19 luglio 2024

Abuso d'ufficio: per il prof. Manna era costituzionalmente e convenzionalmente doveroso riformarlo, piuttosto che abrogarlo.




I delitti contro la pubblica amministrazione sono stati interessati dall'ennesima riforma.

In particolare l'abrogazione dell'abuso d'ufficio ha suscitato vivaci dibattiti.

Abbiamo chiesto al riguardo il parere del Prof. Adelmo Manna.



1) Professore, in questi giorni, prima col decreto legge n. 92 e poi con l’approvazione in via definitiva del ddl 808 c.d. Nordio, abbiamo assistito ad una nuova rimodulazione dei delitti contro la pubblica amministrazione, prima di vedere i singoli cambiamenti, perché secondo Lei, almeno dal 1990, questa materia è così tormentata ?


La ragione non è di ardua individuazione, perché riguarda i rapporti, a livello penalistico, tra l’Individuo e l’Autorità, che possiedono anche un preciso referente a livello costituzionale nell’art. 97, in quanto i pubblici uffici devono essere organizzati in modo da assicurare il “buon andamento” e l’”imparzialità dell’amministrazione”.
Imparzialità e buon andamento costituiscono, quindi, i pilatri su cui costruire i delitti dei p.u. contro la p.A., in modo da assicurare entrambi tali due requisiti. Alla disposizione ricordata fa, dall’altro canto, da contraltare l’art. 54, comma 2, in base al quale i cittadini, cui sono affidate funzioni pubbliche, “hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore(…)”.  Se questi sono, dunque, i parametri a livello costituzionale cui configurare il settore dei delitti dei p.u. contro la p.A., ne consegue inevitabilmente come trattasi di un settore assai delicato e foriero di modifiche periodiche proprio perché non è facile trovare un punto di equilibrio tra i diritti del cittadino, da un lato, e gli interessi della pubblica Amministrazione, dall’altro.





2) Col decreto legge n. 92, il Governo ha introdotto, tra i delitti dei pubblici
ufficiali contro la pubblica amministrazione, quello di “Indebita destinazione di denaro o cose mobili”, si tratta di un ritorno al peculato per distrazione o della salvezza di una porzione del reato di abuso di ufficio ?



Probabilmente sono state presenti nella mente del legislatore entrambe le esigenze, ma l’una come conseguenza dell’altra, nel senso che, evidentemente, l’abolizione tout court del delitto di abuso d’ufficio anche per l’attuale Ministro della Giustizia, on. Carlo Nordio, potrebbe essere risultata, invero, eccessiva, nell’ottica sempre della tutela non solo della pubblica Amministrazione in generale, ma anche del patrimonio della p.A. medesima, cui infatti si riferiva anche una parte dell’abuso d’ufficio prima
della sua abrogazione, tanto è vero che era previsto come evento di danno o il “procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale”, ovvero “l’arrecare ad altri un danno ingiusto”. Certo, vedere “resuscitato”, seppure sotto mentite spoglie, il peculato per distrazione, che era stato abrogato con la riforma del 1990, che infatti aveva limitato la rilevanza penale del peculato, come attualmente anche avviene, alla sola condotta di appropriazione, lascia indubbiamente perplessi, perché non si tiene contro che proprio il concetto di “distrazione” era stato abolito, in quanto eccessivamente indeterminato, che, a ben considerare, è proprio uno degli addebiti che sono stati mossi anche alla fattispecie di abuso d’ufficio, considerata alquanto evanescente.


3. Professore, al di là del merito della riforma, condivide l’uso del decreto legge per introdurre ipotesi di reato ?

Trattasi di un problema assai risalente, in quanto già il compianto Franco Bricola (già nella voce Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. It., XIX, 1973, 7 ss. e quivi 41; nonché Art. 25, 2° e 3° comma, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Art. 24-26, Rapporti civili, Bologna, 1981, 227 ss. e quivi 248; e già in Id, Legalità e crisi: l’art. 25, commi 2° e 3°, della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ’70, in Quest. Crim., 1980, 179 ss., nonché in Id., Scritti di diritto penale, I, tomo 2, Milano, 1997, 1273 ss.) aveva sostenuto una tesi assai radicale, ma profondamente rispettosa della legalità penale, affermando, peraltro non a torto, che proprio le caratteristiche della legge penale, che incide sulla libertà personale dei cittadini, dovrebbe comportare l’obbligo per il legislatore di utilizzare sempre la legge in senso formale e non già il decreto legge, perché, anche se convertito in legge dal Parlamento, costituisce sempre una “espropriazione” originaria della potestà legislativa da parte del Governo, per di più in una materia così delicata e che incide su di un bene così elevato fra la gerarchia degli interessi protetti da parte della Carta costituzionale, come, appunto, la libertà personale, per cui la legge penale nonpotrebbe che essere emanata, in definitiva, soltanto dal Parlamento. Orbene, stabilito ciò in linea generale ed astratta, ci rendiamo però conto che tale tesi non è stata poi seguita dalla maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, per cui dobbiamo inevitabilmente, come suol dirsi, scendere dal cielo dei principi alle caratteristiche del caso concreto, ove però anche nel caso che qui ci occupa diventa estremamente
problematico individuare quei “casi di assoluta necessità e urgenza”, richiesti dalla Carta costituzionale per legittimare l’intervento legislativo del Governo tramite, appunto, il decreto legge. E’ pur vero che nel titolo del decreto legge in analisi si fa riferimento, ovviamente, alle “misure urgenti in materia penitenziaria”, evidentemente con riferimento all’oramai eccessivo numero di suicidi in carcere, ma nel caso che qui ci occupa il nuovo delitto denominato “Indebita destinazione di denaro o cose mobili” non sembra proprio rivestire quel carattere di necessità e urgenza che dovrebbe legittimare l’intervento in un settore, tra l’altro così nevralgico, come quello dei delitti dei p.u. contro la p.A.. Le perplessità, quindi, riguardanti l’uso del decreto legge in materia penale, sono sia di carattere generale, in chiave garantista, sia anche in rapporto al caso concreto, per le ragioni che abbiamo sinora esposto.


4) Il ddl Nordio, approvato in via definitiva dal Parlamento, ha abrogato l’art. 323 c.p., a suo avviso si tratta di una riforma necessaria per consentire una più agevole attività della pubblica amministrazione, paralizzata da un reato connotato da un forte squilibrio tra il numero di iscrizioni e quello delle condanne, oppure si tratta di un intervento inutile, perché finirà per creare vuoti di tutela, in cui si innesteranno incontrollate esegesi creative della giurisprudenza?


Naturalmente l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio ha suscitato voci favorevoli e voci contrarie (fra i favorevoli Spangher, E’ stato definitivamente approvato il ddl Nordio, in Iuspenale, (Il penalista), 15.7.2024; nonché, seppure parzialmente, D’Avirro, Indebita destinazione di denaro o di altra cosa mobile: la parziale rinascita dell’abuso d’ufficio, in ibid, 11.7.2024; fra i contrari il presidente dell’ANM cons. Santalucia, in Il Dubbio, 17.7.2024, in risposta a Spangher, nonché, in particolare, Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio. Recupero in zona Cesarini del ‘peculato per distrazione’, (art. 314-bis) e obblighi (non pienamente soddisfatti) di attuazione della Direttiva UE 2017/1371, in Sistema penale, 10 luglio 2024, e, da ultimo, Donini, Abrogare i reati per isolare problemi del processo. Dal falso in bilancio all’abuso d’ufficio, in ibid, 15 luglio 2024). A nostro avviso la questione non può essere risolta adeguatamente soltanto sotto questo profilo, ma va maggiormente approfondita. In primo luogo non va dimenticato che sussistono oltre 3300 condanne passate in giudicato, che con l’abolitio criminis rischierebbero di finire nel nulla, anche se si potrebbe di contro sostenere che trattasi di un fenomeno anche di tipo successorio, con riferimento all’introduzione del nuovo reato di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, che non costituisce altro che una reviviscenza del peculato per distrazione, che era stato abolito con la riforma del 1990 e che ora “risorge” dalle ceneri evidentemente per tentare di colmare la lacuna derivante dall’abolizione dell’abuso di danno patrimoniale (in argomento, in senso giustamente critico, cfr. anche Micheletti, La “distrazione” gioca brutti scherzi sulle ricadute intertemporali del nuovo art. 314 bis c.p., in disCrimen, 8 luglio 2024). Volendo ora ritornare all’abuso d’ufficio, è risaputo che costituisce una fattispecie che ha conosciuto diverse “stagioni”, dall’abuso innominato come norma residuale nel c.p. del ’30, alla riforma del ’90, con la distinzione fra abuso con finalità patrimoniali e abuso con finalità non patrimoniali a cui è succeduta la riforma del 1997, che ha aggiunto un dolo particolarmente carico, il c.d. dolo intenzionale. In conclusione, l’ultima formulazione della norma in analisi risulta la seguente: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità (ex art. 23 d.l. 16.7.2020 n. 76, conv. nella l. 11.9.2020 n. 120) ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”. Come può agevolmente evidenziarsi anche ad una prima lettura la fattispecie che da ultimo risulta da tutte queste “stratificazioni” legislative non è certo di facile interpretazione e, quindi, di applicazione e ciò, ovviamente, dimostra il forte squilibrio tra il numero delle iscrizioni al registro degli indagati e quello relativo alle condanne, cioè una rilevante “cifra oscura”. Sarebbe, tuttavia, riduttivo spiegare l’abolitio criminis, seppur parziale, solo secondo quest’ultima prospettiva, né può costituire un argomento giuridicamente valido quello soprattutto espresso da un numero notevole di sindaci che hanno manifestato la c.d. paura della firma, perché trattasi non solo di un argomento di carattere politico, che ha consentito l’approvazione della riforma anche con il voto adesivo dei partiti di centro, ma che soprattutto giuridicamente non convince perché allora seguendo questa prospettiva bisognerebbe giungere a una responsabilità esclusivamente civile e non penale anche in rapporto ai medici, onde evitare la c.d. medicina difensiva, ma se seguisse quest’ultima strada il legislatore, di cui pure ha ufficialmente parlato l’attuale ministro della Sanità, rischierebbe di indebolire fortemente la tutela della vita e dell’integrità fisica dei malati che si sottopongono ad interventi del personale sanitario. A nostro avviso, quindi, la prospettiva abolizionista adottata dal legislatore è per molti profili assolutamente non condivisibile per cui siamo dell’avviso che sarebbe stato decisamente preferibile una riforma del delitto di abuso d’ufficio soprattutto se si tiene conto degli importanti risultati della Commissione Morbidelli, istituita nel lontano febbraio del 1996 dall’allora Ministro della giustizia, dott.Vincenzo Caianiello (sia consentito, in argomento, il rinvio a Manna, Abuso d’ufficio
e conflitto d’interessi nel sistema penale, Torino, 2004, spec. 27 ss.). Dai lavori di detta Commissione emerge un dato assolutamente imprescindibile, e cioè che l’abuso d’ufficio contiene in sé tre fattispecie distinte: in primo luogo la “prevaricazione”, che costituisce il modello ottocentesco e con il quale si incrimina soprattutto l’abuso delle forze dell’ordine, come anche di recente è avvenuto in quel caso in cui uno di essi aveva fermato due ragazze straniere chiedendo loro i documenti; esse glieli avevano consegnati e quando stavano andando via perché avevano capito le intenzioni dell’uomo, costui le ha indebitamente trattenute ritenendo che dovessero aspettare l’automobile di servizio perché fossero controllati anche elettronicamente tali documenti. Trattavasi evidentemente di una scusa non solo perché i documenti erano validi ma perché era un modo per approcciare le ragazze e per questa ragione il p.u. è stato condannato per abuso d’ufficio. La seconda fattispecie è quella relativa allo “sfruttamento privato dell’ufficio” che riguarda la classica ipotesi in cui il docente universitario, che ha una relazione consenziente con una studentessa, le fa superare l’esame anche se non è preparata. Purtroppo lo sfruttamento privato dell’ufficio potrebbe riguardare anche concorsi universitari ove concorrono anche abilitati alla seconda o addirittura alla prima fascia di docenza ove regolarmente prevale il concorrente locale, ma ora proprio con l’abolizione dell’abuso d’ufficio ancor più ci si vedrà costretti a ricorrere al TAR che in genere non decide nel merito se non dopo circa tre anni. La terza ipotesi riguarda il “favoritismo affaristico” che potrebbe essere in un certo senso recuperato attraverso la riemersione del c.d. peculato per distrazione. Onde cercare di ottenere una reductio ad unum di tali tre fattispecie criminose, sarebbe stato, a nostro avviso, utile una comparazione col delitto di “infedeltà patrimoniale” inserito nel 2002 nell’ambito dei reati societari. Sia l’abuso di ufficio infatti che l’infedeltà patrimoniale si caratterizzano per la situazione
di conflitto di interessi che a nostro avviso non dovrebbe essere qualificata solo in chiave omissiva ma caratterizzare l’abuso anche a livello di condotta attiva, a cui dovrebbe poi seguire, con relativo nesso causale, l’evento di danno patrimoniale, oppure non patrimoniale. Una fattispecie di tal fatta, in conclusione sarebbe stata la soluzione migliore per una tutela penale anche in chiave costituzionale, ex art. 97, nonché in chiave convenzionale, con riguardo in particolare alla Convenzione di Merida ed alla Direttiva comunitaria in materia, anziché un’abolizione tout court dell’abuso d’ufficio che rischierà, però, di suscitare una ennesima forma di giurisprudenza c.d. giuscreativa, che tenderà infatti, per colmare i vuoti di tutela,ovviamente, di non accontentarsi del risorgere del peculato per distrazione, ma ovviamente si orienterà probabilmente ad estendere oltremodo i limiti delle fattispecie di corruzione, soprattutto con riferimento al concetto di “altra utilità”.


5) Il traffico di influenze illecite, introdotto dalla legge c.d. Severino del 2012 e poi modificato nel 2019 con la c.d. legge spazza-corrotti, conosce una nuova riforma, con cui si restringe la sua area di applicazione alle sole ipotesi di sfruttamento di relazioni esistenti e si innalza il limite minimo di pena. Che ne pensa ?


Anche in relazione a tali ipotesi criminose la prospettiva storica può essere di notevole ausilio. Non va infatti dimenticato che originariamente, nel codice penale del 1930 esisteva solo la fattispecie di millantato credito, che sicuramente, per la sua conformazione, apparteneva alla categoria dei reati di frode. Con la riforma varata nel 2012 dall’allora Ministra della giustizia, prof.ssa Paola Severino, e con la c.d. legge spazza corrotti del 2019, si introdusse dapprima e poi si modificò la fattispecie di traffico di influenze illecite, che tuttavia inglobava in sé anche, a ben considerare, il millantato credito, tanto è vero che la condotta criminosa non si limitava allo sfruttamento, ma comprendeva anche il vantarsi di relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. In altri termini risultava evidente che, così come disciplinato, il traffico di influenze illecite ricomprendeva nel suo seno il millantato credito tanto è vero che fu abrogato dall’art. 1, lett. s), della l. 9 gennaio 2019 n. 3. Attualmente invece il legislatore di quest’ultima riforma ha di nuovo modificato il delitto di traffico di influenze illecite perché appunto viene ristretta la sua area di applicazione alle sole ipotesi di sfruttamento di relazioni esistenti e non, quindi, soltanto vantate. Tale modifica, però, a parte l’innalzamento del limite minimo di pena pone però un ulteriore problema, cioè quello dell’opportunità di far rivivere il millantato credito come reato di frode, giacché la parte fraudolenta è stata definitivamente santa dal traffico di influenze illecite. D’altro canto questo legislatore non è nuovo a far risorgere dalle ceneri fattispecie criminose già abolite, come dimostra il caso del peculato per distrazione e d’altro canto se non fosse reintrodotto il millantato credito si verificherebbe un nuovo vuoto di tutela proprio in rapporto a condotte assai pericolose come quelle, appunto, connotate dall’elemento fraudolento che infatti ha sempre caratterizzato il millantato credito finché è rimasto in vigore. In conclusione, dal decreto legge n. 92 del 2024, nonché dal d.d.l. n. 808 ormai definitivamente approvato sempre del 2024, abbiamo potuto verificare con mano l’esistenza di un legislatore fortemente discutibile che ha fortemente indebolito anche contro la normativa comunitaria rischiando così un procedimento d’infrazione per il nostro Paese un settore nevralgico del codice penale quale quello dei delitti dei p.u. contro la p.A.. D’altro canto, a nostro avviso, questa è l’ennesima riprova del c.d. populismo penale che si caratterizza, come suol dirsi, per essere “debole con i forti e forte con i deboli” (sia consentito, in argomento, il rinvio a Manna, Il diritto penale a “due velocità”, in Il diritto penale della globalizzazione, 2024, 131 ss.).

*) Adelmo MANNA:  Professore emerito di Diritto penale presso l'Università di Foggia e Avvocato cassazionista in Roma. 

 

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