13 settembre 2024

❌ Il PM che muova una nuova contestazione per rendere il reato procedibile d'ufficio ABUSA DEL PROCESSO e il Giudice può impedirglielo ❌

 

Con una sentenza senz'altro meritevole di più ampi approfondimenti (Corte cass., sez. IV. n. 27181/24, relatore D. Cenci), la Corte di cassazione ha ritenuto che ABUSA DEL PROCESSO il PM che modifichi l'imputazione, non per la necessità di adempiere compiutamente all'obbligo dell' esercizio dell'azione penale, bensì con lo scopo di travolgere una causa  di improcedibilità dell'azione.

Al riguardo la Corte ha osservato che <<in un processo di Parti non può escludersi che, in linea ipotetica, anche il P.M. possa dare corso ad un abuso del processo. Già con riferimento ad un modello processuale ben lontano da quello accusatorio, eccellente dottrina insegnava che la lealtà processuale si pone fra i principi fondamentali del processo penale e che il dovere di lealtà in capo al Pubblico Ministero «si prospetta in tanti aspetti, in particolare: 1) come obbligo di tempestivo promovimento dell'azione penale [...]; 2) come dovere di adeguare l'imputazione alla realtà di fatto risultante dal processo senza ricorrere a quel fenomeno - non del tutto raro di gonfiare l'imputazione nella configurazione giuridica [...] o nella introduzione di circostanze tali da determinare modificazioni Sulla competenza ovvero da incidere sull'obbligatorietà dell'ordine o mandato di cattura». Con specifico riguardo al codice di rito vigente, la Corte regolatrice ha rilevato che <<non mancano disposizioni la cui ratio è stata identificata nella deterrenza dell'abuso processuale perpetrabile dal Pubblico Ministero. Con riferimento all'art. 63, comma 2, cod. proc. pen., Sez. U, n. 1282 del 09/10/1996, dep. 1997, Carpanelli ed altri, Rv. 206846, ha affermato che si tratta di disposizione dettata "in funzione deterrente rispetto alle prassi illiberali di sentire una persona senza le garanzie dell'imputato o dell'indagato al fine di poter continuare a svolgere indagini informali, ignorando deliberatamente l'esistenza di indizi di reità a suo carico, e che persegu[e] lo scopo [...] di evitare il pericolo di dichiarazioni, compiacenti o negoziate, a carico di terzi» (così sub n. 5.3 dei ,"motivi della decisione", p. 32). Anche la disciplina delle c.d. contestazioni a catena può essere intesa come volta ad evitare l'abusivo uso del diritto del P.M. di sollecitare la misura cautelare; ed ora anche le previsioni codicistiche in tema di retrodatazione del termine di inizio delle indagini preliminari, introdotte dal d.lgs. n. 150/2022 (art. 335-quater cod. proc. pen., sotto la rubrica "Accertamento della tempestività dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato")".   

Il principio è stato espresso in un caso in cui il Tribunale aveva precluso al PM di procedere alla contestazione dell'aggravante di aver commesso il fatto su cose destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità (art. 625, n. 7, cod. pen.), che avrebbe consentito la procedibilità del reato ex officio, lì dove era già definitivamente spirato il termine accordato dalla riforma Cartabia alla p.o. per proporre querela. Dopo aver denegato al Requirente di modificare l'imputazione, il Tribunale aveva prosciolto l'imputata ex art. 129. A fronte di tale decisione, il Pubblico Ministero aveva interposto ricorso per cassazione, lamentando che <<nella sistematica del codice di rito la contestazione è potestà riservata all'Organo dell'accusa, unico dominus dell'azione penale, la cui iniziativa, esercitabile sino alla chiusura del dibattimento, persino interrompendo a tal scopo la discussione, non è soggetta ad alcuna delibazione preventiva da parte del giudice>>.

La Corte ha tuttavia rigettato il ricorso, ritenendo che il Tribunale avesse correttamente operato(sentenza al link)

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