Nei giorni appena trascorsi abbiamo assistito all’infittirsi della normativa emergenziale, destinata a rimodulare il processo penale. Si tratta di una normativa assai mutevole, talvolta destinata a riformare perfino disposizioni dettate appena qualche giorno prima.
Tuttavia credo che buona parte dell’impianto delle riforme del Ministro Bonafede sopravviverà all’emergenza Covid, perché esprime, o almeno intercetta, un sentire profondamente radicato in certe culture giuridiche.
All’alba dei primi vagiti di riforme Covid, un collega trapanese espresse tutta le sue perplessità rispetto al processo da remoto, rappresentando l’idea del processo come contestuale e simultanea presenza di tutti gli attori processuali nello stesso luogo. Credo invece che l’emergenza sanitaria abbia sdoganato l’idea che il processo penale possa fare sempre più a meno degli interessati, anzi le ultime riforme palesano l’idea di voler limitare lo stesso accesso alla giustizia.
In realtà negli anni passati si era già assistito a riforme ispirate a simili canoni, si pensi alla riforma dell’art. 309 c.p.p., che previde per l’indagato il diritto di partecipare all’udienza soltanto a seguito di esplicita richiesta formulata con l’istanza di riesame. Varie furono le giustificazioni di ordine pratico addotte e vi furono anche richiami di tipo garantista, in particolare con riferimento alla previgente disciplina, ex art. 127 c.p.p., inerente l’indagato detenuto fuori dalla circoscrizione del Giudice. Tuttavia quelle spiegazioni oggi non reggono certamente a fronte della nuova disciplina dell’appello. Qui infatti l’imputato, anche se è stata formulata istanza di trattazione orale, partecipa soltanto ove lo abbia chiesto entro termini perentori e con le forme specifiche previste dalla legislazione emergenziale. L’imputato non ha più ex se un diritto a partecipare all’ udienza che lo riguarda e la proposizione della richiesta non è agevolata, consentendola con ogni mezzo. Delle altre parti private non pare essere ammessa la partecipazione.
Il pubblico per ovvie esigenze sanitarie è nel frattempo scomparso e chissà se mai potrà tornare, mentre i detenuti sono stati, forse definitivamente, “remotizzati”.
Su altro fronte, la più volte invocata possibilità di depositare da remoto gli atti si sta trasformando in una limitazione al diritto di accesso del privato. Le denunce e le querele non possono più essere rimesse attraverso un accesso del cittadino in Procura, è infatti previsto il deposito esclusivo attraverso apposito portale. Idem per l’opposizione alla richiesta di archiviazione.
Ora, la possibilità di depositare da remoto un atto del processo è senz’altro apprezzabile e la Camera penale di Trapani ne ha fatto un suo tema costante, ma prevedere mezzi esclusivi significa di fatto precludere il deposito ai singoli cittadini. Peraltro la norma è per certi versi incomprensibile. Perché il PM potrebbe apprendere una notizia di reato dalla lettura di un giornale e un singolo cittadino non potrebbe trasmettergliene una per raccomandata?
Ho come la sensazione che il nuovo orizzonte processuale, più che da tutti insieme nello stesso luogo e nello stesso tempo, per riprendere l’immagine impiegata dal collega trapanese, sia ispirato all’extra omnes di ecclesiastica memoria.