Chiamata ancora una volta a pronunciarsi in ordine alla valutazione delle dichiarazioni di un soggetto minore d'età, presunta vittima di reati di natura sessuale, la III sezione della Corte di cassazione coglie l'occasione per affermare come né il ritardo nella denuncia dei fatti di reato né la progressione dichiarativa tipica di un narrato che vada completandosi nel tempo siano elementi di per sé soli tali da minarne il giudizio di attendibilità.
Così, con la sentenza 31 luglio 2020, n. 23419, è stato rigettato il ricorso di un imputato, la cui condanna per abusi sessuali ai danni di una minorenne di età compresa tra i 9 e i 15 anni era stata confermata in sede d'appello. Avverso la pronuncia della Corte di merito, l'imputato aveva proposto ricorso per cassazione dolendosi di plurimi errori valutativi e vizi motivazionali in ordine all'apprezzamento della prova, valorizzando l'incongruenza dei racconti, l'inverosimiglianza dei fatti, le contraddizioni del narrato, che erano tali da consentire alla difesa di offrire una ricostruzione alternativa dei fatti. In sede di legittimità, infatti, l'imputato sosteneva l'inattendibilità della persona offesa, perché era inverosimile che la nonna, che costituiva il punto di riferimento della giovane, non si fosse attivata a sua difesa e, d'altra parte, era strano che la minore avesse detto al fidanzatino, con cui aveva un'intesa sessuale, che aveva subito solo delle avances.
I giudici di legittimità osservavano, al contrario, come la sentenza impugnata avesse offerto una spiegazione logica e non contraddittoria delle denunciate incongruenze. In questa direzione, si valorizzava come, anche grazie alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, fossero emerse in modo chiaro e del tutto plausibile le ragioni del ritardo nella denuncia di reato, dovute, in buona sostanza, alla incredulità e titubanza manifestata dai familiari che, a vario titolo, avevano raccolto le prime dichiarazioni accusatorie della minore verso l'amico di famiglia, nonché alla loro più generale tendenza a sottrarsi al problema. Allo stesso tempo, anche la circostanza secondo cui la minore avrebbe parlato al fidanzatino solo di avances, non raccontando subito dei più gravi abusi subiti, era stata ritenuta compatibile con l'esigenza interiore della persona offesa di non disvelare tutto, non essendo la medesima ancora pronta ad aprirsi.
D'altro canto, riprendendo le osservazioni provenienti dalla Corte territoriale, i giudici di legittimità ribadivano che: “la ricerca della verità non segue la strada di una puntigliosa ricerca delle differenze di dettaglio in due narrazioni [...] rese in due diverse sedi dichiarative (con tutte le differenze relative, dal contesto, a come sono rivolte le domande etc.), ma quelle della verifica della corrispondenza della struttura essenziale del corpo dichiarativo, dell'emergere o meno di indici di effettività esperienziale, del cogliere gli accenti di sincerità, o viceversa, del verificare la presenza o meno di fattori distorsivi mnestici o emotivi”.
Si concludeva, dunque, nel senso che nessun dubbio di credibilità della persona offesa potesse validamente porsi a fronte di una notitia criminis emersa in ritardo e con modalità di disvelamento dei fatti progressiva allorquando la sentenza ne offrisse una spiegazione logica e adeguata. E', infatti, preclusa al giudice di legittimità la lettura alternativa dei fatti posti a fondamento della decisione a meno che non sia dedotta l'illogicità o l'irragionevolezza manifesta, non potendo egli sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi e nemmeno saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno.
Un compito sempre più arduo, dunque, quello del difensore dell'imputato che intenda contestare la credibilità della persona offesa minorenne, non potendo ravvisare nel carattere non esaustivo e disomogeneo delle dichiarazioni una riprova di mancanza di genuinità del narrato. Se, ordinariamente, il fatto che le narrazioni rese in tempi diversi siano discordanti tra loro è un elemento che viene sfruttato attraverso il meccanismo delle contestazioni per minare la credibilità del testimone adulto, tale ragionamento non può essere semplicisticamente esteso alla ben più complessa valutazione del propalato del minore. Al contrario, l'esperienza e gli studi scientifici in materia insegnano come le dichiarazioni del giovane testimone - tipiche di una narrazione c.d. “in progress” - vadano completandosi nel tempo e siano solite emergere a seguito di percorsi faticosi di rivisitazione e superamento del trauma subito, oltreché di accresciuto affidamento del dichiarante verso l'autorità giudiziaria.
Dunque, un compito sempre più arduo quello del difensore sì, ma anche una valutazione giudiziale sempre più scomoda ed insidiosa di un mezzo di prova sempre più distante dall'archetipo della prova dichiarativa - essendo la testimonianza del minore ricca di interconnessioni con le scienze psicologiche - e un bilanciamento sempre più difficile tra le esigenze di acquisizione della prova e le garanzie di tutela della giovane età.
(*) Francesca Tribisonna: è avvocato penalista del Foro di Cagliari e Professore a contratto in Diritto minorile presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Già Dottore di ricerca in Diritto e procedura penale presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha al suo attivo un consistente numero di pubblicazioni, quali una monografia edita da Cedam proprio sull’ascolto del minore testimone o vittima di reato nel procedimento penale.