volte occupati degli effetti estintivi, sulla pena sospesa, del patteggiamento, ai fini della concessione di un'ulteriore sospensione condizionale. Dapprima abbiamo dato conto, con un post di Marco Siragusa di un indirizzo di merito della Corte di appello di Palermo (post di Marco Siragusa al link) e più recentemente di una sentenza di legittimità che riteneva che l'effetto estintivo non "azzerasse" anche la precedente concessione del beneficio (post del 23.04.2024 al link) 

Tuttavia con una sentenza ricca di spunti la prima sezione è ritornata sul tema. 

Al riguardo la Corte ha annullato con rinvio una pronuncia della Corte di appello di Catania che aveva ritenuto precluso l'accesso alla nuova sospensione condizionale, giacchè sommando la pena estinta e sospesa con quella ora irrogata, si superavano i due anni di detenzione. 

La Corte di legittimità ha però osservato che i giudici distrettuali <<hanno trascurato di considerare che, essendo stata la pena più risalente applicata su richiesta di parte, il decorso di cinque anni, a far data dall'irrevocabilità della sentenza (nel caso di specie intervenuta il 14 aprile 1993), ha determinato l'estinzione di quel reato ... . Si impone, pertanto, limitatamente alla sospensione condizionale della pena, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per un nuovo giudizio sul punto>>. (sentenza al link) 

La pronuncia della Corte rileva inoltre per altri due aspetti

anzitutto nella sentenza si afferma che l' effetto estintivo si è prodotto ipso iure ed a prescindere dall'adozione di apposito provvedimento. Al riguardo segnaliamo che, più volte, la giurisprudenza amministrativa si è mostrata di diverso avviso, ritenendo che  <<l'estinzione del reato ... non è automatica per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale, che è l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non interviene tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di "reato estinto" e il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell'intervenuta condanna>> (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 02/01/2024, (ud. 30/11/2023, dep. 02/01/2024), n.19 nonchè Cons. Stato, sez. V, 12 dicembre 2018 n. 7025; Id., sez. III, 29 maggio 2017, n. 2548);

ancora, sebbene implicitamente, la Corte ha ritenuto che, ai fini della prescrizione,  si continui ad applicare, anche ai reati commessi dopo l'entrata in vigore della legge Orlando, il regime della legge Cirielli, così confermando l'indirizzo cui ha esplicitamente aderito la III sezione  (nostro post al link)  

 




29 maggio 2024

Termine a comparire in appello: in attesa delle sezioni unite, la IV rilancia i 40 giorni.

 

Da tempo ci occupiamo della vexata quaestio sul termine a comparire in appello. Chi segue questo blog sa bene che innanzi alla Corte di legittimità si sono registrati esiti assolutamente difformi, talora innazi alla stessa sezione, fino a che all'udienza del 05.04.2024 la seconda sezione, attraversata da un contrasto interno, ha rimesso con doppia ordinanza la questione alle sezioni unite. 

In attesa del massimo consesso di legittimità, il tema si è riproposto innanzi alla IV sezione, che già con la sentenza  n. 7104/24 si era pronunciata in favore del termine pari a 40 gg., e la sezione, all'udienza del 10.04., ha ribadito il suo orientamento (sentenza della IV al link) 

Allora aggiorniamo la nostra tabella, ovviamente rappresentando che ci potrebbbero essere ulteriori pronunce sfuggite alla nostra attenzione.

Estremi sentenza

20gg

40gg

 

Sez. IV 48056/23

 

X

 

Sez. II 49644/23

 

X

 

Sez. V 5347/24

X

 

 

Sez. III 5481/24

 

X

 

Sez. II 6010/24

X

 

 

Sez. IV 7204/24

 

X

 

Sez. II 7990/24

X

 

 

Sez. VI 12157/24

 

X

 

Sez. II 12621/24

X

 

Censura inammissibile

Sez. V 14344/24

X

 

Censura inammissibile

Sez. IV 20334/24

 

X

 

Sez. II 16364/24

 

 

Ordinanza remissione a SS.UU.

Sez. II 16365/24

 

 

Ordinanza remissione a SS.UU.

 

   

 

28 maggio 2024

La Corte precisa che per la retrodatazione dei termini custodiali non basta la mera conoscenza dei fatti


La IV sezione penale della Corte di legittimità ha precisato che, al fine di retrodatare i termini custodali, ai sensi dell'art. 297 3 co. c.p.p., <<la nozione di anteriore desumibilità, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali ma esige una condizione di conoscenza che abbia una specifica significanza processuale>> (sentenza al link).


27 maggio 2024

Prescrizione:per i reati fino al 31.12.2019 si applica la Cirielli anche nei giudizi di impugnazione? NO, anzi SI, anzi NO.

Mentre si attende l'udienza innanzi alle SS.UU., investite di dirimere il contrasto in ordine al termine applicabile al decreto di citazione a giudizio in appello, si staglia all'orizzonte un nuovo conflitto interpretativo tra le sezioni semplici della Corte. Il contrasto riguarda l'applicabilità della causa di sospensione della prescrizione, introdotta dalla c.d. <<legge Orlando>> per i giudizi di impugnazione inerenti reati perpetrati dal 03.08.2017 al 31.12.2019.

Per orientarsi nella questione è opportuno ripercorrere le tappe del percorso legislativo che ha interessato l’art. 159 c.p..

 1) La legge n. 103/2017 (c.d. «legge Orlando») aveva modificato il previgente art. 159 cod. pen., introducendo un nuovo comma secondo, a mente del quale il corso della prescrizione rimaneva sospeso: a) dal termine previsto dall'art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della sentenza di condanna di primo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo e, comunque, per un tempo non superiore a un anno e sei mesi; b) dal termine previsto dall'art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi. La sospensione si applicava, per disposizione della stessa legge, soltanto ai reati commessi dal 03.08.2017;

2) successivamente la legge n.3/2019 (c.d. «legge Bonafede») aveva riformulato il citato art. 159, comma 2, cod. pen., così come introdotto dalla <<legge Orlando>>, prevedendo che il corso della prescrizione rimanesse sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado, o dal decreto penale di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla irrevocabilità del decreto di condanna. La nuova previsione si applicava a decorrere dall’ 1 gennaio 2020, sicché il regime della legge Orlando si sarebbe potuto applicare dal 03.08.2017 al 31.12.2019; 

3) la disciplina subiva un'ulteriore riforma, allorquando la legge 27 settembre 2021 n. 134 (c.d. <<riforma Cartabia>>) ha abrogato il comma 2 dell'art. 159 cod. pen., introducendo contestualmente l'art. 161 bis cod. pen., a mente del quale il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. Con specifico riguardo alla prescrizione (“sostanziale”) quest’ultimo intervento normativo non ha previsto una specifica disciplina transitoria. La stessa legge ha poi introdotto, per i reati commessi a far data dall' 1 gennaio 2020 (ai sensi dell'art.2 comma 3), all'art. 344 bis cod. proc. pen., l'improcedibilità dell'azione penale, in caso di mancata definizione del giudizio di appello e di cassazione entro i termini previsti nel succitato articolo. 

Ciò posto, per i giudizi di impugnazione inerenti reati commessi durante la vigenza della c.d. legge Orlando la causa di sospensione di cui all'art. 159 II co., all'epoca vigente, si applica o no ? Ovviamente il tema si pone poiché la disciplina della prescrizione ha natura sostanziale (cfr. C.cost. 278/20, nonché, per la giurisprudenza di legittimità, Sez. 3, n. 26795 del 23/2/2023, Angelini; Sez. 6, n. 31877 del 16/5/2017, B., Rv. 270629).

Fino a qualche giorno fa la risposta della giurisprudenza di legittimità era univocamente positiva

Al riguardo la quarta sezione (Cass. Sez. 4 Num. 39170 Anno 2023, Cass. Sez. 4 Num. 48770 Anno 2023, per la quale la questione è manifestamente infondata, nonché Cass. Sez. 4 Num. 623 Anno 2024) aveva più volte così ricostruito il rapporto tra le discipline succedutesi nel tempo: 

tra le riforme c.d. Orlando e Bonafede non vi era alcun rapporto di successione delle leggi penali nel tempo, ex art. 2 cod. pen., posto che le leggi che si sono succedute contengono la previsione della loro applicabilità ai reati commessi a decorrere da una certa data; 

diversamente, il fenomeno successorio ricorre tra la riforma Orlando e quella Cartabia, ma la prima è da ritenersi più favorevole perché, sebbene preveda una causa di sospensione, non preclude del tutto il corso della sospensione nei giudizi di impugnazione, per come risulta invece dal combinato disposto degli articoli 159 e 161 bis c.p.. 

Pertanto tale arresto ritiene sussistere diversi regimi di prescrizione, applicabili in ragione della data del commesso reato e così articolati:
<<-
per i reati commessi fino al 2 agosto 2017 si applica la disciplina della prescrizione dettata dagli artt. 157 e ss cod. pen. così come riformulati dalla legge 5 dicembre 2005 n. 251 (c.d. legge ex Cirielli);
- per i
reati commessi a far data dal 3 agosto 2017, fino al 31 dicembre 2020, si applica la disciplina della prescrizione come prevista dalla legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. legge Orlando) con i periodi di sospensione previsti dall'art. 159, comma 2, cod. pen. nel testo introdotto da detta legge;
- per i
reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020 si applica in primo grado la disciplina della prescrizione come dettata dagli artt. 157 e ss cod. proc. pen., senza conteggiare la sospensione della prescrizione di cui all'art. 159, comma 2, cod. pen., essendo stata tale norma abrogata dall' art. 2, comma 1, lett. a) della legge 27 settembre 2021 n. 134 e sostituita con l'art. 161 bis cod. pen. (c.d Riforma Cartabia), e nei gradi successivi la disciplina della improcedibilità, introdotta appunto da tale legge>> (cfr. Sez. 4 Num. 39170 Anno 2023).

A tale interpretazione aveva anche aderito Sez. 1 Num. 2629 Anno 2024, sebbene senza negare che la legge Bonafede sia parte del fenomeno successorio (sentenza della I al link)

Nondimeno, recentemente un arresto espresso da Sez. 3 Num. 18873 Anno 2024 è approdato a diverse conclusioni

Tale esegesi ritiene che la riforma del 2021, esplicitamente abrogando la causa di sospensione della prescrizione per i giudizi di impugnazione, ex art. 159 2 comma c.p., abbia consentito la riviviscenza della disciplina anteriore alla riforma Orlando, la c.d. legge Cirielli, per i fatti commessi tra il 3.08.2017 e il 31.12.2019, rimanendo invece i fatti commessi successivamente regolati dalla improcedibilità. 

Evidentemente la disciplina Cirielli risulta più favorevole all'imputato, non prevedendo alcuna sospensione del corso della prescrizione nei giudizi di impugnazione, né tantomeno la cessazione della stessa  (sentenza al link).

Secondo questa interpretazione la disciplina della sospensione del corso della prescrizione risulterebbe assai meno articolata e andrebbe ricostruita così

- per i reati commessi sino al 31.12.2019 si applica il regime Cirielli

- per i fatti successivi, la prescrizione disegnata dalla legge Cirielli si applica sino al primo grado di giudizio, mentre per i giudizi di impugnazione troverà luogo il regime della improcedibilità Cartabia.

Tuttavia, in un'udienza celebrata appena due giorni dopo, la quarta sezione ha riproposto il suo precedente orientamento (sentenza della IV al link).

Forse si prospetta un nuovo intervento delle Sezioni Unite, ma le superiori vicende dovrebbe condurre ad una più profonda riflessione del perché la Corte sarebbe assediata da un numero ritenuto spropositato di ricorsi e sulla inutilità delle politiche finora dispiegate per ridurli. A margine, costatiamo, ancora una volta, come l'uso della inammissibilità sia del tutto incontrollabile.  

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