16 giugno 2022

I rapporti tra l’art.131 bis e il reato continuato - di MARIANGELA MICELI (*)





Ci siamo già occupati del recente arresto delle SS.UU. in tema di compatibilità tra la disciplina del reato continuato e l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. (link).

Ospitiamo ora il commento alla sentenza dell'avvocato Mariangela Miceli.

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Il reato continuato sanziona la condotta di chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.

A norma dell’art. 81, secondo comma, si ha continuazione, anche qualora chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

Per quanto attiene, invece, l’art. 131 bis, questo si occupa dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Ciò vuol dire che, proprio ai sensi del secondo comma, la punibilità sarà esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

Proprio questo ultimo inciso è stato oggetto di un contrasto che ha investito il Supremo Consesso.

Un primo orientamento, infatti, rilevava una incompatibilità netta tra il reato continuato e la causa di non punibilità.

La ratio di tale orientamento faceva leva sulla circostanza per la quale, la stessa continuazione del reato, con più azioni od omissioni, non potesse far rilevare una tenuità della condotta.

Prosegue questo orientamento, affermando che non si può assolutamente discutere di tenuità del fatto e, quindi, di mancanza di abitualità, se le condotte sono plurime e vadano, proprio a norma dell’art. 81 cp, ad innestarsi nello stesso disegno criminoso.

Tale ultimo elemento, infatti, sempre secondo questo orientamento, andrebbe ad evidenziare la volontà di chi commette il fatto di porre in essere condotte plurime che certamente non possono annoverarsi all’interno del dettato normativo di cui all’art. 131 bis.

Orbene, a questo orientamento si è contrapposto un secondo orientamento più elastico il quale, invece, prevedeva la compatibilità dell’art.131 bis e quindi, della esclusione della punibilità, quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

Tale orientamento ha tenuto conto di quanto disposto dall’art. 133, il quale si occupa in modo specifico della gravità del reato della valutazione agli effetti della pena.

La valutazione degli effetti della pena, rappresenta il limite per l’applicabilità dell’art. 131 bis cp..

Richiamando quanto disposto dall’art. 133 cp si può evincere con chiarezza che: 

Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole desunta, dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Il richiamo all’art. 133 cp. non è peregrino, trattandosi dei rapporti dell’art. 131 bis e del reato continuato.

Poiché, tale articolo si occupa proprio della valutazione degli effetti della pena.

Orbene, trattando dei rapporti tra l’art. 131 bis e il reato continuato, non si può non fare un doveroso riferimento al contrasto giurisprudenziale che ha riguardato, per lo più, la definizione di abitualità.

Lo stesso art. 131 bis, infatti, sancisce che l’abitualità si ha quando il reo sia stato dichiarato tale o qualora abbia in modo professionale o per tendenza, commesso più reati della stessa indole.

Per tale ragione, un indirizzo più risalente del Supremo Consesso aveva escluso che si potesse applicare l’art. 131 bis nel caso di reato continuato, poiché, riteneva incompatibile la norma di cui all’art. 81, con quanto disposto dal Libro I, Capitolo I, del codice penale, in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

In altre parole, la Suprema Corte sosteneva che proprio il sintomo della abitualità, professionalità e tendenza a delinquere non potesse essere compatibile con la norma in parola di cui all’art. 131 bis cp. 

Questo orientamento teneva conto proprio della disposizione di cui all’art 81 c.p., secondo il quale si ha concorso formale e reato continuato, sia qualora con una sola azione o omissione si violi diverse norme ovvero si commettono più violazioni di legge, sia qualora le azioni o le omissioni, facciano parte dello stesso disegno criminoso.

Affermava la Corte, quindi, che la professionalità e la tendenza a delinquere, soprattutto in caso di recidiva, diventavano gli elementi di esclusione dell’applicabilità di cui all’art. 131 bis.

Un secondo orientamento, invece, non ha escluso l’applicabilità della particolare tenuità del fatto anche in caso di reato continuato, facendo sull’argomentazione che la continuazione non escludesse la particolare tenuità del fatto. 

Il contrasto tra i due orientamenti è stato risolto recentemente dalle SS.UU., le quali hanno, invece, ritenuto che l’art. 131 bis sia compatibile anche nel caso di reato continuato.

Il Supremo Consesso a SS.UU. ha sancito che, nel caso di reato continuato, non vi sia incompatibilità con la particolare tenuità del fatto e che questa vada valuta “caso per caso” dal giudice.

In altre parole, afferma la Cassazione che le azioni plurime o la presenza dello stesso disegno criminoso, non sia foriera e sintomo della professionalità o della abitualità delle condotte poste in essere dal reo.

Infine, aggiunge la Cassazione che non può escludersi, proprio in un’analisi case by case che la condotta sia riferibile all’art. 131 bis ed a quanto disposto dall’art. 133 c.p..

Le Sezioni Unite, quindi, sciolgono un nodo che aveva portato a due diversi orientamenti che escludevano da un lato la portata di cui all’art. 131 bis, in combinato disposto con l’art. 81.

Disponendo da un lato l’analisi caso per caso da parte dell’interprete e dall’altro lato, in ragione della ratio della norma di cui all’art. 131 bis, che non si possa escludere tout court la particolare tenuità del fatto solo per essere avvinto dalla caratteristica della continuazione.

In conclusione, da quanto appena esposto, appare evidente come in nome del principio di legalità di cui agli artt. 25, secondo comma, della Costituzione e dell’art. 1 del codice penale e del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 cost.

La Suprema Corte abbia dato ampio respiro alla portata innovatrice della norma di cui all’art. 131 bis. 

Ne discende che l’analisi caso per caso, alla quale la stessa Corte rimanda, potrà dare attuazione alla norma in parola, non escludendo aprioristicamente l’applicabilità della stessa.

Se si dovesse, infatti, disapplicare in modo automatico l’art. 131 bis, si verrebbe a ledere il principio non solo di legalità ma anche di tassatività della norma penale.

L’interpretazione della norma, infatti, deve essere improntata non soltanto ad una interpretazione letterale ma anche sistematica, all’interno di tutti i principi dell’ordinamento penale. 




(*) Mariangela Miceli: Avvocato del Foro di Trapani. Già dottoranda di ricerca in diritto commerciale e docente a contratto presso l'Università di Roma Unitelma Sapienza. Autrice di pubblicazioni scientifiche.  Contributor per il blog Econopoly24 del Sole24ore

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