Pubblichiamo l'ultima circolare della Procura bolognese con cui si forniscono indicazioni sulla normativa transotoria che correda la Riforma (circolare al link)
31 gennaio 2023
La circolare della Procura di Bologna sulla normativa transitoria della Riforma
30 gennaio 2023
Sequestro probatorio a "strascico" e/o esplorativo: il giusto equilibrio nell'ordinanza del GIP di Trapani
Ci eravamo già occupati - al link - della questione annotando la nota sentenza della Corte di Cassazione Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 34265 c.c. del 22.9.20220, dep. 2.12.2020
Riportiamo ora la soluzione di equilibrio tra esigenze contrapposte adottata dal GIP del Tribunale di Trapani, pubblicando l'ordinanza (al link) che decide sull'opposizione ex art. 263 comma 5 c.p.p. (al link).
27 gennaio 2023
Associazione mafiosa tra divieto di analogia, concorso di persone e giurisprudenza della Corte EDU - di Mariangela Miceli (*)
Sommario: Premessa; 1. Il divieto di analogia; 2. Il concorso di persone : "una nuova tipicità" 3. La Corte EDU;4. Decisione delle Sezioni unite Genco; 5. Principio di legalità: concorso esterno in associazione mafiosa e cd. reato di “creazione giurisprudenziale” – esclusione della portata generale dei principi affermati dalla sentenza corte edu 14 aprile 2015, contrada contro italia; 5. Conclusioni.
Premessa:
Il presente elaborato si occuperà di dare una disamina del delitto di associazione esterna di stampo mafioso, partendo dall’analisi del principio di divieto di analogia, al concorso di persone fino ad arrivare all’analisi del delitto in esame da parte della Corte EDU. Principi, questi essenziali, per poter dare una disamina completa della creazione giurisprudenziale del delitto di associazione esterna di stampo mafioso.
Il divieto di analogia
Il precetto penale nella sua funzione di norma comando ha come scopo primario quello di tutelare il diritto del privato alla prevedibilità delle conseguenze penali di una condotta contraria all’ordinamento.
Un procedimento analogico è adeguatamente sviluppato nei suoi requisiti minimi, qualora l’interprete argomenti sia sulle somiglianze che sulle differenze tra classi di casi raffrontate. Pertanto, un giudizio di prevalenza delle somiglianze si concluderà per l’irrilevanza delle differenze e di conseguenza, potrà attribuirsi il medesimo trattamento giuridico alle fattispecie in esame. Così, un giudizio di prevalenza delle differenze ne negherà il medesimo trattamento giuridico delle classi coinvolte (Velluzzi).
Per procedere ad un giudizio di rilevanza è necessario far riferimento alla ratio legis, quale perno dell’analogia giuridica.
In tal senso, il secondo comma, dell’art. 12 disp. pr., rinvia ai “principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. I principi ai quali si fa riferimento sono sia quelli espressi che inespressi e che si inseriscono nel più ampio ambito dei principi di diritto. In particolare, i principi ai quali fa riferimento l’art. 12 sono i principi inespressi, diversamente, questi potrebbero essere applicati direttamente, come qualsiasi disposizione dell’ordinamento. Tali principi, di conseguenza, nell’ottica dell’interpretazione analogica della disposizione operano come strumenti per colmare le lacune eventualmente rilevate dall’interprete. Questi essendo generalissimi e a fattispecie aperte, permettono l’interpretazione analogica, consentendo l’individuazione della ratio.
In tale ottica, il legislatore ha posto dei limiti all’analogia in diritto penale. Tale divieto non è espressamente codificato né dal codice penale né dal codice di procedura penale ma è ricavabile dalla lettura dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale dispone che l’“Applicazione delle leggi penali ed eccezionali. Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.
Una logica giuridica costituzionalmente orientata esige che il divieto di analogia trovi le sua fondamenta nell’art. 25, comma 2, cost., sotto i due duplici principi dell’irretroattività della norma penale e del principio di tassatività dei reati e delle pene.
Diversamente, l’argomento analogico essendo ‘produttivo’ di diritto, in caso di lacune dell’ordinamento, permetterebbe all’interprete di creare norme inespresse che siano, allo stesso tempo, nuove e retroattive.
Quanto fin ora esposto ha consentito di illustrare la regola generale da applicare in tema di analogia in diritto penale. Le disposizioni preliminari al codice civile, dispongono all’art. 14 che le “Leggi penale e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre ai casi ei tempi in esse considerati”.
In ambito giuridico si ritiene che, la disposizione in commento miri a vietare l’analogia in diritto penale e lo specifico utilizzo di norme eccezionali per creare attraverso l’interpretazione analogica di nuove, al fine di colmare le eventuali lacune dell’ordinamento.
L’argomento analogico (o a simili), come ha avuto modo rilevare autorevole dottrina può essere utilizzato sia per motivare una interpretazione estensiva sia una interpretazione analogica. La norma di cui all’art. 14 disp.pr. non fa alcun espresso riferimento al divieto di analogica, posto che, lo stesso ricavabile anche dalla lettera dell’art. 1 del codice penale, il quale prevedendo che “ nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto come reato, né con pene che non siano da essa stabilite” ha sancito il principio di stretta interpretazione in diritto penale (Guastini).
Pertanto, si può ricavare che tutto ciò che non è rinvenibile come reato, sia lecito.
Le norme alle quali l’art. 14 disp. prel. si riferisce sono espressamente le norme eccezionali, mentre esulano dal divieto le cause di giustificazione, le quali – come si vedrà successivamente – essendo norme che fanno capo ai generali principi dell’ordinamento possono essere oggetto di applicazione analogica, fatto salvo i casi tassativamente esclusi dalla legge.
Mentre ricadono all’interno del divieto le norme che prevedono circostanze attenuanti essendo oggetto di una specifica volontà del legislatore di attribuire loro una precisa funzione di politica criminale a ben individuate situazione e solo a quelle.
Secondo l’opinione prevalente la disposizione di cui all’art. 14 disp. prel. vieta di addurre ad altre norme per crearne di nuove, facendo leva sul fondamento della somiglianza tra le fattispecie espresse e quelle non previste. In altre parole, in ossequio al principio di legalità e di tassatività della norma penale, non solo non è possibile applicare l’argomento analogico alle norme generali - se non in bonam partem e nei limiti che saranno successivamente specificati - ma non è applicabile anche a tutte quelle norma caratterizzate dall’eccezionalità nella loro formulazione.
Tale divieto appare in linea con quanto disposto dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, all’interno del quale non solo è possibile rintracciare il principio di riserva di legge ma è anche possibile ricavare come corollario, il principio di prevedibilità del fatto di reato.
Tale divieto trova un’ulteriore ratio, all’interno del secondo comma, dell’art. 12 delle preleggi, il quale se da un permette l’argomento analogico, dall’altro questo può essere sviluppato adeguatamente, soltanto se si argomenta sia intorno alle somiglianze che alle differenze della fattispecie astratta considerata delle classi di casi presi in considerazione.
2. Il concorso di persone : "una nuova tipicità"
In materia di concorso di persone, il codice penale segue un modello unitario indifferenziato che rimette alla causalità concreta, e non allo stereotipo astratto, la selezione dei contributi rilevanti. Il fondamento dell'incriminazione non risiede allora nell'accessorietà dell'apporto periferico rispetto al fatto autoriale completo di base, ma nell'integrazione di una condotta che alimenti, in termini causali e soggettivi, l’autonoma “fattispecie plurisoggettiva eventuale" partorita dall'amplesso tra l'articolo 110 cp e le singole norme di parte speciale. Come necessario in un sistema imperniato sulla legalità formale e sul "tipo restrittivo d'autore", le norme sul concorso di persone assolvono così alla formidabile funzione “estensiva” di incriminare contributi che sarebbero atipici in base alle singole disposizioni sui reati monosoggettivi o necessariamente plurisoggettivi.
I tifosi della "portata penalizzante massima" dell'articolo 110 valorizzano l’esigenza politica di colpire più severamente la rincarata pericolosità insita nella fusione, con effetti moltiplicatori, delle potenzialità criminose dei singoli.
La lettura più forte della portata della "nuova tipicità " concorsuale reputa allora che la "legge concorsuale" incrimini:
a) gli apporti atomisticamente atipici a reati a esecuzione frazionata (o congiunta);
b) i contributi di compartecipazione atipici, anche solo agevolativi, sul versante materiale o morale (per gli apporti ideologici si parla di "atipicità estrema");
c) le condotte atipiche integranti un tentativo di reato (l'articolo 110 è una forma generale di manifestazione del reato che può ibridarsi con l'altra figura universale di cui all'articolo 56);
d) le condotte atipiche relative a delitti colposi, con particolare riguardo all'agevolazione morale o materiale della fattispecie colposa tipica: l'articolo 113 è, infatti, norma non solo di disciplina ma anche incriminatrice, capace di partorire obblighi cautelari secondari e di estendere le condotte integranti reati colposi causalmente orientati (incriminando apporti agevolativi non strettamente necessari), di mera condotta (artt. 438-452), a condotta vincolata (artt. 442-452, comma 2), propri e omissivi (colpendo, in quest'ultima ipotesi, comportamenti posti in essere da soggetti che non siano titolari di posizioni di garanzia);
e) apporti con dolo generico a reato permeato dall'altrui dolo specifico;
f) condotte atipiche di partecipazione colposa a reato doloso e viceversa (in base a una lettura elastica secondo cui la "medesimezza" del reato, ex art. 110, si riferisce al piano oggettivo dell'unicità dell'evento non a quello soggettivo del coefficiente psicologico; vedi, epraltro, sul cocnrso colposo nel reato doloso Cass. IV, 7032/2018);
g) i "concorsi unilaterali", caratterizzati dalla presenza del "dolo concorsuale" o della "colpa di concorso" in capo a un solo concorrente (la suddetta essenza oggettiva dell'unità concorsuale fa sì che la "volontà o consapevolezza di concorrere" non deve animare tutti i concorrenti, essendo sufficiente, oltre che necessaria, la sussistenza del collante psicologico in capo anche a uno solo dei protagonisti);
h) le condotte atipiche di un soggetto che cooperi con altro non colpevole, non imputabile o non punibile (sono, infatti, da computare come concorrenti, anche se non sono sanzionabili come tali, tutti coloro che assumono la paternità in senso oggettivo del fatto plurisoggettivo tipico);
i) le condotte, anche atipiche, di strumentalizzazione dell'azione altrui incolpevole, anche oltre le figure di "autore mediato " tipizzate dalla legge (si pensi ad “autorie mediate" eccentriche rispetto all'articolo 48 cp, in quanto, ad esempio, non caratterizzate dalla produzione di un inganno ma dallo sfruttamento di un errore preesistente in cui, anche nei reati propri, versa l'autore immediato);
l) le condotte atipiche di supporto al reato omissivo altrui (proprio o improprio, in questo secondo caso anche in assenza di una posizione di garanzia ex articolo 40, capoverso);
m) le condotte di concorso omissivo nel reato attivo altrui, in presenza di un obbligo di prevenzione o impedimento;
n) le condotte atipiche poste in essere dell'extraneus che funga da autore o coautore nei reati propri non esclusivi a fronte di un intraneus compartecipe o istigatore;
o) le condotte dell'extraneus-autore mediato che sfrutti l'apporto materiale dell'intraneus inconsapevole, non imputabile o, comunque, non punibile;
p) le condotte atipiche (per assenza di elemento soggettivo) che integrano reati, naturalisticamente o giuridicamente, diversi da quelli voluti, rispettivamente nei casi di cui agli articoli 116 e 117 del codice penale; sul concorso dell’ extraneus nel reato di esercizio arbitrario dxelle proprie ragioni con violeza alle persone, vedi Cass., sez. unite 29541/2020=
q) le condotte atipiche (o tipiche, ma non punite, nel controverso caso di concorrente necessario non sottoposto a pena nei reati plurisoggettivi impropri) di concorso ai reati necessariamente plurisoggettivi (vedi la violenza sessuale di gruppo), con precipuo riguardo al concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso, ove la condotta non integri la partecipazione piena ma non si limiti neanche al patto di scambio ex art. 416 ter o alle speciali forme di assistenza-agevolazione previste da norme specifiche incriminatrici o aggravanti (artt. 418, 378, comma 2, e art. 7 d. l. 152/1991).
La stessa Corte di Cassazione ha evidenziato che: “L’elemento che distingue il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso è occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati, con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo Nel reato associativo, invece, l’accordo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti”.
3. La Corte EDU
La Corte EDU Contrada contro Italia nel 2015 ha ritenuto il deficit di base legale e la violazione dell’art. 7 CEDU in relazione alla condanna pronunciata ai danni del ricorrente Contrada per il reato di «concorso esterno in associazione di tipo mafioso», in quanto lo stesso sarebbe stato il «risultato di un’evoluzione della giurisprudenza successiva all’epoca dei fatti di causa» (commessi tra il 1979 e 1988); dunque, «tenuto conto delle divergenze giurisprudenziali sull’esistenza di tale reato, il ricorrente non avrebbe potuto prevedere con precisione la qualificazione giuridica dei fatti che gli erano ascritti e, di conseguenza, la pena che sanzionava le sue condotte; la Corte afferma con chiarezza la portata garantistica del principio di prevedibilità declinato dall’art. 7 quale «elemento essenziale dello stato di diritto», mai derogabile.
4. Principio di legalità: concorso esterno in associazione mafiosa e cd. reato di “creazione giurisprudenziale” – esclusione della portata generale dei principi affermati dalla sentenza Corte EDU 14 aprile 2015, contrada contro Italia
Il Supremo Consesso a SS.UU. si è espresso in materia di concorso esterno in associazione mafiosa e cd. reato di “creazione giurisprudenziale” e sull’ esclusione della portata generale dei principi affermati dalla sentenza corte EDU 14 aprile 2015, Contrada contro Italia, affermando che: “In tema di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, i principi enunciati dalla sentenza della Corte EDU, sez. IV, 14 aprile 2015 n. 66655/13, non si estendono a coloro che, pur trovandosi nella medesima posizione, non abbiano proposto ricorso in sede europea, in quanto la richiamata decisione del giudice sovranazionale non è una sentenza pilota e non può neppure ritenersi espressione di un orientamento consolidato della giurisprudenza europea”.
Ad avviso delle Sezioni Unite, non può convenirsi con la tesi difensiva, come recepita dalla Sezione rimettente.
Il ricorrente non può invocare in proprio favore l’applicazione diretta dell’art. 46 della CEDU, per il quale “gli Stati contraenti sono tenuti a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parte”, non essendo stato parte del giudizio al cui esito è stata pronunciata la sentenza Contrada. S’impone quindi la verifica circa la sussistenza delle condizioni che legittimino l’attribuzione alla stessa decisione dell’idoneità all’applicazione generalizzata degli affermati principi e la riferibilità della violazione dell’art. 7 CEDU a tutti i casi di condanna già irrevocabile per concorso esterno in associazione di stampo mafioso, consumato in epoca antecedente al febbraio 1994.
La soluzione risiede nella considerazione della natura della violazione della norma convenzionale riscontrata e dei rimedi per la sua eliminazione.
È opportuno premettere che nel sistema convenzionale l’espansione degli effetti di una decisione della Corte EDU ad altri casi non oggetto di specifica disamina rinviene una base normativa nell’art. 61 del regolamento CEDU, per il quale, ove venga rilevata una violazione strutturale dell’ordinamento statale, causa della proposizione di una pluralità di ricorsi di identico contenuto, è possibile adottare una sentenza “pilota”, che indichi allo Stato convenuto la natura della questione sistemica riscontrata e le misure riparatorie da adottare a livello generalizzato per conformarsi al decisum della sentenza stessa con eventuale rinvio dell’esame di tutti i ricorsi, fondati sulle medesime ragioni, in attesa dell’adozione dei rimedi indicati.
Oltre a tale strumento, è oggetto di formale riconoscimento normativo anche il diverso caso, in cui la pronuncia della Corte sovranazionale assume un rilievo ed una portata generali, perchè, sebbene priva dei caratteri propri della sentenza pilota e non emessa all’esito della relativa formalizzata procedura, accerta una violazione di norme convenzionali in tema di diritti della persona, suscettibile di ripetersi con analoghi effetti pregiudizievoli nei riguardi di una pluralità di soggetti diversi dal ricorrente, ma versanti nella medesima condizione. La nozione di sentenza a portata generale trova fondamento positivo nel predetto art. 61, comma 9 (…).
Se ne trae conferma dalla giurisprudenza della Corte EDU che, sin dalla sentenza della Grande Camera del 13/07/2000 nel caso Scozzari e Giunta c. Italia, ha affermato il principio, poi più volte ribadito, per il quale “quando la Corte constata una violazione, lo Stato convenuto ha l’obbligo giuridico non solo di versare agli interessati le somme attribuite a titolo dell’equa soddisfazione prevista dall’art. 41, ma anche di adottare le misure generali e/o, se del caso, individuali necessarie” aventi contenuto ripristinatorio, ossia quegli interventi specificamente suggeriti dalla Corte Europea, oppure individuati in via autonoma dallo Stato condannato, purché idonei ad eliminare il pregiudizio subito dal ricorrente, che deve essere posto, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non si fosse verificata l’inosservanza delle norme della Convenzione (in termini Corte EDU, GC, 17/09/2009, Scoppola c. Italia; Corte EDU, GC, 01/03/2006, Sejdovic c. Italia; Corte EDU, GC, 08/04/2004, Assanidze c. Georgia). Ulteriori significative indicazioni provengono in tal senso anche dalla giurisprudenza costituzionale, che, impegnatasi più volte nel definire i rapporti tra giudice Europeo e giudice interno nell’attività di interpretazione della legge nel rispetto della gerarchia delle fonti di produzione normativa, ha assegnato valore vincolante e fondante l’obbligo conformativo per lo Stato condannato nel giudizio celebrato dinanzi la Corte sovranazionale alla statuizione contenuta in sentenza pilota, oppure in quella che, seppur legata alla concretezza della situazione che l’ha originata, “tenda ad assumere un valore generale e di principio” (Corte Cost., sent. n. 236 del 2011; sent. n. 49 del 2015). A fronte di tali presupposti, allo Stato convenuto ed al suo giudice non è consentito negare di dar corso alla decisione adottata dalla Corte di Strasburgo e di eliminare la violazione patita dal cittadino mediante i rimedi apprestati dall’ordinamento interno. Qualora, invece, non ricorrano tali presupposti, compete al giudice interno applicare ed interpretare le disposizioni di legge, operazione da condursi in conformità alle norme convenzionali ed al significato loro attribuito dall’attività esegetica compiuta dalla Corte EDU, alla quale è rimessa una “funzione interpretativa eminente” sui diritti fondamentali, riconosciuti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli secondo quanto previsto dall’art. 32 CEDU, al fine di realizzare la certezza e la stabilità del diritto (Corte Cost., sent. nn. 348 e 349 del 2007).
Gli approdi, definitivamente acquisiti, della giurisprudenza costituzionale mostrano lo sforzo compiuto per conciliare autonomia interpretativa del giudice comune e dovere di quest’ultimo di prestare collaborazione con la Corte Europea, affinché il significato del diritto fondamentale cessi di essere controverso e riceva effettiva attuazione. Si è affermato che il giudice comune, nell’interpretare la disposizione del proprio ordinamento interno deve recepire i contenuti della “giurisprudenza Europea consolidatasi sulla norma conferente” e, qualora, facendo ricorso a tutti gli strumenti di ermeneutica praticabili, la ravvisi in contrasto con i precetti della Carta costituzionale, non potendo disapplicarla, deve investire il giudice delle leggi della questione di costituzionalità della norma stessa in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, spettando poi a quest’ultimo pronunciarsi in adesione alla giurisprudenza Europea, se uniforme e consolidata, salvo che in via eccezionale non ne riconosca la difformità dalla Costituzione. In questa residuale ipotesi, il giudice delle leggi non può sostituirsi alla Corte EDU nell’interpretare le disposizioni della Convenzione, pena l’usurpazione di prerogative altrui in violazione dell’impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione del trattato internazionale, ma deve operare un giudizio di bilanciamento, finalizzato a verificare la sussistenza di un vuoto di tutela normativa rilevante in relazione ad un diritto costituzionalmente garantito. Nel diverso caso, in cui il giudice interno ravvisi l’incompatibilità tra la norma nella lettura offertane dal diritto vivente Europeo e la Costituzione, in assenza di un “diritto consolidato” il relativo dubbio è sufficiente per negarvi i potenziali contenuti assegnabili secondo la giurisprudenza sovranazionale e per operarne l’interpretazione costituzionalmente orientata, – doverosa e prioritaria rispetto a qualsiasi altra possibile –, che esclude la necessità di sollevare incidente di costituzionalità (Corte Cost., sent. n. 113 del 2011; sent. n. 311 del 2009).
La Corte costituzionale, consapevole delle difficoltà per il singolo interprete di riconoscere nel contesto della giurisprudenza Europea sui diritti fondamentali un orientamento contrassegnato da adeguato consolidamento, ha individuato i seguenti criteri negativi da impiegare a tal fine: “la creatività del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza Europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice Europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano” (sent. n. 49/2015). La ricorrenza di tutti o di alcuni di tali indici svincola il giudice comune dal dovere di osservanza della linea interpretativa adottata dalla Corte EDU nella risoluzione della singola fattispecie concreta.
4. Decisione delle Sezioni unite Genco
Le Sezioni Unite escludono la portata erga alios della sentenza della Corte europea Contrada c. Italia:
– negando che si tratti di una “sentenza pilota” dal momento che si basa sull’esame dell’accusa in concreto formulata e sulla connessa prevedibilità di tale contestazione per l’imputato,
nonché sull’andamento del processo in relazione alle deduzioni difensive svolte, risolvendosi
così un accertamento di responsabilità a carattere (unicamente) individuale e senza neppure distinguere a quale comma dell’art. 7 CEDU si riferisse la censura mossa all’Italia;
– escludendo che sia espressione di una “giurisprudenza consolidata” e rimarcando quindi la centralità di tale paradigma della “giurisprudenza consolidata”: negli ultimi anni il «diritto consolidato» è stato costantemente utilizzato dalla Consulta quale criterio selettivo degli obblighi di adeguamento per il giudice interno: «la denunciata violazione del parametro convenzionale interposto, ove già emergente dalla giurisprudenza della Corte EDU, può comportare l’illegittimità costituzionale della norma interna sempre che nelle pronunce di quella Corte sia identificabile un approdo giurisprudenziale «stabile» (C. Cost. 120 del 2018) o un diritto «consolidato» (C. Cost. 49 del 2015);
– ed escludendo la portata oggettiva del difetto di prevedibilità del concorso esterno in associazione mafiosa.
5. Conclusioni
Ne discende che, ad avviso delle Sezioni Unite, la statuizione adottata nei confronti del ricorrente Contrada dalla Corte EDU non è vincolante per il giudice nazionale al di fuori dello specifico caso risolto e non consente di affermare in termini generalizzati l’imprevedibilità dell’incriminazione per concorso esterno in associazione mafiosa per tutti gli imputati italiani condannati per avere commesso fatti agevolativi di un siffatto organismo criminale prima della predetta sentenza, e che non abbiano adito la Corte Europea, ottenendo a loro volta una pronuncia favorevole. Plurimi profili di criticità, non considerati nell’ordinanza di rimessione e nemmeno nelle pur articolate prospettazioni difensive, inducono a ritenere che l’applicazione del concetto di prevedibilità, contenuto nella sentenza Contrada, non sia esportabile nei riguardi di altri soggetti già condannati irrevocabilmente per la stessa fattispecie e nello specifico del ricorrente nemmeno ai fini di un’interpretazione convenzionalmente orientata del principio di legalità, che possa condurre al positivo apprezzamento della sua istanza di revisione della condanna.
Mariangela Miceli: Avvocato del Foro di Trapani, cultore della materia in diritto processuale penale presso l'Università di Palermo e consulente giuridico per il Fondo FEASR presso l'Assessorato dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea della Regione siciliana.
26 gennaio 2023
Direttissima: il giudice competente per la convalida della misura cautelare non è il GIP
25 gennaio 2023
Anche la settima sezione ribadisce la prevalenza della remissione della querela sulla inamissibilità
Avevamo già dato in altro post dell'indirizzo di legittimità secondo cui la remissione della querela prevale sulla eventuale causa di inammissibilità della impugnazione. Il principio ora è stato ribadito anche dalla settima sezione ( Cass. sez. VII, sent. 1183/23) innanzi alla quale pendeva un ricorso inammissibile, ma per reati per i quali era medio tempore giunta la remissione della querela.
24 gennaio 2023
Premio nazionale "Avvocato Giuseppe Corso 3^ edizione" - scadenza 30 aprile 2023
La Camera Penale di Trapani e il La.P.e.c e Giusto Processo "avvocato Giuseppe Corso" Sezione di Trapani, bandiscono la 3^ edizione del premio nazionale "Avvocato Giuseppe Corso".
Al link sottostante il bando con le modalità di partecipazione.
La Riforma ? Un cantiere senza fine.
Non sono passati che pochi giorni dall'entrata in vigore della Riforma, che già si stagliano all'orizzonte- invero largamante annunciate- le riforme della Riforma. Infatti, con un disegno di legge del 19 gennaio (atto senato n. 474) sono state proposte "Modifiche al codice penale in tema di procedibilità di ufficio per reati commessi da associazioni di tipo mafioso e procedibilità d'ufficio per ipotesi di furto aggravato". (scheda al link)
Diritti penale della famiglia: non rileva l'omesso affido convidiso ai fini del delitto di omesso versamento dell'assegno
23 gennaio 2023
Gli orientamenti della Procura generale della Corte di Cassazione in tema di Riforma Cartabia.
Diamo conto, soprattutto in tema di iscrizione della notizia di reato e correlati controlli, degli orientamenti dispensati dalla Procura generale della Corte di Cassazione in tema di Riforma Cartabia. Documento al link. Procura Generale della Cassazione - Novità (procuracassazione.it)
22 gennaio 2023
GUIDA ALL' APPELLO CARTABIA
Come già accaduto in altre occasioni i continui confronti con colleghi ci hanno stimolato a pubblicare un post con domande e risposte in tema di appello Cartabia. Ovviamente si tratta di un contributo senza alcuna pretesa di spessore scientifico, né tanto meno di certezza della esattezza delle soluzioni fornite e che tuttavia riteniamo utile quale primo strumento per orientarsi nel nuovo appello.
QUI IL MODELLO SU COME CHIEDERE LA DISCUSSIONE ORALE DELLA CAUSA
E’ cambiato qualcosa in tema
di appellabilità delle sentenze di merito ?
SI. Il
nuovo comma III dell’articolo
593 prevede che «sono in ogni caso inappellabili le sentenze di
condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda o la pena sostitutiva
del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenze di proscioglimento
relative a reati (non più soltanto contravvenzioni n.d.r.) puniti
con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa».
Nell’inappellabilità di cui al III comma dell'art. 593 c.p.p. ricadono anche le sentenze con cui è stata applicata una pena pecuniaria in sostituzione di una detentiva?
NO, salvo mutamenti giurisprudenziali.
Fin qui la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che <<è
appellabile la sentenza di condanna per contravvenzione con la quale sia stata
inflitta la pena dell'ammenda, in tutto o in parte, come sanzione sostitutiva
dell'arresto, atteso che il limite previsto dall'art. 593, comma terzo, cod.
proc. pen. si riferisce alle sole sentenze di condanna a pena originariamente
prevista come ammenda>> (Cassazione penale sez. III, 11/02/2016,
n.14738).
E’ cambiato qualcosa in tema
di appellabilità delle sentenze di non luogo a procedere ?
SI.
Analogamente a quanto avvenuto per le sentenze di proscioglimento, anche per
quelle di non luogo a procedere non si può proporre appello avverso le pronunce relative
a reati (non più soltanto
contravvenzioni) puniti
con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa (rif. art. 428).
La
sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del
processo da parte dell’imputato è appellabile ?
NO. L’appellabilità è esclusa dal
riformato art. 420 quater c.p.p.
Ma esiste una qualche
disciplina transitoria ?
NI. Ovviamente il tema non si pone per il lavoro di pubblica utilità e per la sentenza di non doversi procedere, ma per le sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento inerenti delitti puniti con multa o pena alternativa. Orbene, l’art. 88 ter del d.l.vo 150/22 prevede che <<le disposizioni di cui all'articolo 23, comma 1, lettera m), in materia di inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse dopo la data di entrata in vigore del presente decreto>>[1].
E per le sentenze di
proscioglimento ?
Al riguardo potrebbe essere
utile richiamare la giurisprudenza di legittimità formatasi in occasione della
legge che introdusse l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento
relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena
alternativa, senza introdurre norme transitorie. In quell’occasione venne
osservato che la novella era applicabile alle sole sentenze emesse successivamente
alla entrata in vigore della medesima. (Cassazione penale sez. III, ud. 12/06/2019, dep. 28/10/2019, n.43699)
Tuttavia, nel caso di specie
la circostanza che NON difetti del tutto una disposizione transitoria, potrebbe
consentire anche di sostenere l’opposta tesi e cioè che il legislatore abbia inteso differire l'operativa della inappellabilità per il solo caso esplicitamente previsto.
Ci sono nuovi requisiti per
l’atto di appello ?
SI. Il
nuovo comma I bis dell’ art. 581 prevede che <<L’appello è
inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni
richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici
in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento
impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si
riferisce l’impugnazione>>.
Devo indicare nell’atto di
appello il domicilio del mio assistito, anche non imputato, ai fini della
notifica della citazione in appello ?
SI. A
mente dell’art. 581 comma I ter c.p.p.
<<con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori
è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di
domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio>>.
Lo devo fare anche per le sentenze pronunciate prima dell'entrata in vigore della norma, ma per le quali devo ancora depositare l'impugnazione ?
NO. Ai
sensi dell’art. 89 d.l.vo 150/22 le disposizioni degli articoli 581, commi
1-ter e 1-quater, e 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale si
applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in
data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto.
Ma se in occasione delle precedenti notifiche l’interessato ha già indicato un domicilio idoneo per le notifiche, l’atto di appello dovrà comunque essere corredato dall' ulteriore indicazione di domicilio ?
Considerata
la sanzione di inammissibilità, suggeriamo di SI, per quanto sul piano
logico si possano nutrire legittimi dubbi.
Il
difensore dell’assente può ancora impugnare senza bisogno di procura speciale
?
NO. Ai
sensi del comma 1-quater dell’art. 581 <<nel caso di imputato rispetto
al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore
è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare,
rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o
l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del
decreto di citazione a giudizio»;
Ogni appello proposto dal difensore dell'assente deve essere corredato dalla procura speciale ad impugnare?
NO. Ai
sensi dell’art. 89 d.l.vo 150/22 le disposizioni degli articoli 581, commi
1-ter e 1-quater, e 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale si
applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in
data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto.
Ci
sono novità in materia di termini per appellare ?
SI. Per l’appello del difensore dell’assente il nuovo 585 comma I bis prevede che <<i termini previsti dal comma 1 sono aumentati di quindici giorni per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza».
Il nuovo termine si applica anche alle sentenze pronunciate in data anteriore a quella di entrata in vigore della Riforma?
NO. Ai sensi dell’art. 89
delle disp. transitorie il novello comma I bis dell’art. 585 riguarda soltanto
le impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a
quella di entrata in vigore della Riforma.
Posso depositare l'appello in cancelleria?
SI, ma si tratta di una facoltà transitoria. Infatti tale facoltà è consentita sino a 15 giorni dopo l’adozione dei regolamenti che definiscono le regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale (in tesi da adottarsi entro il 31.12.2023).
Posso depositare in cancelleria l'appello fuori sede?
Potrò depositare a mezzo PEC ?
SI. Le norme transitorie introdotte in sede di conversione del d.l. 162/2022, rimediando ad una grave lacuna della precedente normativa, hanno consentito il deposito a mezzo PEC, escludendolo però, come avveniva già con le norme "pandemiche", per tutti i casi in cui è obbligatorio il deposito tramite portale (art. 87 bis).
Le cause di inammissibilità della impugnazione depositata a mezzo PEC sono rimaste le stesse ?
NO. All'uopo riportiamo lo stralcio dell'art. 87-bis del d.v. 150 (Disposizioni transitorie in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze):
comma 7. <<Fermo restando quanto previsto dall’articolo 591 del codice di procedura penale, nel caso di proposizione dell’atto ai sensi del comma 3 del presente articolo l’impugnazione è altresì inammissibile: a) quando l’atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore; b) quando l’atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui al comma 1; c) quando l’atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro provvedimenti resi in materia di misure cautelari, personali o reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all’ufficio competente a decidere il riesame o l’appello>>.
Come si celebrerà il giudizio di appello?
In questa sede ci limitiamo a rilevare che per gli appelli proposti entro il 30.06.2023 varrà ancora la disciplina "pandemica", di talché si procederà con giudizio camerale non partecipato, salva richiesta di discussione orale. Per gli appelli depositati successivamente a tale data, oggi ci possiamo limitare a rilevare che si distingueranno tre modelli di celebrazione: camerale non partecipato, camerale partecipato, dibattimento.
Chi può chiedere la discussione orale dell'impugnazione?
Per gli appelli proposti entro il 30.06.2023, l' art. 94 del d.l.vo 150 cit (Disposizioni transitorie in materia di videoregistrazioni e di giudizi di impugnazione) rende ultrattiva la previsione del d.l. 137/20 il cui art. 23 bis IV co. accorda tale facoltà al PM e al DIFENSORE (senza ulteriori specificazioni), nonché all'imputato, tramite il suo difensore. Per le impugnazioni successivamente proposte, ai sensi dell'art. 598 bis la richiesta potrà essere formulata dall'imputato, a mezzo del suo difensore, da questi e dall'appellante.
Entro quale termine si può chiedere la discussione orale?
Per gli appelli proposti entro il 30.06.2023 sino a 15 giorni prima dell'udienza (per gli appelli successivamente proposti il termine sarà di 15 giorni dalla notifica dell'avviso fissazione appello, ex novello 601 c.p.p.).
- Bisogna distinguere:
pe per gli appelli proposti fino al 30.06.2023 il PG deposita le sue conclusioni entro il decimo giorno precedente l’udienza mentre le altre parti entro il quinto giorno antecedente alla celebrazione del giudizio;
- per gli appelli proposti dopo il 30.06.2023 il PG deposita le sue richieste entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza (stesso termine previsto per tutte le parti per proporre motivi nuovi) mentre le altre parti entro cinque giorni prima dell'udienza possono depositare memorie di replica.
Qualcuno mi comunicherà le
conclusioni del PG o devo informarmi in cancelleria ?
- Per gli appelli proposti ENTRO il 30.06.2023, la cancelleria dovrà inviare conclusioni del PG alle altre parti, diversamente per gli appelli depositati DOPO il 30.06.2023, non è più previsto alcun onere a carico delle cancellerie.
All’esito del giudizio non
partecipato la cancelleria mi comunicherà dispositivo ?
- Per gli appelli proposti ENTRO il 30.06.2023, la cancelleria dovrà comunicare la decisione alle parti (cfr. art. 23 bis III co. d.l. 137/20), diversamente per appelli proposti DOPO il 30.06.2023 non è più previsto alcun onere a carico delle cancellerie. Infatti il novello art. 598 bis prevede che <<Il provvedimento emesso in seguito alla camera di consiglio è immediatamente depositato in cancelleria. Il deposito della sentenza equivale alla lettura in udienza ai fini di cui all’articolo 545>>. Tuttavia l'art. 164 bis d.att. prevede una comunicazione di cortesia, secondo la locuzione usata nella relazione ministeriale.
Il concordato è stato mantenuto ?
SI.
Valgono
ancora le preclusioni soggettive per richiederlo?
Posso chiederlo sino
all’udienza ?
NO.
Ai sensi dell'art. 599 bis la dichiarazione congiunta delle parti deve essere
depositata entro 15 giorni prima
dell’udienza.
Il termine per comparire in appello è mutato?
SI, è divenuto di quaranta giorni (601 III co. C.p.p.).
Il nuovo termine si applica sin da subito?
Nulla è esplicitamente previsto.
In
via interpretativa, sulla scorta di una lettura unitaria dell’art. 601 c.p.p. (che appunto prevede il nuovo termine a comparire) potrebbe sostenersi di no. All'uopo riportiamo l’art. 601 novellato nella parte di interesse.
<<3. Il decreto di citazione per il giudizio di appello contiene i requisiti previsti dall'articolo 429, comma 1 lettere a), f), g), nonché l'indicazione del giudice competente e, fuori dal caso previsto dal comma 2, l’avviso che si procederà con udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, salvo che l’appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore chiedano di partecipare nel termine perentorio di quindici giorni dalla notifica del decreto. Il decreto contiene altresì l’avviso che la richiesta di partecipazione può essere presentata dalla parte privata esclusivamente a mezzo del difensore. Il termine per comparire non può essere inferiore a venti quaranta giorni>>.
Sulla scorta del riportato enunciato normativo potrebbe sostenersi che il nuovo termine per comparire ed il nuovo termine per chiedere il giudizio camerale partecipato facciano parte di una disciplina unitaria. Orbene, posto che per le impugnazioni proposte sino al 30.06.2023, il termine per chiedere la discussione orale non muterà dovrebbe concludersi che neppure l' arco temporale concesso per comparire a giudizio subirà variazioni. In tal senso è orientato anche l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte (cfr. pag.165 Relazione).
Tuttavia, ai fini della opposta soluzione giova richiamare l’art. 599 bis, già entrato in vigore, secondo cui il concordato è presentato nel termine, previsto a pena di decadenza, di quindici giorni prima dell’udienza. Orbene, la combinazione dell’attuale termine a comparire (20 gg.) con quello previsto per depositare il concordato (15 giorni prima dell’udienza) induce a ritenere che il nuovo e maggiore arco temporale di 40 giorni andrebbe applicato da subito, altrimenti si rischia di frustrare l'esperibilità del concordato.
In caso di appello per i
soli interessi civili è cambiato qualcosa ?
SI.
Ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen. «Quando la sentenza è
impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la
Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la
prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente,
che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo
penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile».
E in caso di prescrizione, il
giudizio di appello continuerà innanzi al giudice penale o civile ?
PENALE. Infatti l'art. 578, comma 1, cod. proc. pen.
non è stata modificato. Quindi il giudice penale continua ad avere l’obbligo di
pronunciarsi sulle questioni civili, quando, per effetto dell'amnistia o della
prescrizione del reato, il reato si estingua durante la fase d'appello.
In caso di improcedibilità, sulle statuizioni civili si pronuncerà il giudice penale o civile?
CIVILE.
Infatti il nuovo comma I bis dell’art. 578 prevede che: «quando nei confronti
dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o
al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e
in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili, il
giudice di appello e la corte di cassazione, se l’impugnazione non è
inammissibile, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento
dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344 bis, rinviano per la
prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso
grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel
processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile».
In caso di improcedibilità il giudice di appello può pronunciare la confisca ?
SI, ma soltanto se trattasi di confisca obbligatoria, per il resto rimettere gli atti al giudice delle misure di prevenzione.
In caso di appello pendente potranno applicarsi le pene sostitutive?
SI.
Infatti ai sensi dell’art. 95 (Disposizioni transitorie in materia di pene
sostitutive delle pene detentive brevi) del d.l.vo 150/22 <<le norme previste dal
Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano
anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello
al momento dell'entrata in vigore del presente decreto. Il condannato a
pena detentiva non superiore a quattro anni, all'esito di un procedimento
pendente innanzi la Corte di cassazione all'entrata in vigore del presente
decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive
di cui al Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, al giudice
dell'esecuzione, ai sensi dell'articolo 666 del codice di procedura penale,
entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza. Nel giudizio di
esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della
legge 24 novembre 1981, n. 689, e del codice di procedura penale relative alle
pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del
rinvio>>.
Se il giudizio di appello è pendente si può chiedere la messa alla prova per reati che adesso ne sono suscettibili?
SI. L’
art. 90. (Disposizioni transitorie in materia di sospensione del procedimento
con messa alla prova dell’imputato) del citato d.l.vo prevede che <<la disposizione
dell'articolo 32, comma 1, lettera a), del presente decreto, che comporta
l'estensione della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla
prova a ulteriori reati, si applica anche ai procedimenti pendenti nel giudizio
di primo grado e in grado di appello alla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo>>.
[1]
Segnaliamo però che nella Relazione del Massimario si afferma come il nuovo
art. 88-ter d. lgs. n. 150 del 2022 <<detta la disciplina transitoria
sulle nuove disposizioni circa l'inappellabilità delle sentenze di
proscioglimento e di non luogo a procedere per reati puniti con pena pecuniaria>>
(pag. 167), tuttavia, salvo sviste, non rinveniamo nel corpo dell’enunciato
normativo il richiamo alle sentenze di proscioglimento.
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