22 giugno 2022

Per la Cassazione l'istanza di patteggiamento comporta ammissione di responsabilità.



Con l'ordinanza che si annota (Cass. sez. VII, n.22082/2022, rel. Scarlini), la settima sezione della Corte fornisce alcune interessanti indicazioni in tema di richiesta e sentenza di patteggiamento (ordinanza al link).

Al riguardo si noti che la Corte era investita di un ricorso, avverso una sentenza di patteggiamento del 2012, con cui si lamentava l'omessa motivazione in ordine alla verifica dei presupposti di cui all'art. 129 c.p.p...

Nonostante l'impugnazione sia stata introdotta ante riforma Orlando, il ricorso è stato comunque ritenuto inammissibile, giacché, osserva la Corte, <<in tema di patteggiamento, la motivazione della sentenza in relazione alla mancanza dei presupposti per l'applicazione dell'ad 129 cod. proc. pen. può anche essere meramente enunciativa, poichè la richiesta di applicazione della pena deve essere considerata come ammissione del fatto ed il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento solo qualora dagli atti risultino elementi tali da imporre di superare la PRESUNZIONE DI COLPEVOLEZZA che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della richiesta di applicazione della pena (Sez. 2, n. 41785 del 06/10/2015, Ayari, Rv. 264595), elementi che, nel caso concreto, non sono stati neppure dedotti>>.   

I principi affermati dai Giudici nomofilattifici concordano con quelli già ritenuti da una parte della giurisprudenza di legittimità civile, secondo cui  la "sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe AMMESSO una sua insussistente RESPONSABILITA’, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una ammissione di COLPEVOLEZZA, esonera la controparte dall'onere della prova" (Cass. Sez. U, sentenza n. 17289 del 31/07/2006). Tale indirizzo è stato recentemente richiamato anche da alcuni giudici di merito (cfr. Tribunale Bolzano sez. I, 11/02/2022, n.157).

Tuttavia, anche successivamente all'intervento delle sezioni unite civili, è sopravvissuto un diverso arresto di legittimità, il quale ha sottolineato che l'intervento del massimo consesso di legittimità era intervenuto con riferimento ad un procedimento disciplinare a carico di un avvocato, in relazione al quale il valore delle sentenze rese a seguito di "patteggiamento", è regolato dagli artt. 445 e 653 c.p.p., come modificati dalla L. 27 marzo 2001, n. 97. Pertanto l'orientamento de quo ha considerato che non può farsi discendere dalla sentenza di cui all'art. 444 c.p.p., la prova della ammissione di responsabilità da parte dell'imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile (Cassazione civile sez. VI, 03/12/2013, n.27071 che richiama anche Cass. n. 8421/2011; 26263/2011). 

Nel caso di specie, peraltro, la sentenza resa dalla Corte distrettuale aveva statuito che la pronuncia ex art. 445 c.p.p. non costituisce alcuna ammissione di colpa trattandosi di un rito a scopi deflattivi, nel quale non si forma alcun giudicato sulla colpevolezza in merito al fatto ascritto all'imputato (Corte d'Appello di Bologna, 07/07/2011).

In ogni caso l'ordinanza della settima sezione penale pone ancora una volta il tema della politica giudiziaria perseguita dalla Corte in ordine ai riti alternativi, cui è connesso quello degli strumenti di cui la Corte intende servirsi ai fini di perseguire la deflazione anche del suo carico di lavoro: basta l’impiego massiccio alla inammissibilità cui la Corte ormai ricorre da alcuni decenni ?



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