10 novembre 2021

Un paio di questioni di legittimità costituzionale che varrebbe la pena sollevare: omesso versamento dell'IVA e peculato dell'albergatore - del Prof. Avv. Giovanni Maria Flora (*)

 

Siamo felici e onorati di ospitare le riflessioni dell'amico Professore Avvocato Giovanni Flora che, interpretando lo spirito polifonico di questo blog, alimenta il dibattito su due attualissime questioni di legittimità costituzionale. 
Uno dei due argomenti trattati (il peculato degli albergatori) ha costituito oggetto di numerosi approfondimenti su questo blog (al link, al link e al link).



     Premessa -
    Uno dei compiti che l’Osservatorio Corte Costituzionale dell’UCPI, di cui sono responsabile assieme al Prof. Avv. Vittorio Manes, a mio avviso è chiamato ad assolvere è quello di segnalare all’attenzione degli Avvocati Penalisti possibili questioni di costituzionalità da proporre.
    Aumentandone la diffusione presso la comunità forense si può sperare che ne aumentino anche le possibilità di devoluzione al giudizio della Consulta e, in prospettiva, di accoglimento; in modo da rendere il sistema sempre più aderente ai principi del diritto penale liberale costituzionalmente orientato e del giusto processo.
    Approfittando della cortese ospitalità di Foro e Giurisprudenza vorrei qui limitarmi a prospettarne un paio che mi sembrano di notevole rilevanza pratica.

    La prima concerne il delitto di omesso versamento IVA (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 e succ. mod.). Delitto di sempre più frequente contestazione soprattutto in questi tempi di grave crisi economica. La norma che lo incrimina, infatti, in base ad una corretta lettura dell’art. 8 della legge delega in materia di riassetto delle fattispecie sanzionatorie (l. 11 marzo 2014 n. 23) e con particolare riguardo a quelle penali, dovrebbe esserne invece espunta per “eccesso di delega” (art. 76 Cost.).     Non solo, ma la norma si pone anche in contrasto con l’art. 3 Cost. in riferimento alla fattispecie di dichiarazione infedele (art. 4 d. lgs. n. 74 del 2000), il cui attuale testo sancisce l’irrilevanza penale delle dichiarazioni nelle quali il contribuente abbia violato i criteri di competenza degli elementi attivi o quelli di deducibilità degli elementi passivi: e allora perché invece continuare a punire il mero omesso versamento iva?

    La seconda, un po’ più complicata da impostare, riguarda invece la attuale persistenza della rilevanza penale come peculato (secondo un indirizzo della Cassazione più volte riaffermato) degli omessi versamenti della imposta di soggiorno posti in essere prima dell’intervento di depenalizzazione della fattispecie (peraltro di creazione giurisprudenziale) intervenuto con l’art. 180, comma 3 D.L. n. 34 del 2020. Qui – come vedremo – sembra palese la violazione dell’art. 3 Cost.    Ipotizzando, infatti, che sia corretta la soluzione in base alla quale i fatti pregressi continuano ad essere puniti come peculato, senso nel quale sembra decisamente orientarsi il c.d. “diritto vivente” (che notoriamente la Consulta prende in considerazione per decidere le questioni di legittimità), risulta davvero irragionevole che l’omesso versamento di una imposta comunale, anche di pochi euro, sia assoggettato ad una pena che va da quattro a dieci anni e sei mesi, mentre l’omesso versamento dell’IVA o delle ritenute d’acconto sia punito con la assai più lieve pena da sei mesi a due anni e solo se si scavalcano elevate soglie di punibilità (150.000 euro per l’omesso versamento di ritenute, 250.000 euro per l’omesso versamento IVA)?


   La prima questione -
   La prima questione muove dal rilievo che, in base all’art. 8 della legge delega n. 23 del 2014 il legislatore delegato era chiamato ad elevare a reato i soli comportamenti “fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilità”. Ebbene le indicazioni della delega sono tassative, chiare ed ineludibili. Il Parlamento ha imposto dunque di dare rilievo a certe connotazioni della condotta non al fine di graduare l’entità della sanzione, ma, precisamente, proprio ai fini della “configurazione del reato”.
   Ora è assolutamente incontrovertibile che la condotta tipica di omesso versamento dell’IVA non risponde a nessuna di quelle caratterizzazioni che la delega imponeva in via esclusiva di considerare. Anzi, nella teoria del reato, la presentazione di una dichiarazione assolutamente fedele costituisce – come è noto – un presupposto della condotta. E la condotta omissiva, per definizione, non ha nulla di fraudolento, né di simulato, né di falso.
   Ma la norma in questione sembra poi configurare una irragionevole disparità di trattamento rispetto a quello riservato dallo stesso legislatore alla ipotesi di dichiarazione infedele. In base all’attuale testo dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, comma 1-bis , infatti, ai fini della sussistenza del reato “non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”. In sostanza, il contribuente che presenta una dichiarazione infedele che – non dimentichiamolo – riguarda anche l’IVA oltre alle imposte dirette, e che ovviamente omette di conseguenza il versamento di notevoli importi fiscalmente dovuti, non è punibile ancorché abbia violato regole fiscalmente, ma non penalmente, rilevanti. Ebbene: come giustificare la punizione di chi abbia invece presentato una dichiarazione IVA assolutamente fedele ed abbia meramente omesso il versamento di quanto dovuto, né più né meno coma fa chi presenta una dichiarazione IVA infedele, ma a seguito di violazione di regole fiscali di determinazione del debito?
 Si potrebbe conseguentemente proporre una questione di costituzionalità non solo invocando il contrasto con l’art. 76 Cost., ma anche il contrasto con l’art. 3 Cost.

    La seconda questione -
  La seconda questione è relativamente un po’ più complessa. Essa muove dalla costatazione della presenza nel sistema di una norma, creata, consolidata e perpetuata dalla giurisprudenza di legittimità, in base alla quale l’omesso versamento della imposta di soggiorno da parte del gestore della struttura ricettiva integrava gli estremi del delitto di peculato ed ancora lo integra, per i fatti “pregressi”, a dispetto della trasformazione del fatto in illecito amministrativo in base all’art. 180, comma 3 d.l. n. 34 del 2020 (il c.d. “decreto rilancio”). Insomma, i fatti anteriormente commessi continuerebbero a ricadere nella previsione dell’art. 314 c.p., non essendosi verificato un fenomeno di abolitio criminis (per una panoramica della questione con citazioni di dottrina e giurisprudenza si possono consultare: G. FLORA, La nuova disciplina dell’imposta di soggiorno: peculato addio anche per i fatti pregressi, Rass. Trib. N. 2/ 2021, p. 291 segg. e, da ultimo, G. AMARELLI, “Limitatori della penalità”: il caso del peculato dell’albergatore tra depenalizzazione legislativa e reviviscenza giurisprudenziale, Arch. Pen., n. 2 /2021). La nuova norma non avrebbe, insomma, inciso sugli elementi strutturali della fattispecie che, muovendo dalla natura di “agente contabile” dell’albergatore e approfittando della mancata emanazione del regolamento di attuazione della disciplina del tributo in questione anteriormente vigente, la giurisprudenza riteneva sussumibile sotto lo schema tipico del peculato. Certo riesce difficile ritenere anche minimamente plausibile una soluzione del genere, a fronte di una inequivoca voluntas legis di depenalizzazione, di una modifica del ruolo del gestore (non più qualificabile come “agente contabile”) con conseguente venir meno della qualifica di “denaro altrui” della somma eventualmente riscossa, essendo il gestore destinatario di una obbligazione propria di pagamento del tributo. Orientamento ostinatamente errato, davvero incomprensibile. Ma non è questo il punto che intendo affrontare.
 Constatata la sussistenza di questa “norma giurisprudenziale” nel sistema, se ne può eccepire l’incostituzionalità per contrasto con l’art. 3 Cost. ragionando nel seguente modo.
  E’ palesemente irragionevole che un fatto (tra l’altro oggi sanzionato solo in via amministrativa) che concerne l’omesso versamento anche di pochi euro di una imposta locale sia punito (continui ad essere punito) con le severissime pene del peculato (da quattro anni a dieci anni e sei mesi), mentre gli omessi versamenti di imposte ben più rilevanti come l’IVA (tra l’altro di interesse euro unitario) o le imposte dirette siano puniti con le ben più modeste pene contemplate dagli artt. 10-bis e 10-ter d. lgs. n.74 del 2000 (da sei mesi a due anni) e solo allo scavalcamento di rilevantissime soglie di punibilità (centocinquantamila euro per le ritenute d’acconto e ben duecentocinquantamila euro per l’IVA). Né l’eventuale applicabilità dell’attenuante contemplata dall’art. 322-bis, comma 1 c.p. (fatto di particolare tenuità) che comporterebbe una modesta riduzione fino ad un terzo, sposterebbe i termini della questione. Qui la discrezionalità legislativa esce fuori dai confini della ragionevolezza (e della decenza). Tanto più che è nota la sempre più accresciuta sensibilità della Corte costituzionale riguardo al principio di proporzionalità dei livelli edittali delle pene: come testimoniano i volumi dello stesso Francesco Viganò, Giudice della Corte (La proporzionalità della pena, Torino, Giappichelli ed. 2021) e di Nicola Recchia, componente dell’Osservatorio Corte Costituzionale UCPI (Il principio di proporzionalità nel diritto penale, Torino, Giappichelli ed., 2020); nonché una sentenza, emessa già nel 2016, della stessa Corte Costituzionale (n. 236 del 10 Novembre 2016).
  Il tema è stato poi ampiamente trattato nel primo Seminario “Federico Baffi” organizzato dall’Osservatorio Corte Costituzionale al quale è intervenuto, sia pure e ovviamente “a titolo personale”, lo stesso Prof. Francesco Viganò.
 I tempi sembrano dunque particolarmente propizi per sollevare eccezioni di costituzionalità di questo tenore, quali quella che mi sono permesso di proporre.
  Il quesito dovrebbe essere impostato chiedendo di sollevare questione di costituzionalità della norma sul peculato nella parte in cui ritiene che continuino a rientrarvi anche i fatti di omesso versamento dell’imposta di soggiorno commessi anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 180, comma 3 d.l. n. 34/2020 convertito (senza modificazioni sul punto) nella l. 17 luglio 2020, n. 77.

Giovanni Maria Flora



(*) Giovanni Maria Flora:
Professore Ordinario di Diritto Penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Firenze fino al 31 ottobre 2018, Avvocato iscritto all’Albo degli Avvocati dell’Ordine di Firenze, Cassazionista dal 1988. Fa parte del panel dei revisori della Casa Editrice Jovene, della Rivista Italiana di diritto e procedura penale, di Diritto Penale e processo, di Giurisprudenza Italiana.
E’ stato componente della Giunta e vice Presidente dell'Unione delle Camere Penali Italiane e ha rivestito in passato il ruolo di Presidente della Camera Penale di Firenze.
E’ membro del Comitato scientifico della rivista “Archivio Penale”, della rivista “Diritto di difesa”, Componente della Direzione della “Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia” nonché membro della Direzione della Rivista Rassegna Tributaria. Docente del modulo penalistico del I anno della Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università di Firenze, nonché titolare del modulo di Diritto Penale tributario presso il Master Berliri di Specializzazione presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna; docente del Corso di perfezionamento post-laurea in Diritto Penale Tributario presso l'Università degli Studi di Firenze, docente al Corso di Alta Formazione dell'Avvocato Penalista organizzata da UCPI, docente al Master breve di Diritto Penale Tributario annualmente organizzato a Firenze da Avvocatura Indipendente; docente della Scuola Allievi Marescialli Carabinieri; attualmente Presidente dell'OdV della società GILBARCO.
E’ autore di numerose pubblicazioni (anche monografiche), sia di parte generale che di parte speciale.








09 novembre 2021

❌NOVITÀ❌ Il decreto legge sulla presunzione di innocenza bollinato




Pubblichiamo il decreto legge sulla presunzione di innocenza bollinato.

Scarica il decreto al link

Intercettazioni e tempo dell'iscrizione del procedimento: se c'è il vincolo della continuazione non occorre la comunanza del disegno criminoso tra i correi



La Quinta Sezione penale ha affermato che, secondo la disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d. l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla l. 25 giugno 2020 n.70, i risultati delle intercettazioni telefoniche autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione, rilevante ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen., senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi.
Scarica la sentenza n. 37697 ud. 29/09/2021 - deposito del 18/10/2021 al link.

08 novembre 2021

❗IMPORTANTE ❗Divieto di avvicinamento alla persona offesa: depositata la sentenza n. 39005/2021 delle Sezioni Unite


È stata depositata il 28 ottobre 2021 la sentenza n. 39005 delle Sezioni Unite (al link) sul divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Si tratta di un argomento del quale, in questo blog, ci eravamo occupati a più riprese con i seguenti contributi:

Avevamo anticipato che le soluzioni erano flessibili, come risulta dal principio di diritto affermato nella sentenza.

Ad avviso delle Sezioni Unite, infatti, due sono le alternative che si presentano al giudice della cautela:

1. "il giudice che ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell'obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p., comma 1) può limitarsi ad indicare tale distanza.

2. Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente".

Si legge in sentenza:

<<La conclusione delle Sezioni Unite di questa Corte è, allora, nel senso che, sulla scorta della lettura dell'art. 13 Cost., "le libertà" dell'art. 272 c.p.p., non vanno intese quali riferite alla sola libertà in termini "fisici", interpretazione che del resto restringerebbe le misure coercitive alle sole due più gravi, ma alla libertà personale nella più larga accezione del termine in cui rientra anche la libertà di locomozione.

Pertanto, non vi è ragione di dubitare della piena conformità della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa, alla pari delle altre misure diverse dagli arresti domiciliari e dalla custodia cautelare in carcere, ai principi fondamentali. Sono situazioni che trovano disciplina nell'art. 13 Cost., per cui si è in presenza di libertà che, nella cornice della rigida disciplina legale, possono essere limitate nel rispetto di una esigenza costituzionale di proporzione e gradualità che deve trovare riscontro nella "scelta" fatta con il provvedimento del giudice e nella sua motivazione. 

...

Per ragioni di interpretazione letterale e logico-sistematica la prescrizione del divieto di avvicinamento ai "luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa" non può prescindere dalla chiara indicazione di quali siano tali luoghi. La individuazione di tali spazi serve a garantire che la persona offesa sia libera nei suoi contesti quotidiani. In questo caso, è del tutto irrilevante che la persona offesa sia presente o meno: il divieto vale anche se all'indagato è noto che il soggetto protetto si trovi in tutt'altro posto; semplicemente, sia per la massima garanzia della vittima che per la facilità ed efficacia dei controlli, l'indagato deve sempre e comunque tenersi a distanza da tali luoghi che potranno anche essere indicati in forma indiretta, purché si raggiunga la finalità di dare certezza all'indagato sulla estensione del divieto.

La prescrizione del divieto di avvicinamento alla persona offesa impone all'indagato di non cercare il contatto con la stessa con la conseguenza che, persino in ipotesi d'incontro casuale, il soggetto, acquisita la consapevolezza della presenza della persona offesa, è tenuto ad allontanarsi, ripristinando la distanza determinata a lui imposta>>.

Torneremo presto in argomento con altri contributi.

La sentenza n. 39005/2021 al link


05 novembre 2021

Lancio di cose pericolose e manifestazioni sportive. Sentenza n. 37934 ud. 10/09/2020 - deposito del 22/10/2021




La Terza sezione penale ha affermato che, alla luce della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 2-bis del d.l. 20 agosto 2001, n. 336, convertito dalla l. 19 ottobre 2001, n. 377, le “manifestazioni sportive” tutelate dalla legge 13 dicembre 1989, n. 401 si identificano nelle competizioni che si svolgono nell’ambito delle attività specificamente “previste” dalle federazioni sportive e dalle organizzazioni ed enti riconosciuti dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), ovverossia inserite in un programma, definito nelle sue coordinate spazio-temporali, riferibile ai predetti soggetti, pur se non organizzate e gestite dagli stessi, non essendo pertanto sufficiente che le stesse attengano ad una delle discipline sportive previste in generale da una qualsiasi federazione/ente/associazione. (Fattispecie relativa al reato di lancio di cose pericolose ex art. 6-bis della legge n. 401 cit., commesso in occasione della premiazione di un torneo dilettantistico di calcio a cinque organizzato da pubblici esercenti).

04 novembre 2021

Per le sezioni unite lo stalking seguito da omicidio integra un reato complesso: depositata la sentenza 38402 /2021 delle Sezioni Unite

Avevamo anticipato la questione pendente (al link) e dato l'informazione provvisoria (al link).

È stata ora depositata la sentenza n. 38402 del 26 ottobre 2021, che potete leggere al link


I termini della questione dibattuta erano i seguenti:

Con l'ordinanza (al link) la Quinta Sezione penale ha rimesso alla decisione delle Sezioni Unite il quesito di diritto per la risoluzione del contrasto, delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte, sulla sussistenza di un concorso di reati o di un concorso apparente di norme tra il delitto di omicidio aggravato dall'art. 576, comma 1, n. 5.1, cod. pen., e il.delitto di atti persecutori.
Si legge nell'ordinanza: Invero, la sentenza impugnata, nell'affermare la responsabilità penale dell'Imputata in relazione al delitti di omicidio aggravato e di atti persecutori, ha calcolato l'aumento di pena per il concorso di reati, richiamando espressamente l'orientamento giurisprudenziale che ne esclude Il rapporto di specialità.
3. Un primo orientamento, espresso da Sez. 1, n. 20786 del 12/04/2019, P., Rv. 275481, ed espressamente richiamato dalla sentenza impugnata, ha affermato Il principio secondo cui Il delitto di atti persecutori non è assorbito da quello di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen., non sussistendo una relazlone di specialità tra tali fattispecie di reato.
Un secondo orientamento, In consapevole contrasto con quello appena richiamato, ha invece affermato il principio secondo cui sussiste concorso apparente di norme tra il delitto di atti persecutori e quello di omicidio (nella specie, tentato) aggravato ex art. 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen., che deve considerarsi quale reato complesso ai sensi dell'art. 84, comma primo, cod. pen., assorbendo Integralmente il dfsvatore della fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen. ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente ai danni della medesima persona offesa (Sez. 3, n. 30931 del 13/10/2020, G., Rv. 280101).
Tanto premesso, il primo orientamento, che esclude un concorso apparente di norme, e, in particolare, un reato complesso, è fondato su un'interpretazione che valorizza il dato letterale dell'art. 576, comma 1, n. 5.1, cod. pen., calibrando l'offenslvltà dell'evento aggravatore sulla componente soggettiva, sull'autore del delitto il quale, "non importa quando, ha oppresso la vittima con atti persecutori"
Un secondo orientamento, in consapevole contrasto con quello appena richiamato, ha invece affermato il principio secondo cui sussiste concorso apparente di norme tra il delitto di atti persecutori e quello di omicidio (nella specie, tentato) aggravato ex art. 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen., che deve considerarsi quale reato complesso ai sensi dell'art. 84, comma primo, cod. pen., assorbendo Integralmente il dfsvatore della fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen. ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente ai danni della medesima persona offesa (Sez. 3, n. 30931 del 13/10/2020, G., Rv. 280101) 
a parere del Collegio remittente, non appare assorbente il rilievo, formulato da Sez. 1, n. 20786 del 12/04/2019, P., Rv. 275481, che la giurisprudenza di legittimità abbia sostanzialmente ritenuto scontata la soluzione del concorso di reati, allorquando ha affermato Il principio secondo cui è procedibile d'ufficio al sensi dell'art. 612 bis, ultimo comma, cod. pen., il reato di atti persecutori connesso con il delitto di lesioni, anche nel caso In cui la procedibilità d'ufficio di quest'ultimo sia determinata dall'aggravante di cui all'art. 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen. per essere stato commesso il fatto da parte dell'autore del reato di atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa (Sez. 5, n. 11409 del 08/10/2015, dep. 2016, C., Rv. 266341).
Analogamente va rilevato che la clausola di riserva prevista dall'art. 612-b/s cod. pen. ("salvo che il fatto non costituisca più grave reato") non appare idonea ad orientare l'Interprete, né In positivo, né in negativo, in quanto essa concerne l'Ipotesi In cui un unico fatto sia suscettibile di qualificazione giuridica multipla.
Nel caso in esame, al contrario, va preliminarmente chiarito che non viene in rilievo un unico fatto, bensì due fatti-reato, autonomamente suscettibili di integrare due distinte fattispecie incrimlnatricl: in altri termini, trattandosi di una pluralità di fatti, non sembra venire In rilievo, direttamente, l'art. 15 cod. pen., che disciplina Il fenomeno della quallflcazfone normativa multipla di unIdentico fatto, regolandolo mediante Il principio di specialità; al contrario, la norma che viene in rilievo per la risoluzione del conflitto di norme è l'art. 84 cod. pen., che, sia pur' come concretizzazione del principio del ne bis In Idem sostanziale e specificazione del principio di speclalità sancito a llvello generale dall'art. 15 cod. pen., disciplina il reato complesso nell'ambito del Capo III sul "Concorso di reati"
La rilevanza per la decisione del ricorso, e la ravvisabilità di un contrasto giurisprudenziale, induce dunque a rimettere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la seguente questione"Se, in caso di concorso tra I fatti-reato di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576, comma primo, n. 5,1, cod. pen., sussista un concorso di reati, ai sensi dell'art. 81 c.p., o un reato complesso, ai sensi dell'art. 84, comma 1, cod. pen., che assorba integralmente il disvalore dellafattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen. ove reaflzzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste In essere dall'agente ai danni della medesima persona offesa."

Alla questione secondo l'informazione provvisoria n. 13/2021, il massimo consesso di legittimità ha fornito la seguente soluzione

"La fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen. punito con la pena edittale dell'ergastolo, integra un reato complesso, ai sensi dell'art. 84, comma primo, cod. pen., in ragione della unitarietà del fatto".

È stata ora depositata la sentenza n. 38402 del 26 ottobre 2021, che potete leggere al link

03 novembre 2021

❌NOVITÀ❌ Processo Telematico: dal 3 dicembre anche nei giudizi innanzi alla Corte Costituzionale


Pubblicate, nella Gazzetta ufficiale del 3 novembre 2021, delle nuove Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale al link)che entreranno in vigore il prossimo 3 dicembre e che si applicheranno ai giudizi incardinati da quella data.

La piattaforma e-Cost (raggiungibile, a partire dal 3 dicembre, all'indirizzo https://ecost.cortecostituzionale.it.

consentirà ai protagonisti dei giudizi di costituzionalità - avvocati, Avvocatura dello Stato, giudici, Regioni e tutti i soggetti che a qualunque titolo possono promuovere giudizi, costituirsi o intervenire davanti alla Corte costituzionale - di depositare e scambiare atti e documenti in modalità telematica.

Insieme alle Norme integrative, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale anche il decreto del Presidente della Corte costituzionale del 28 ottobre 2021, con le regole tecniche di funzionamento del processo costituzionale telematico.

Nei prossimi giorniuna Guida all’utilizzo della nuova piattaforma sarà consultabile sul sito web della Corte.

Al link il comunicato del presidente della Corte costituzionale, Giancarlo Coraggio (link)



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