Il Caso. Un dirigente comunale è stato condannato, con doppia conforme, per il delitto di peculato continuato (artt. 81, 314 cod. pen.), in relazione ad una vicenda che riguarda l'autoliquidazione di compensi nella quale, tra le altre cose, avrebbe omesso di astenersi in presenza di un interesse proprio.
Il Ricorso. Ricorre per la cassazione della condanna, deducendo - per quel che qui rileva - la violazione della legge sostanziale (art. 314 cod. pen.) in relazione alla affermata disponibilità giuridica delle somme e per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto che i visti di regolarità contabile e copertura finanziaria apposti alle determinazioni di autoliquidazione costituissero controlli meramente formali. Da tale doglianza, il ricorrente deduce che egli non aveva la disponibilità giuridica delle somme oggetto di contestazione e che la condotta non integrava il delitto di peculato.
La sentenza. La Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con la sentenza n. 34776 ud. 22.9.2020, dep. 7.12.2020, Pres. P. Di Stefano, Rel. O. Villoni, Ric. Meloni, accoglie quest'ultimo motivo di ricorso e cassa senza rinvio la pronuncia di condanna.
La motivazione e i principi di diritto. La sentenza osserva preliminarmente come <<l'indubbia peculiarità della fattispecie non possa far velo all'essenza del delitto di peculato di cui all'art. 314 cod. pen., che consiste nell'appropriazione da parte del soggetto qualificato (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) di denaro o cosa mobile di proprietà altrui (soggetto pubblico o privato, sul tema v. per tutte Sez. 6, sent. 4 Corte di Cassazione n. 20132 del 11/03/2015, Varchetta, Rv. 263547 in fattispecie di appropriazione di denaro di privati da parte di notaio) di cui abbia la disponibilità, materiale e/o giuridica; appropriazione, inoltre, che s'invera tendenzialmente in assenza di controlli esterni, situazione quest'ultima che facilita e consente una più agevole interversione del possesso della res da parte dell'agente>>.
In effetti, la questione oggetto del giudizio riguarda proprio il concetto di cd. disponibilità giuridica da parte dell'agente qualificato di somme di denaro oggetto delle determinazioni di autoliquidazione del compenso atteso che <<il nucleo dell'accusa mossa al ricorrente consiste, infatti, nell'essersi attribuito autonomamente emolumenti retributivi che non gli competevano>>.
La Corte territoriale, condividendo la statuizione del primo giudice aveva stabilito che le determinazioni adottate dall'imputato <<furono sottoposte ad un mero visto di regolarità contabile e copertura finanziaria, limitato alla verifica della sussistenza e capienza del titolo di spesa, senza alcun controllo di piena legalità ...>>.
Sul punto, in modo ineccepibile, la Corte di legittimità ricorda come <<Il Testo Unico sugli Enti Locali d. Igs. n. 267 del 18 agosto 2000 impone per contro l'espressione di un parere tecnico necessario da parte del servizio interessato ed uno congiunto del servizio ragioneria (art. 49, comma 1) quando la proposta di deliberazione comporti un impegno di spesa nonché l'espletamento di controlli effettivi e di riscontri amministrativi, contabili e fiscali sugli atti di liquidazione da parte del servizio finanziario dell'ente locale (art. 184, comma 4)>>, con la conseguenza che <<risulta invero arduo qualificarli momenti di controllo irrilevanti quando non inesistenti>>.
La conclusione è nelle premesse: <<ai fini di una piena riconducibilità della condotta ascritta al ricorrente all'ipotesi di reato di peculato, il requisito della cd. disponibilità giuridica, impregiudicati i profili di illegittimità delle Determinazioni adottate in violazione di regole di contabilità pubblica (pagg. 24-25 sentenza), di previsioni di contrattazione collettiva (pagg. 27-28) o in contrasto con norme primarie di altra fonte (art. 24 d. Igs. n. 165 del 2001), che non spetta, tuttavia, a questa Corte di Cassazione sindacare in questa sede processuale ma che non postulano necessariamente la sussistenza del delitto di cui all'art. 314 cod. pen.>>.
Scarica la sentenza al link 👉 Cass. pen. Sez. VI 34776/2020