18 gennaio 2021

Difendersi al buio. Secondo un "singolare" arresto della Corte di Cassazione non vi sarebbe lesione dei diritti di difesa nel diniego al rilascio della copia degli atti

 


Con la sentenza che si annota (Cass. pen., Sez. 3^, n. 31196 del 16.9.2020, Pres. Di Nicola, Rel. Corbetta, Coccarielli) la Corte regolatrice qualifica inammissibile un’impugnazione in cui il ricorrente lamentava che, sia a titolo personale che come delegato del difensore, il Tribunale del riesame di Bologna gli aveva negato copia degli atti su cui si fondava il sequestro probatorio di alcuni documenti.

La Corte di Cassazione fonda la declaratoria di inammissibilità sulla mancata indicazione ad opera del ricorrente della lesione patita a cagione del diniego opposto al rilascio delle copie.

La Corte ritiene però “in ogni caso” opportuno fare delle precisazioni in tema di diritto al rilascio di copie in sede di incidente cautelare.

Al riguardo i Giudici rammentano che sin dal 1995 le SS.UU. (n.4/1995), <<mai sconfessate sul punto, hanno affermato che nelle procedure ex artt. 309 e 310 c.p.p. NON sussiste un diritto della parte interessata ad ottenere de plano copia degli atti di indagine>>. Richiamando ulteriormente il massimo consesso di legittimità, la sentenza che si annota ha rammentato che i diritti di difesa sono adeguatamente tutelati dalla possibilità di consultare gli atti, mentre invece un diritto vero e proprio ad estrarre copia degli incartamenti processuali lederebbe lo stesso interesse dell’indagato ad una pronta pronuncia del Tribunale cautelare. La Corte regolatrice ha infine precisato che i principi espressi dalle SS.UU., pur affermati in tema di misure cautelari personali, sono ben estendibili, per identità di ratio, alle misure cautelari reali.

Orbene, può osservarsi che effettivamente gli argomenti prima riportati sono stati più volte ribaditi anche dalle sezioni semplici (cfr. Sez. III n. 342 del 07.11.2006; Sez. II n. 36191 del 07.07.2017) e tuttavia ciò stupisce non poco. Infatti ad agosto del 1995, appena pochi mesi dopo la citata pronuncia delle Sezioni Unite, il legislatore emendò gli artt. 309 e 310 del codice di procedura, riconoscendo esplicitamente il diritto di copia al difensore. Di talché proprio per l’identità di ratio oggi propugnata dalla sentenza annotata tale principio dovrebbe valere anche ove l’incidente cautelare riguardi misure cautelari reali (cfr. in tal senso Sez. I n.23601 del 29.05.2008).

Tuttavia sembra che la giurisprudenza di legittimità abbia sostanzialmente sminuito, se non addirittura posto nel nulla, la portata della novella. Infatti i Giudici di legittimità hanno precisato che l’intervento normativo <<ha di certo risolto legislativamente il contrasto giurisprudenziale sul quale sono intervenute le Sezioni Unite … però l’esercizio di tale diritto deve necessariamente coniugarsi con la rapidità e la snellezza della procedura del riesame>> (cfr. Sez. III n. 342 del 07.11.2006). Tale armonizzazione, <<quando le operazioni di rilascio delle copie, anche per la mole ponderosa degli atti depositati, possano creare serie ed oggettive difficoltà organizzative nell'ambito dell'ufficio>> , si risolve nel venir meno del diritto di copia <<senza che ciò configuri alcuna lesione del diritto di difesa, sempre che questa sia posta nelle condizioni di poter prendere cognizione diretta degli atti depositati e di poter interloquire su tutta la documentazione acquisita dal giudice>>. Ancora più chiaramente, nell’occasione si è precisato che <<solo la violazione del principio del contraddittorio può determinare nullità ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 181 c.p.p., ma una tale violazione non discende dalla possibilità per il difensore di estrarre o meno copia degli atti, bensì dall'essere stato, il predetto, posto nelle condizioni di poterli conoscere>> (ibidem).

La giurisprudenza successiva alla pronuncia del 2006 si spinge fino ad ignorare del tutto la riforma (cfr. oltre la sentenza in commento anche Sez. II n. 36191 del 07.07.2017) potendo così riconnettersi direttamente alle citate Sezioni Unite.

Ciò posto, forse val la pena concludere questa breve nota richiamando l’affermazione della Corte Costituzionale, resa in tema di art. 293 c.p.p., materia del tutto affine a quella scrutinata dalla Cassazione nella sentenza che si annota, secondo cui <<il deposito degli atti in cancelleria a disposizione delle parti deve, di regola, comportare necessariamente, insieme al diritto di prenderne visione, la facoltà di estrarne copia. Al contenuto minimo del diritto di difesa, ravvisabile nella conoscenza degli atti depositati mediante la loro visione, deve cioè accompagnarsi automaticamente, salvo che la legge disponga diversamente, la facoltà di estrarne copia, al fine di agevolare le ovvie esigenze del difensore di disporre direttamente e materialmente degli atti per preparare la difesa e utilizzarli nella redazione di richieste, memorie, motivi di impugnazione>> (Corte Costituzionale, 24/06/1997, (ud. 17/06/1997, dep. 24/06/1997, n.192).

Ci sia concessa un’ immagine utopica:

a fronte della esecuzione di una misura cautelare, con cui si comprime un qualche diritto costituzionalmente garantito di presunti innocenti, lo Stato dovrebbe consegnare gli atti all’interessato nello stesso momento di esecuzione della misura e se non è in grado di farlo, neppure su richiesta del diretto interessato, sarebbe più equo annullare per violazione del diritto di difesa il titolo genetico.

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