Nel caso di specie, la corte
di appello di Bari, post introduzione delle pene sostitutive, aveva
confermato una pena detentiva non superiore ad anni 4, irrogata antecedentemente
alla riforma. Tuttavia i giudici distrettuali non avevano dato alcun avviso, ex
art. 545 bis c.p.p., né avevano in ordine a tale omissione.
A fronte di ciò, la difesa
aveva interposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione dell’art.
545 bis c.p.p..
La corte ha rigettato il
ricorso.
Al riguardo i giudici della
nomofilachia hanno osservato che l’avviso di cui alla
norma censurata presuppone una delibazione positiva in ordine alla ricorrenza
dei presupposti per sostituire la pena, oltre quello del quantum
di pena irrogata. Pertanto l’omesso avviso di per sé
non comporta alcuna nullità.
Nondimeno il giudice <<potrà spiegare le ragioni
del mancato esercizio del suo potere ufficioso in sentenza>> .
A fronte di ciò, l’imputato, se vorrà valersi della pena sostitutiva, sarà
tenuto ad impugnare il relativo punto della sentenza, giusta i limiti cognitivi
di cui all’art. 597 I co. c.p.p..
Con riguardo alla disciplina
transitoria, la corte di cassazione ha peraltro specificato, che per gli appelli già pendenti al momento dell’entrata in
vigore della novella, l’istanza tesa alla sostituzione dovrà essere introdotta attraverso modalità
compatibili col rito delle impugnazioni, e quindi, al
più tardi, con le conclusioni.
Da quanto sopra scaturisce
che il mancato avviso, ex art. 545 bis c.p.p., ad opera del giudice di appello,
può integrare una nullità soltanto ove l’appellante
abbia sollecitato l’applicazione di una pena sostitutiva e la corte non abbia
fornito una risposta al riguardo.
<<Su questa
falsariga- ad avviso dei supremi giudici- altro recente arresto di
questa Corte… ha incidenter tantum affermato che anche a volere
individuare in tale omesso avviso una nullità, si tratterebbe comunque di
nullità a regime intermedio>>, da eccepire immediatamente dopo la
lettura del dispositivo.
Forse tenendo presente tale
arresto, la Corte nelle battute conclusive della sentenza, dopo aver ribadito
che la difesa può censurare l’omesso avviso soltanto ove avesse già invocato la
sostituzione della pena e il giudice nulla abbia detto nella motivazione sul
rigetto della richiesta, ha aggiunto che la censura
potrà pure muoversi nel caso in cui la difesa <<abbia fatto constatare
a verbale tale omissione, sollecitando la Corte a fissare l’udienza di rinvio per
la valutazione dei presupposti necessari per l’applicazione della misura
sostitutiva>>, dovendosi altrimenti ritenersi intervenuta acquiescenza alla delibazione implicitamente
negativa.
Applicando i superiori
principi al caso scrutinato, si è rilevato che l’imputato e il suo difensore,
pur presenti alla lettura del dispositivo, dinanzi al silenzio serbato dal
collegio, non hanno sollecitato <<l’esercizio dei poteri ufficiosi
della Corte (di appello)>> né la difesa- hanno sottolineato i supremi
giudici- aveva invocato, nel corso del giudizio, l’applicazione di una sanzione
sostituiva.
Complessivamente la motivazione appare poco perspicua.
Invero la corte sembra
tenere insieme due schemi concettuali contraddittori.
Infatti, se l’omesso avviso sottende una previa valutazione
negativa sulla ricorrenza dei presupposti per sostituire la pena, è
evidente che nulla potrà pretendersi dalla difesa
all’atto della lettura del dispositivo, potendo
la stessa dolersi dell’erronea valutazione del giudice soltanto dopo averne letto le motivazioni. Ovviamente in
tale evenienza la nullità non potrà che eccepirsi
con l’impugnazione.
Diversamente, l’obbligo della difesa di dolersi immediatamente del
silenzio del giudice presuppone che, a fronte di una pena non superiore a 4
anni, il decidente debba limitarsi a dare l’avviso di cui all’art. 545 bis e
quindi aprire una fase contraddittoria sulla
ricorrenza di ogni ulteriore requisito. In tal caso la nullità dovrà essere
eccepita immediatamente.