Il Giudice per le indagini preliminari, a fronte di una istanza di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero, richiedeva una integrazione istruttoria. Il pubblico ministero depositava quindi una elencazione di atti integrativi, trasmessi al GIP con l'indicazione sommaria dei motivi per cui i suddetti atti erano da intendersi quali riscontri all’ipotesi accusatoria.
Il Giudice per le indagini preliminari respingeva la richiesta di misura cautelare, ritenendo che la mera allegazione di attività istruttoria non richiamata nella richiesta di misura cautelare, rimasta immutata, non consentisse di poter vagliare la gravità indiziaria.
Il Tribunale per il riesame riformava il provvedimento.
L'imputato interponeva ricorso, ma la Corte di legittimità ha precisato che l’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che le misure cautelari personali sono disposte su richiesta del pubblico ministero, «che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda». La norma- ad avviso dei giudici della nomofilachia- non richiede la trascrizione del materiale investigativo nella richiesta di misura ma l’indicazione degli elementi di indagine che fondano la sussistenza del fumus commissi delicti, desumibili dagli atti di indagine compiuti e allegati alla richiesta. Infatti, la domanda cautelare deve essere qualificata dall'allegazione degli atti su cui si fonda, ma può anche non essere connotata da una specifica e puntuale motivazione, che invece è oggetto di obbligo per il giudice chiamato a provvedere sulla domanda stessa (Sez. F, n. 34201 del 25/08/2009, Trovato, Rv. 244905). Quindi, hanno concluso i giudici della Corte di Cassazione, la deduzione difensiva secondo cui, per rendere gli atti allegati alla richiesta di misura utilizzabili, sarebbe stato necessario esplicitamente richiamarli era manifestamente infondata e su di essa il Tribunale per il riesame non aveva l‘obbligo di motivare (sentenza al link)