È fuori discussione che dell’obbligo di rimozione degli ostacoli per l’effettivo godimento da parte delle donne dei loro diritti fondamentali si dovesse fare carico il legislatore penale domestico.
E tanto, anche, alla luce delle compulsioni provenienti dal diritto sovranazionale (Convenzione delle Nazioni Unite, Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma per l’Azione, la direttiva 2012/29/UE, relativa alle norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e, soprattutto, la Convenzione di Istanbul – sottoscritta l’11/5/2011 – che ha dato corpo al D.L. 14/8/2013 n°93).
È a tutti noto come l’appena citato decreto legislativo è stato convertito in legge (15/10/2013 n°119), con modificazioni.
È scattata, quindi, in sede processuale una serie di obblighi di comunicazione in linea con la direttiva europea sulla protezione delle vittime di reato (ora la persona offesa dovrà essere informata della facoltà di nomina di un difensore e di tutto ciò che attiene alla applicazione o modifica di misure cautelari o coercitive nei confronti dell’indagato o imputato di reati di violenza alla persona; si accelerano anche le indagini preliminari che non potranno mai superare la durata di un anno per i reati di stalking e maltrattamenti in famiglia).
Ed è proprio con riferimento ai predetti obblighi di comunicazione nel campo dell’applicazione o modifica di misure cautelari che si vogliono svolgere brevi considerazioni, avendo riguardo specifico al delitto di “atti persecutori”, ex art. 612 bis C.P. –
In particolare l’art. 299 (la cui rubrica recita “Revoca o sostituzione delle misure”), al comma 3°, C.P.P., così espressamente dispone “La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure…applicate nei procedimenti di cui al comma 2 bis del presente articolo … deve essere contestualmente NOTIFICATA, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, SALVO CHE in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio”.
Va evidenziato come identica formulazione normativa si rinviene nel comma 4 bis, della medesima disposizione di legge (richiesta di revoca o sostituzione delle misure DOPO la chiusura delle indagini preliminari).
Ebbene sul se la citata notifica alla persona offesa debba essere effettuata anche nel caso in cui quest’ultima non abbia nominato un difensore né, tantomeno, abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio, si è già determinato un contrasto giurisprudenziale che, a modesto avviso di chi scrive, appare davvero incomprensibile, dato il chiaro, inequivoco tenore letterale della norma (Orientamento affermativo: Sez. 6, n.8691 del 14/11/2017 (dep. 2018), A., Rv. 272216-01; Sez. 2, n.19704 del 01/04/2016, Machì, Rv. 267295-01. Orientamento negativo: Sez.1, n.5552 del 17/01/2020, Gangemi, Rv. 278483-01, Sez.2, n.12325 del 03/02/2016, Spada, Rv. 2664335-01).
L’orientamento affermativo puntualizza, intanto, che si tratta di un rilevante riconoscimento operato dal legislatore al diritto della vittima a partecipare al procedimento incidentale sulle modifiche alla cautela e ad apportare tutti gli elementi a sua conoscenza utili per la decisione.
Quanto alla locuzione “salvo che non” contenuta nella norma si sostiene che essa non esprima una condizione per l’esercizio del diritto di partecipazione, bensì che tale locuzione prescrive solo la prevalenza della notifica nel luogo eventualmente eletto, sulla notifica diretta e tale conclusione viene adottata, nonostante tale indirizzo dia atto della circostanza che i lavori parlamentari dicano il contrario (“Ad onta delle contrarie indicazioni reperibili nei lavori parlamentari”).
La norma, quindi, prevedrebbe solo distinte modalità di notifica dell’istanza e, conseguentemente, dall’omessa indicazione del domicilio o della mancata nomina del difensore non si potrebbe ritenere la decadenza della persona offesa dal diritto a ricevere la notifica dell’istanza e prendere parte alla vicenda cautelare.
È appena il caso di aggiungere che l’indirizzo in esame, pur non ritenendole fondate, qualifica come COMPRENSIBILI le preoccupazioni manifestate da parte della dottrina circa l’eccessiva onerosità dell’incombente della notificazione della istanza cautelare rispetto ai diritti dell’imputato (o indagato), in relazione alla necessità di reperire il domicilio delle persona offesa che non abbia eletto o dichiarato domicilio o nominato un difensore di fiducia (il legislatore non può non preoccuparsi di bilanciare i contrapposti interessi della vittima ad essere informata, assistita e protetta e dell’indagato o imputato a non vedere compromessa la propria aspirazione alla libertà).
L’indirizzo negativo muove, intanto, dalla questione – di preliminare, fondamentale e risolutiva importanza – relativa alla interpretazione della norma, sostenendo che “l’inciso – salvo che – è di assoluta chiarezza e non può essere inteso, a meno di non stravolgere la lingua italiana, nel senso che esso serve a prevedere distinte modalità di notifica dell’istanza”.
Aggiunge tale indirizzo: “Del resto, in ordine al significato e al valore da attribuire alla prima parte dell’art. 12 preleggi (“nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”) è concorde non solo tutta la dottrina, ma anche la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “quando la lettera della legge è esplicita e quando la intenzione del legislatore è fatta palese e inequivocabile attraverso i lavori parlamentari durante i quali il testo della legge sia stato ampiamente discusso, ogni diversa interpretazione, se può servire a rilevare inconvenienti o lacune, non vale certamente ad immutare il senso della legge stessa in guisa da farle dire cosa profondamente diversa da quanto ha voluto dettare, sovrapponendosi alla volontà del costituente e del legislatore ordinario, con grave pregiudizio della certezza del diritto e delle prerogative parlamentari”.
Ma il ripetuto indirizzo negativo fa leva anche su ragioni di ordine logico e sistematico che conducono alla conclusione della non necessità della notifica alla persona offesa. Si evidenzia infatti che la peculiarità della norma in esame è che l’onere dell’avviso condiziona la procedibilità delle istanze de libertate e quindi – in concreto – l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’indagato o dell’imputato e l’interesse di costoro a non vedere ingiustificatamente negato o sospeso l’esame delle loro richieste in una materia così delicata quale quella della libertà personale (pensiamo al caso in cui la notifica alla persona offesa venga effettuata a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, strumento di notifica ritenuto legittimo, rituale da Cass. Pen., Sez, 5, 8/11/2020 n.4485; ebbene la difficoltà di materiale consegna al destinatario della missiva e un ritardo – più che ricorrente – nella ricezione della ricevuta di ritorno, significherebbero “tempi morti” a tutto pregiudizio dell’interesse del richiedente la notifica ad un esame più che sollecito dell’istanza di revoca o sostituzione della misura). Appare, poi, sotto altro profilo, del tutto evidente che la nomina del difensore o l’elezione del domicilio da parte della persona offesa, dimostri anche l’interesse di quest’ultima a conoscere la vicenda processuale di colui che ha esercitato e può continuare a realizzare violenza nei suoi confronti; al contempo mette l’indagato o imputato nelle condizioni di effettuare celermente le notifiche necessarie a consentire la definizione del procedimento incidentale de libertate.
Più ragioni, quindi, militano per la preferibilità dell’indirizzo in discussione.
Da ultimo pare opportuno affrontare sinteticamente una correlata questione e cioè in quale accezione debba intendersi la “notifica”, richiesta dalla norma.
Essa va interpretata secondo le indicazioni e prescrizioni ricavabili dagli artt. 148 e segg. C.P.P. (e, quindi, una notifica in senso tecnico-giuridico) o può essere ritenuta sufficiente, allo scopo, una semplice raccomandata con ricevuta di ritorno? Nel presente atto si è già chiarito come il giudice della legittimità abbia ritenuto rituale tale mezzo di comunicazione. Ci si chiede tuttavia come farà il giudice che deve pronunciarsi sull’istanza ad avere certezza sul fatto che la raccomandata inviata contenesse proprio la copia dell’istanza e non, invece, una missiva di altro tenore, per mero errore inserita nella busta (problema che certamente non si pone per le notifiche effettuate secondo i canoni prescritti dagli artt. 148 e segg. C.P.P.)? Occorrerà, allora, sentire la persona offesa sulla tipologia, natura dell’atto ricevuto oppure sarà necessario incaricare la P.G. di acquisire e trasmettere copia di tale documento al decidente?
Tali interrogativi suggerirebbero di intendere la notifica, così come disciplinata e regolamentata dal codice di rito. E ciò, ancora una volta, per essere ossequiosi della lettera della legge!
(*) Avvocato del Foro di Trapani