22 luglio 2025

Il sequestro e il Velo del Custode. Miti giuridici e nebbie ermeneutiche nella decisione Cass., Sez. VI, 1° aprile 2025, n. 13585- di Guido Todaro

Abstract

La pronuncia della Corte di Cassazione n. 13585/2025 solleva rilevanti interrogativi sul controllo giudiziale in materia di sequestro probatorio disposto dal pubblico ministero, alla luce della direttiva 2016/680/UE e del principio di proporzionalità. Il commento, pur mantenendo una impostazione tecnico-giuridica, ricorre a immagini tratte dalla mitologia celtica, da suggestioni della letteratura russa e americana, e dal pensiero di Franco Cordero per evidenziare il carattere iniziatico e simbolico del conflitto, mai sopito, tra potere investigativo e garanzie difensive.

Sommario: 1.Il principio oltre la norma: proporzionalità e custodia. - 2. Il P.M. come Custode (im)proprio: il rischio del doppio ruolo. - 3. La nullità “a geometria variabile” e la nebbia del processo. - 4. Il principio di legalità come pietra sacra. - 5. La voce del Nuovo Mondo e l’eco di Cordero. - 6. Conclusione. Senza il Custode, resta solo la nebbia.

1. Il principio oltre la norma: proporzionalità e custodia

Nel cuore delle Costituzioni moderne, accanto alle norme scritte, dimora un principio che agisce come antico spirito protettore del diritto vivente: la proporzionalità. In epoche remote, i druidi scolpivano nella parola tramandata il compito di bilanciare il caos e l’ordine: oggi, la stessa funzione è assolta da tale principio, che non è solo strumento di misura, ma forza simbolica di armonia tra libertà e necessità.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la decisione C.G. c. Bezirkshauptmannschaft Landeck (Grande Sezione, 4 ottobre 2024, C-548/21), ha riaffermato che ogni ingerenza nei diritti fondamentali dev’essere necessaria, proporzionata e fondata su norme accessibili, chiare e prevedibili. Ciò vale a maggior ragione in materia di accesso a dati personali custoditi nei dispositivi digitali che rappresentano, a ben guardare, i nuovi calderoni dell’identità personale: scrigni che contengono ciò che un tempo apparteneva solo all’anima.


2. Il P.M. come Custode (im)proprio: il rischio del doppio ruolo

Nel caso esaminato, un decreto di sequestro probatorio e di corrispondenza viene disposto dal pubblico ministero senza previo controllo giudiziario. L’eccezione difensiva sollevata — fondata sulla direttiva 2016/680/UE e sul d.lgs. n. 51 del 18 maggio 2018 — richiama il principio secondo cui solo un giudice o un’autorità amministrativa indipendente può autorizzare l’accesso a tali dati: principio recentemente rimarcato dalla Corte di Lussemburgo con la decisione del 4 ottobre 2024, C-548/21, già richiamata.

Nella tradizione celtica, il Custode del Cerchio Sacro non è mai colui che varca la soglia, ma colui che ne veglia l’accesso. Identificare il pubblico ministero con l’autorità indipendente significherebbe confondere il druido con l’invasore, il guardiano con il desideroso di penetrare la sfera. Una sovrapposizione che, se legittimata, genera un corto circuito arcaico, quasi ancestrale: l’unità tra il controllato e il controllore, come nei sogni inquieti di Dostoevskij, dove bene e male abitano la stessa coscienza.

Fortunatamente, la Corte Suprema prende le distanze da questa visione: l’assenza di terzietà del pubblico ministero preclude, in radice, l’effettività del controllo sul trattamento dei dati personali (superando così un recente arresto della medesima Corte: Cass., Sez. V, 28 gennaio 2025, n. 8376, non mass.). 


3. La nullità “a geometria variabile” e la nebbia del processo

Pur riconoscendo la violazione del diritto eurounitario, essendo necessario l'intervento di un Giudice, la Corte ritiene che il vizio non sia declinabile nei termini di un'inutilizzabilità probatoria -  poiché è compito del diritto nazionale, e non di quello dell'Unione, stabilire le regole relative all’ammissibilità e alla valutazione delle prove (Corte giust. UE, 20 aprile 2024, causa C-670/22, EncroChat) –ma di una mera nullità e, soprattutto, che sia stato “assorbito” dalla successiva verifica giurisdizionale del Tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 324 c.p.p. 

Nasce così una nullità condizionata, variabile, contestuale. È il trionfo della logica floue: non esiste una regola binaria, ma una valutazione olistica che guarda all’intero procedimento, come se si potesse, ex post, ridisegnare il cerchio sacro attorno al fuoco del diritto violato.

Nel pensiero di Tolstoj, la legge scritta è cosa morta se non corrisponde al sentimento di giustizia. Ma questa giustizia, se sganciata dalla norma, rischia di diventare arbitrio vestito da saggezza. 

La sentenza in commento, pur animata da un lodevole sforzo di armonizzazione tra diritto interno ed europeo, sembra smarrire il punto essenziale: i diritti fondamentali non possono essere oggetto di bilanciamenti o di sanatorie implicite.

Ci si avvicina, così, pericolosamente, a quella zona in cui — per dirla con Bulgakov — «Mai chiedere nulla, mai e per nessuna ragione, soprattutto a quelli che sono più forti di te. Ti toglieranno tutto e non ti daranno mai nulla» (Il Maestro e Margherita).

È il monito amaro che attraversa le pagine del romanzo come un presagio: ogni rinuncia al presidio della legalità apre la strada alla discrezionalità dei forti, alla deriva dell’equilibrio processuale come concessione, non come diritto.

In altri termini: l'assenza di un controllo reale sul potere investigativo, che postula ex ante l'intervento del Giudice, espone i soggetti deboli - tali sono per definizione gli indagati/imputati nel processo penale - al dominio degli apparati forti (id est: il potere statuale), esattamente come nel mondo immaginifico e crudele evocato da Bulgakov. 

E così, come accade al signor K. ne Il processo di Franz Kafka, l’individuo si ritrova invischiato in un meccanismo senza volto, dove l’autorità è ovunque ma mai presente, dove la colpa è presupposta e l’assoluzione irraggiungibile, e dove il diritto si consuma nel buio di una macchina che non conosce custodi, ma solo esecutori. Il processo penale rischia così di scivolare dal rito alla fatalità, dal giudizio alla condanna per assenza di forma.


4. Il principio di legalità come pietra sacra

L’art. 111, comma 1, Cost., impone che il processo sia regolato dalla legge: ciò per essere "giusto". Non dal sentimento soggettivo di giustizia. Non da valutazioni compensative. Non dalla necessità di efficienza. La legge è il menhir attorno a cui si forma il rito: spezzarne la forma, significa dissolverne la forza.

Il principio di proporzionalità deve essere inteso come garanzia e non può mai giustificare l’annullamento dei diritti fondamentali: consente la loro limitazione solo in nome di un interesse superiore definito dal Legislatore, non dalla convenienza del Giudice.


5. La voce del Nuovo Mondo e l’eco di Cordero

Nel silenzio solenne che accompagna la giurisprudenza di legittimità, si insinua anche il sussurro della tradizione giuridica americana, dove la giustizia costituzionale ha imparato — a caro prezzo — che le libertà civili non si difendono con strumenti flessibili, ma con regole chiare e review indipendenti. Da Katz v. United States a Carpenter v. United States, il principio di “judicial authorization” è condizione imprescindibile per l’accesso investigativo a dati sensibili.

Ma come avrebbe ricordato Franco Cordero, il processo penale non è un meccanismo, ma un rito drammatico e razionale, carico di tensione simbolica. La legalità processuale è un ordito simbolico e tecnico: ogni deroga può alterare l’equilibrio profondo del processo. Nei suoi scritti, il processo è scena, verità e mito. E come nei grandi giuristi americani — Jerome Frank, Benjamin Cardozo — il diritto non è solo regola, ma forma e rito, e la giustizia si misura nel rispetto delle condizioni formali che permettono al conflitto di svolgersi nel cerchio sacro della Costituzione.


6. Conclusione. Senza il Custode, resta solo la nebbia

La pronuncia commentata nasce da e con nobili ideali - postulare l'intervento del Giudice ove si tratti di disporre il sequestro di dispositivi informatici - ma mostra un inquietante scivolamento verso un pragmatismo processuale, che in luogo del diritto rituale propone un diritto adattabile e pseudo-efficientista. 

Un sistema penale che cede all’equilibrio percepito, rinunciando ai presìdi della legalità, rischia di diventare una foresta senza sentieri, dove le parole perdono la loro forza sacrale.

Come insegnano i racconti druidici, i romanzi di Dostoevskij e le Corti americane, senza il Custode non vi è rito, senza regola non vi è giustizia, senza misura non vi è verità.

(Pronuncia n. 13585/2025 al link)

(*) Guido Todaro: Avvocato del Foro di Bologna, Cassazionista, Specialista in Diritto Penale, è Dottore di Ricerca in Diritto e Processo Penale presso l’Università di Bologna, nonché Professore a contratto di Procedura Penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali afferente alla medesima Università.
È componente del Comitato di Gestione della Scuola Territoriale della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”, nonché membro della Redazione della Rivista Cassazione penale e Caporedattore della Rivista La Giustizia Penale.
È Autore di oltre 60 pubblicazioni in riviste scientifiche, nonché coautore del libro “La difesa nel procedimento cautelare personale”, Giuffrè, 2012, e con-curatore del Volume “Custodia cautelare e sovraffollamento carcerario”, Studi Urbinati, v. 65, n. 1, 2014.

 

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