Con
l'ordinanza che si annota (Cass. sez. VII, n.22082/2022, rel. Scarlini), la
settima sezione della Corte fornisce alcune interessanti indicazioni in tema di
richiesta e sentenza di patteggiamento (ordinanza
al link).
Al riguardo si noti che la
Corte era investita di un ricorso, avverso una sentenza di patteggiamento del
2012, con cui si lamentava l'omessa motivazione in ordine alla verifica dei
presupposti di cui all'art. 129 c.p.p...
Nonostante l'impugnazione sia
stata introdotta ante riforma Orlando, il ricorso è stato comunque
ritenuto inammissibile, giacché, osserva la Corte, <<in tema di
patteggiamento, la motivazione della sentenza in relazione alla mancanza dei
presupposti per l'applicazione dell'ad 129 cod. proc. pen. può anche essere
meramente enunciativa, poichè la richiesta di applicazione della pena deve essere considerata
come ammissione del fatto ed il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento
solo qualora dagli atti risultino elementi tali da imporre di superare la PRESUNZIONE
DI COLPEVOLEZZA che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della
richiesta di applicazione della pena (Sez. 2, n. 41785 del 06/10/2015, Ayari, Rv. 264595),
elementi che, nel caso concreto, non sono stati neppure dedotti>>.
I principi affermati dai
Giudici nomofilattifici concordano con quelli già ritenuti da una parte della
giurisprudenza di legittimità civile, secondo cui la "sentenza
penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un importante
elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia
probatoria, ha
il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe AMMESSO una sua
insussistente RESPONSABILITA’, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale
ammissione. Pertanto
la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare
come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una ammissione di COLPEVOLEZZA,
esonera la controparte dall'onere della prova" (Cass. Sez. U, sentenza n. 17289 del 31/07/2006). Tale indirizzo è stato recentemente richiamato anche da
alcuni giudici di merito (cfr. Tribunale Bolzano sez. I, 11/02/2022, n.157).
Tuttavia, anche successivamente all'intervento
delle sezioni unite civili, è sopravvissuto un diverso
arresto di legittimità, il quale ha sottolineato che l'intervento del
massimo consesso di legittimità era intervenuto con riferimento ad un
procedimento disciplinare a carico di un avvocato, in relazione al quale il
valore delle sentenze rese a seguito di "patteggiamento", è regolato
dagli artt. 445 e 653 c.p.p., come modificati dalla L. 27 marzo 2001, n. 97.
Pertanto l'orientamento de quo ha considerato che non può farsi discendere dalla sentenza di cui
all'art. 444 c.p.p., la prova della ammissione di responsabilità da parte
dell'imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento
civile (Cassazione civile sez. VI, 03/12/2013, n.27071
che richiama anche Cass. n. 8421/2011; 26263/2011).
Nel caso di specie, peraltro, la sentenza resa
dalla Corte distrettuale aveva statuito che la pronuncia
ex art. 445 c.p.p. non costituisce alcuna ammissione di colpa trattandosi
di un rito a scopi deflattivi, nel quale non si forma alcun giudicato sulla
colpevolezza in merito al fatto ascritto all'imputato (Corte d'Appello di Bologna, 07/07/2011).
In ogni caso l'ordinanza della settima sezione
penale pone ancora una volta il tema della politica giudiziaria perseguita
dalla Corte in ordine ai riti alternativi, cui è connesso quello degli
strumenti di cui la Corte intende servirsi ai fini di perseguire la deflazione
anche del suo carico di lavoro: basta l’impiego massiccio alla inammissibilità cui
la Corte ormai ricorre da alcuni decenni ?