Come già segnalato su questo blog (link), la Sezione Sesta della Cassazione, con ordinanza del 29 gennaio 2021, aveva rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito:
“Se nel disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ex art. 282 – ter cpp, il giudice deve necessariamente determinare specificatamente i luoghi oggetto di divieto”.
La questione riguarda la concreta modalità di applicazione della misura cautelare.
Con sentenza n. 39005, pubblicata lo scorso 28 ottobre, le Sezioni Unite hanno dato al quesito la seguente risposta:
“Il giudice che ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art. 282-ter, comma 1 cod.proc. pen.) può limitarsi ad indicare tale distanza.
Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente”. Avevamo anticipato la notizia, su questo blog, al link.
Dopo aver analizzato i due principali filoni interpretativi della norma, sviluppatisi dalla sua introduzione ad oggi, la decisione ripercorre brevemente il quadro normativo in cui la stessa si colloca, senza tralasciarne l’interpretazione letterale e la lettura logico-sistematica, sia in relazione all’art. 282 – bis cpp, di cui costituisce il “perfezionamento”, riprendendone ratio e struttura, che con riferimento alla normativa sovranazionale.
Proprio perché introdotta quale peculiare strumento di repressione del reato di “atti persecutori” (D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”) la misura cautelare disciplinata dall’art. 282-ter c.p.p., deve ritenersi calibrata sulle particolari esigenze di tutela della vittima, essendo “finalizzata ad impedire condotte minacciose o violente nei confronti di vittime predeterminate ed appare funzionale alla tutela dell’incolumità della persona offesa non solo da aggressioni verbali o fisiche, ma anche nella sfera psichica in conseguenza del turbamento derivante dall’incontro con l’indagato o dalla percezione della vicinanza dello stesso”.
Secondo quanto disposto dal primo comma, nell’applicare la misura il giudice prescrive all’indagato: di non avvicinarsi a luoghi, determinati, che siano abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.
Proprio il duplice contenuto della norma, ha portato, in sede applicativa, a dover affrontare il problema interpretativo sulla necessaria specificità delle prescrizioni in relazione ai singoli casi concreti cui la misura deve calibrarsi.
Come già evidenziato dall’ordinanza di remissione, si erano sviluppati due indirizzi interpretativi le cui contrapposizioni appaiono spesso sfumate in ragione delle particolari e diverse situazioni di fatto in cui la misura è stata applicata (tutti riguardanti i reati di cui agli artt. 612 – bis e 572 cp).
Parte della giurisprudenza, ancorandosi sia al dato normativo, che fa espresso riferimento ai luoghi “determinati”, che all’esigenza di contemperare le ragioni di sicurezza e tutela della vittima con il diritto di libertà e movimento dell’indagato, ha ritenuto sempre necessario che il provvedimento cautelare contenga l’indicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del divieto (linea espressa da Sez. 6, n. 26819 del 7/04/2011,Rv. 250728, le cui argomentazioni sono sempre state richiamate dalle successive decisioni, giungendo ad analoghe conclusioni): “solo in tal modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente l’esecuzione ed il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare”. Il problema posto da tale indirizzo giurisprudenziale riguarda l’individuazione dei presupposti e del perimetro della misura, anche in prospettiva costituzionale: un provvedimento calibrato sul mantenimento di una data distanza dalla persona offesa, ovunque essa si trovi in un dato momento, non rispetterebbe il contenuto legale prescrivendo all’indagato una condotta generica, eccessivamente gravosa e sostanzialmente ineseguibile.
Altra parte, il cui solco interpretativo è stato tracciato da Sez. 5, n. 13568 del 16/01/2012, avuto riguardo alle specifiche esigenze di protezione relative al reato di atti persecutori, connotato dalla persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, ha ritenuto invece sufficiente l’imposizione generica del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ovunque la stessa si trovi. Secondo tale orientamento, nell’ambito della stessa misura cautelare vi è una netta differenza tra il divieto di avvicinamento ai “luoghi” ovvero alla “persona”, trattandosi “di due diverse prescrizioni che possono essere applicate sia in modo alternativo che congiuntamente, quando ricorra un significativo rischio di aggressione, fisica o psicologica, ad opera dell’indagato. La funzione è quella di realizzare uno schermo di protezione per la persona offesa, perché possa svolgere liberamente la sua vita quotidiana”.
La soluzione cui sono pervenute le Sezioni Unite, rappresenta una sintesi delle interpretazioni giurisprudenziali richiamate, partendo dalle seguenti premesse:
interpretazione letterale: ritenuta “abbastanza lineare e univoca, laddove nel primo comma correla il divieto di avvicinamento ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla parte offesa ovvero l’obbligo di mantenimento di una determinata distanza da tali luoghi;
lettura logico-sistematica unitamente all’art. 282 – bis cpp (allontanamento dalla casa familiare): anche tale misura (introdotta dalla L. n. 154/2001) trova effettiva applicazione relativamente ai reati in cui in cui è particolarmente significativa la componente vittimologica e, in particolare, alla fattispecie di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. L’art. 282 – bis cpp, comma 2 prevede che il giudice possa prescrivere all’indagato, oltre alla misura principale dell’allontanamento dalla casa familiare (comma 1), l’ulteriore prescrizione, facoltativa e aggiuntiva, di non avvicinarsi ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti. In tale ipotesi “il destinatario della misura deve essere informato dei luoghi ai quali non può avvicinarsi, indipendentemente dalla presenza della persona offesa nel dato momento”. Dopo l’introduzione della misura del divieto di avvicinamento ex art. 282 – ter cpp, si è potuto verificare che quando applicata ai reati di maltrattamenti in famiglia, avendo contenuto più ampio, è risultata maggiormente funzionale rispetto a quella di cui all’art. 282 - bis, comma 2 cpp. Essa prevede, infatti, “due prescrizioni finalizzate a precludere il contatto fisico tra persona offesa (e gli altri soggetti indicati al comma 2) e indagato e, una terza, riferita ai contatti a distanza (spaziando dalla comunicazione gestuale alla telematica), che però non è prevista come autonoma, bensì, come aggiuntiva (“il giudice può, inoltre, vietare …”)”.
Come evidenziato, in base al dato letterale, l’obbligo di tenersi ad una data distanza può realizzarsi in due modi diversi: mediante il mantenimento della distanza
- dai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa,
- dalla persona offesa in quanto tale.
Secondo il Supremo Collegio, la norma appare “inequivoca nel prevedere la possibilità di applicare una misura il cui contenuto sia esclusivamente quello del divieto di avvicinamento alla persona fisica ovunque essa effettivamente si trovi nel dato momento”.
Conseguentemente, verificati i presupposti di cui agli artt. 273 e 274 cpp, ”l’applicazione graduale delle varie prescrizioni andrà correlata alla intensità delle esigenze cautelari da soddisfare, soprattutto in ragione del rischio di aggressione fisica o psicologica della vittima, facendo riferimento al criterio generale di adeguatezza e proporzionalità di cui all’art. 275, commi 1 e 2 cpp.”
La misura cautelare in esame, pertanto, integra e completa il sistema di protezione della vittima come introdotto dall’art. 282 – bis cpp, conformemente a quanto previsto anche dalla normativa sovranazionale.
“La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio U.E. n. 2001 del 13.12.2001 sull’ ordine di protezione europeo prevede, infatti, la possibilità di disporre una misura di protezione in ambito europeo quando sia stata adottata in base al diritto nazionale una misura di protezione che impone alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti o delle seguenti restrizioni (art. 5):
- divieto di frequentare determinate località, determinati luoghi o determinate zone definite in cui la persona protetta risiede o che frequenta;
- interdizione da contatti telefonici/telematici, ecc;
- divieto o regolamentazione dell’avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito.”
Tali considerazioni portano ad affermare come la norma abbia introdotto prescrizioni autonome che possono essere applicate sia alternativamente che congiuntamente, in quanto “le due diverse prescrizioni possibili non definiscono due misure cautelari diverse, ma sono espressione di un’unica misura, spettando al giudice il compito di determinare quali siano le modalità più idonee in concreto a tutelare, da un lato, le esigenze della persona offesa e, dall’altro, a salvaguardare comunque l’ambito di libertà personale dell’indagato”.
La soluzione adottata ammette, pertanto, la possibilità di applicare la misura ”mobile”, ancorata alla sola persona offesa, ovunque essa si trovi, in quelle situazioni concrete caratterizzate da persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, escludendone l’obiezione di eccessiva gravosità, laddove ritenuta strettamente necessaria a garantire le esigenze cautelari, in ossequio ai principi di cui agli artt. 272 e ss. cpp. La misura del divieto di avvicinamento, si afferma, “proprio per la sua peculiarità rispetto alle misure generaliste, non solo non è troppo afflittiva ma, anzi, riduce al massimo la compressione dei diritti di libertà dell’indagato, limitandoli, ben più di altre misure, a quanto strettamente utile alla tutela della vittima”.
Laddove venga invece disposto il divieto di avvicinamento ai “luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa”, indipendentemente che la stessa sia ivi presente o meno, sarà sempre necessario indicare chiaramente di quali luoghi si tratti, “anche in forma indiretta, purchè si raggiunga la finalità di dare certezza all’indagato sulla estensione del divieto”.
Sulla scorta di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno dato alla questione la risposta sopra indicata, rigettando il ricorso proposto dal difensore dell’indagato.
(*) Viviana Torreggiani: Avvocato del Foro di Mantova è stata Presidente della Camera Penale Lombardia Orientale, Sezione di Mantova dal 2014 al 2018. Già componente dell’Osservatorio per la Deontologia e la qualità del Difensore istituito dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane e Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Mantova dal 2004 al 2014, dal 2014 è Consigliere Distrettuale di Disciplina presso il CDD di Brescia. Si occupa di diritto penale, diritto di famiglia e dei minori. Collabora con la rivista on-line IL PENALISTA, ed. Giuffrè, ed è referente della redazione scientifica locale. È coautore della “Consulenza tecnica”, collana Officina del diritto, ed. Giuffrè, anno 2017 e Autore degli artt. 96-108 cpp del ”Codice di procedura penale”, le Fonti del diritto italiano, a cura di Giovanni Canzio e Renato Bricchetti, ed. Giuffrè, anno 2017. Buon ultimo, è una nostra cara amica che ringraziamo per il contributo che siamo felici di ospitare.