La riforma del 24 dicembre ha
introdotto assai formali requisiti di ammissibilità dell’appello trasmesso a
mezzo pec, che finiranno per indurre al vecchio deposito cartaceo. Ma
soprattutto non pare che a fronte della declaratoria di inammissibilità sia ammessa
impugnazione. Speriamo di sbagliarci: ma la differenza tra il comma 6 septies
dell’art. 24 della novella l’art. 591 c.p.p., pare palese.
Questa filosofia ormai ispira da
decenni la giurisprudenza di legittimità e ormai anche il legislatore (si pensi
al riguardo alla recente riforma Orlando): limitare il diritto di accesso alle
impugnazioni ci salverà.
Del resto nel 2015 in sede di assemblea
generale della Suprema Corte di Cassazione si additò il male dell’accesso
indiscriminato alle giurisdizioni superiori, proponendo riforme dell’art. 111
Cost., onde perimetrare la ricorribilità in Cassazione.
Sarà offuscata la nostra vista,
ma a fronte di un numero di processi pendenti in primo grado ben superiore al
milione, a fronte di una giurisprudenza che generosamente consente di formulare
i capi di imputazione quali passpartout in cui tutto sta nell’agone del
dibattimento, a fronte di una sostanziale abrogazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza, davanti ad una legislazione inestricabile
e di una giurisprudenza contraddittoria, addurre a male della giustizia che taluno
richieda un giudizio di seconda istanza e alcune decine di migliaia di parti
ricorrano in cassazione, restringere gli spazi di accesso alla giustizia è un
male da scongiurare.