29 dicembre 2021

La relazione della Commissione Ruotolo sull'innovazione del sistema penitenziario



Pubblichiamo i lavori della commissione per l’innovazione del sistema penitenziario (d.m. 13 settembre 2021 – Presidente Prof. Marco Ruotolo).

Al link la relazione

28 dicembre 2021

❌Attenzione❌ Prorogata al 31 marzo 2022 la normativa pandemica - Il Decreto legge 221/2021 in G.U.

 




[Tutta la normativa pandemica, sul nostro blog, al link]

Con il decreto legge n. 221 del 24.12.21, in vigore dal giorno di Natale del 2021, all’articolo 2 è stato previsto che “1. All'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, le parole «fino al 31 dicembre 2021» sono sostituite dalle seguenti: «fino al 31 marzo 2022».  2. All'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, le parole «31 dicembre 2021» sono sostituite dalle seguenti: «31 marzo 2022»".

Tutta la normativa pandemica, sul nostro blog, al link

24 dicembre 2021

Buone Feste






Foro e Giurisprudenzail blog giuridico della Camera Penale di Trapani, si ferma per le Festività.

Le pubblicazioni riprenderanno con la solita regolarità nel 2022.

A tutti voi i nostri Auguri di un sereno Natale e Felice 2022.

23 dicembre 2021

ALBERGATORI: NON È PIÙ PECULATO. CON LA CONVERSIONE IN LEGGE DEL D.L. 146/2021, ART. 5 QUINQUIES, IL LEGISLATORE RISTABILISCE L'EQUILIBRIO TRA POTERI DELLO STATO - di Marco Siragusa


Il legislatore si riappropria delle proprie prerogative e ristabilisce gli equilibri tra poteri dello Stato.

Con l'art. 5 quinquies del D.L. 146/2021, convertito con modificazioni in Legge n. 215/2021, pubblicata in G.U. il 21 dicembre 2021, e in vigore da ieri 22 dicembre 2021 (al link), il Legislatore interpreta autenticamente l'art. 4 del d. lgs 23/2011 come modificato dall'art. 180 comma 3 D.L. n. 34/2020, cd. Ristori, convertito in legge n. 77/2020 e stabilisce: <<Art. 5-quinquies. – (Interpretazione autentica del comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) – 1. Il comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ai sensi del quale si attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e si definisce la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020>>.



Per effetto della novità legislativa e dell'interpretazione autentica che essa reca, si porrà fine alla singolare interpretazione che la giurisprudenza di legittimità aveva dato della novità, ritenendola una modifica mediata con effetti non retroattivi (approfondimenti sul tema al link).

Nel parere del comitato per la legislazione risulta che <<l’articolo 5-quinquies reca una norma di interpretazione autentica di una norma tributaria (il comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011, relativo all’imposta di soggiorno comunale); in proposito si ricorda che l’articolo 1, comma 2, dello statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000) prevede che l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria; inoltre la Corte costituzionale, nella sentenza n. 70 del 2020, ha affermato che «al Legislatore non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative sia di interpretazione autentica. La retroattività deve tuttavia trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata».

La X Commissione permanente, poi, ha <<preso altresì atto che l’articolo 5-quinquies, introdotto al Senato, prevede che si applichi anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020 la norma che attribuisce al gestore della struttura ricettiva la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno (articolo 180, comma 3, del decreto-legge n. 34 del 2020)>>. Qui il parere delle Commissioni (link).

In questa rivista ci eravamo più volte occupati del cd peculato degli albergatori, tema "caldo" che aveva interessato gli studiosi del diritto penale sostanziale e la giurisprudenza di merito e di legittimità (link 1, link 2, link 3link 4).

La questione, in sintesi esemplificativa, atteneva la sussumibilità nel delitto di peculato della condotta del gestore di una struttura ricettiva che ritardava il versamento dell'imposta di soggiorno. Ciò in virtù di un'interpretazione della qualifica soggettiva (agente contabile di fatto e dunque intraneus) ancorata al maneggio di danaro pubblico.

Sulla vicenda era già intervenuto il Legislatore, depenalizzando la condotta (art. 180 comma 3 DL Ristori, cit.). Tuttavia, in virtù di un'interpretazione formalista e francamente border line con il dettato dell'art. 101 della Costituzione, la giurisprudenza di legittimità si era attestata sulla linea della modifica mediata della fattispecie, ritenendo depenalizzate le condotte appropriative solo a decorrere dal 19 maggio 2020. Con la conseguenza che continuavano a essere punite a titolo di peculato - con i noti e drammatici effetti della legge cd spazzacorrotti per i fatti ratione temporis ad essa riconducibili - le condotte consumate in epoca antecedente a quella data.

Gli arresti (sin qui) della giurisprudenza di legittimità avevano dato luogo a numerose questioni di legittimità costituzionale eccepite o suggerite (in questo blog al link), senza che si avesse notizia di incidenti costituzionali devoluti al giudice delle leggi.

Ora, in virtù del novum legislativo s'è posta fine ad una situazione all'evidenza iniqua e violativa del principio di eguaglianza.

Peraltro, l'intervento legislativo si segnala per la sua importanza "politica", dal momento che ristabilisce gli equilibri tra poteri dello Stato e pone fine al corto circuito in virtù del quale il giudice da "bocca della legge" tende a trasformarsi - ahinoi sempre più - in "creatore della legge", ma senza che egli sia legittimato dal popolo sovrano. 

In questo stallo, che attenta alle fondamenta dello Stato democratico, il Parlamento (la politica, in generale) è stata ed è sub-valente rispetto al potere giudiziario. 

Per questo riteniamo che la "piccola storia" del peculato degli albergatori segni una svolta e riequilibri i rapporti tra poteri dello Stato in senso conforme a Costituzione. Id est: il rappresentante del popolo sovrano, il Parlamento, legifera; il giudice applica la legge senza crearla (in questa rivista, sul tema, le riflessioni di Domenico Battista al link).

Per coloro che volessero approfondire l'argomento, al link che segue, la rassegna fin qui della giurisprudenza e una questione di legittimità costituzionale eccepita in uno dei tanti processi in corso di celebrazione (link).


Documenti:



22 dicembre 2021

ALLA RICERCA DEL LEGISLATORE PERDUTO. IL TRAMONTO DELLA DEMOCRAZIA PENALE. Le Corti interpretano ed il legislatore si adegua - di Domenico Battista

Siamo particolarmente lieti di ospitare la relazione dell'avvocato Domenico Battista, del Foro di Roma, all'annuale convegno "Giornate tridentine della difesa penale".

Il tema affrontato da Battista è particolarmente caro all'azione politica della nostra Camera Penale e fa parte del programma dell'Unione delle Camere Penali per il biennio 2021-2023: l'art. 101 della Costituzione. A conferma conferma che esistono le "affinità elettive" (video al link da min. 2:37 a 12:44).

Buona lettura





GIORNATE TRIDENTINE DELLA DIFESA PENALE 

"ALLA RICERCA DEL LEGISLATORE PERDUTO. IL TRAMONTO DELLA DEMOCRAZIA PENALE" 

Trento 27 NOVEMBRE 2021


Relazione dell'Avv. Domenico BATTISTA 


"LE CORTI INTERPRETANO ED IL LEGISLATORE SI ADEGUA"  


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Non vi nascondo in questo momento di essere al tempo stesso intimorito ed emozionato: intimorito perché ho avuto modo di ascoltare relazioni di altissimo livello ed intervenire dopo chi mi ha brillantemente preceduto è sempre un motivo di preoccupazione; prevale però l’emozione, perché finalmente (e ringrazio per questo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trento e l'Avv. Maria Anita Pisani)  è la prima volta che ritorno a parlare "in presenza" dopo l'inizio della pandemia.

E  è tutta un’altra cosa!  E' veramente tutta un’altra cosa!

Vi devo esporre nella mia relazione quanto scritto nel titolo: "Le Corti interpretano e il legislatore si adegua". E’ un titolo collegato all’argomento centrale del nostro convegno di oggi: "Alla ricerca del legislatore perduto".

Una prima riflessione:  se avessi dovuto dare qualche anno fa un titolo ad una relazione sugli stessi argomenti che devo oggi affrontare avrei scritto qualcosa di completamente diverso; in particolare avrei scritto "Il Parlamento scrive le leggi, le Corti le interpretano secondo i propri orientamenti e i propri desiderata".

Un presidente dell’Unione delle Camere Penali ebbe l’intuito di affrontare questo tema mettendoci tutti in guardia: la giurisprudenza - sosteneva non a torto l'Avv. Ettore Randazzo - si è trasformata in  "una pratica di resistenza interpretativa". 

In effetti se vado a rileggere quello che ho avuto modo di scrivere, insieme a tanti altri Colleghi e amici nel 2009, sembra veramente passato un secolo;  ma in realtà sono passati pochi anni; nel documento che predisponemmo quale Osservatorio sulla Corte di Cassazione di UCPI (relazione che  successivamente fu fatta propria dal Congresso di Torino ed approvata all'unanimità)  evidenziammo che, a fronte di un problema di "interpretazione creativa", tramite la quale accade che si facciano prevalere i  propri valori  soggettivi correggendo, mediante interventi creativi, la portata innovativa di riforme legislative, viene sostituita la volontà del legislatore per far prevalere la volontà del singolo magistrato controllore. 

Sostenemmo che, con questa impostazione, la Corte di Cassazione  rischiava di trasformarsi da Giudice di legittimità a Giudice di sola apparente legittimità;  e  scrivemmo anche che, in questo modo, la Corte negava la propria funzione costituzionale e che, negando la propria funzione costituzionale,  finiva per negare la stessa Costituzione. 

In un intervento stamattina  è stato ricordato che  un tempo si parlava del Giudice come "bocca della legge".

Ovviamente nessuno di noi rimpiange quel meccanismo così chiuso,  anche perché il problema delle leggi è che comunque necessitano di un’interpretazione: anche quando si affermava che il giudice doveva essere solo "bocca della legge" comunque necessariamente la norma doveva essere oggetto di interpretazione. 

Questo principio è stato messo (positivamente) in crisi con l'emanazione della Costituzione e, successivamente, ancora di più con l'entrata in funzione della  Corte Costituzionale. Mi piace ricordare che la sentenza numero 1 in assoluto della Consulta fu quella che dovette decidere se erano sottoponibili all’attenzione della Corte soltanto le norme successive alla entrata in vigore della Costituzione od anche le norme precedenti.

La decisione fu una scelta estremamente positiva, perché si disse e si scrisse in questa sentenza numero 1 che, contrariamente a quanto veniva sostenuto da una parte più conservatrice, la Consulta si sarebbe viceversa dovuta  occupare anche della normativa precedente: questa impostazione diede luogo a tutta quella giurisprudenza, che io valuto oltremodo positiva sotto tanti profili, che mise in discussione tutta quella variegata normativa anteriore al 1946  che non era più oggettivamente compatibile con i nuovi valori espressi dalla Costituzione. 

Ricordo, in particolare,  le famose sentenze del Presidente Branca, rimaste nella storia del diritto costituzionale.

Il concetto di giudice "bocca della legge" è stato messo in crisi anche dal progressivo mutamento della "gerarchia delle  fonti":  fonti nazionali e fonti sovranazionali, tra le quali il Giudicante deve comunque barcamenarsi per trovare una soluzione al caso concreto. Non a caso Vittorio Manes denunziò, a  fronte di questa congerie di norme, spesso in contraddizione l'una con l'altra,  l’esistenza di un "labirinto normativo".

Altro elemento che spesso viene trascurato (e che comunque è stato sicuramente sottovalutato all’epoca della sottoscrizione dei Trattati sovranazionali) è la normativa conseguente ai Trattati dell’Unione Europea,  in alcune parti positiva, in altre parti negativa.

Il Trattato di Lisbona è diventato legge dello Stato: il fatto che il Trattato di Lisbona sia diventato legge dello Stato (io ritengo positivamente sotto tanti profili, anche se vi sono molte criticità) ha comportato, nell'ambito giudiziario e della cooperazione tra Stati membri, la necessità di rendere in qualche modo conciliabili i sistemi di civil law e di common law. In particolare per il processo penale ha determinato il tentativo di rendere conciliabile ciò che viceversa non è ontologicamente conciliabile: un processo di stampo accusatorio con un processo di tipo inquisitorio. 

Dopo la Costituzione, dopo la CEDU e dopo il Trattato di Lisbona il criterio interpretativo è dovuto necessariamente mutare; oggi l'interpretazione (ed è un dato positivo)  deve essere conforme ai principi costituzionali, ma deve essere conforme anche ai principi convenzionali. 

Questo è il quadro teorico di partenza; questi i necessari parametri di riferimento da adottare per un uso corretto delle modalità di interpretazione di una norma: conformità ai principi costituzionali e convenzionali. 

Ma nel concreto abbiamo visto accostare alla parola "interpretazione" una serie di "aggettivi": l'interpretazione adeguatrice, l’interpretazione flessibile, ed addirittura l'interpretazione creativa.

Il Presidente della Corte di Cassazione Carbone, nel corso di una inaugurazione dell'anno giudiziario, si spinse a rivendicare esplicitamente l’opportunità dell’interpretazione "creativa" (il ché vuol dire una giurisprudenza che "crea" una norma altrimenti inesistente).

Tutto questo che cosa ha determinato? 

Ha portato a quello che, con abile creazione lessicale, è stato definito "diritto vivente".

"Diritto vivente" che (attenzione!) ormai è diventato il parametro principale di riferimento nelle decisioni della Corte Costituzionale. Questo, a mio avviso,  è uno dei punti fondamentali che occorre sottolineare per capire che cosa è accaduto nel corso degli anni. 

Non è più, infatti, la norma ad essere sottoposta al controllo di legittimità costituzionale, ma è la norma come interpretata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Dunque è "la norma come interpretata dal diritto vivente" ad essere sottoposta al vaglio della Consulta (che dovrà stabilire se la stessa non nel suo significato originale, ma nella sua applicazione concreta, viola o non viola la Costituzione). 

A mio avviso qualche cosa, nel contesto generale dell’ordinamento, comincia a scricchiolare. Non sto dicendo che è giusto o non è giusto: dico e sostengo che il sistema scricchiola.

E'  stato già sottolineato da altri e non mi voglio ripetere su questo punto. Ma è indubbio che un serio contributo al tema sul quale ci stiamo confrontando lo ha dato un legislatore che, solo usando un eufemismo, può essere definito "scadente"; al nostro legislatore manca finanche una corretta educazione lessicale; le parole hanno un loro significato e non posso essere usate a caso, tanto più quando devono essere inserite in norme di carattere precettivo. 

La democrazia parlamentare era in crisi già prima della pandemia.

Ma ora non possiamo sottacere una circostanza oggettiva: la pandemia ha determinato la scomparsa del Parlamento !

Si legifera solo tramite decreti legge, che sono palesemente in violazione dell’articolo 77 della Costituzione anche perché non di rado hanno un contenuto eterogeneo;  decreti legge che, proprio perché "giustificati" dalla pandemia e dalla emergenza, intervengono con norme variegate,  delle quali il cittadino destinatario neppure è in grado di accorgersene, se non, con fatica, nel momento in cui deve praticamente applicarle.

Un Parlamento incapace ed impreparato e sommerso dai decreti legge che deve sempre convertire ed approvare in fretta per evitarne la decadenza per decorso del termine o perché condizionato dall'abuso della richiesta di fiducia.

Ma lo stesso vale, in realtà, anche per i disegni di legge sottoposti dall'esecutivo al legislativo:  la riforma complessiva dell'intero  sistema penale del nostro ordinamento è stata approvata,  senza alcuna possibilità di seria discussione parlamentare, con due voti di fiducia in entrambi i rami del Parlamento. 

Personalmente qualche problema continuo a pormelo: forse  invecchiando si diventa nostalgici, ma io ancora mi  ricordo di determinate battaglie che abbiamo condotto sulle garanzie e sui diritti e penso che a quelle conquiste, anche se imperfette,  non si debba rinunciare.

Il Prof. Montanari ha chiarito benissimo, questa mattina, quali sono le conseguenze che derivano dalla presenza di un legislatore scadente anche nell'uso del linguaggio.

Non di rado ci confrontiamo  con  norme che violano il principio di legalità come regolato dall'art. 25 della Costituzione,  non soltanto per la loro indeterminatezza, ma anche e soprattutto perché introducono, anziché precise disposizioni, meri "concetti".

Concetti che non sono più norme di carattere precettivo (ed in sede penale la norma deve avere un chiaro contenuto precettivo !!!) ma sono disposizioni che introducono valori e concetti di tipo etico, a fronte dei quali, ovviamente e conseguenzialmente,  viene dato ampio spazio e discrezionalità senza limiti agli interpreti. 

Lo Stato di Diritto si trasforma in Stato Etico: a mio avviso se muore, come sta morendo, lo Stato di Diritto, vivrà  e si accrescerà lo Stato Etico. 

Si tratta di stabilire che cosa ci piace di più e che cosa ci piace di meno (e sappiamo bene, e non devo stare qui a spiegarlo, cosa significa lo Stato Etico!). 

Torno al  titolo della mia relazione. 

Si è completamente invertito il principio; oggi non è più l’interprete ad avere  l'esigenza, laddove la norma non sia da lui gradita, di ricorrere alla  "resistenza interpretativa";  è il legislatore che, preso atto dell’interpretazione creativa, la accetta e, più o meno supinamente, la trasforma in legge. 

Non è più la lepre che fugge dal cane che la insegue: è il cane che si adegua agli insegnamenti della lepre, con la conseguenza che ciascuno, inseguitore e inseguito, finisce per perdere la propria identità. 

Per uscire dalla metafora, il "potere legislativo" e "l’ordine giudiziario trasformatosi in potere" vengono meno in questa maniera al loro inquadramento costituzionale, con l’aggravante che il "potere giudiziario" (più correttamente l’ordine giudiziario trasformatosi in potere) è senza controllo e, in particolare, tramite i "fuori ruolo", si è stabilmente inserito all’interno di un "potere esecutivo",  che, a sua volta, si muove anch'esso senza controllo del "potere legislativo", utilizzando a dismisura  la previsione dei decreti legge e del voto di fiducia. 

Forse è poco parlare di crisi della democrazia parlamentare !!


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Mi limito, per non superare i limiti di tempo del mio intervento, a pochi esempi  su quello che accadeva prima e su quello che accade adesso.

Si è parlato della legge Pecorella  46/06: una legge che, durante la sua gestazione parlamentare,  fu preceduta da una serie di proclami sottoscritti  da parte di molti magistrati e da una mobilitazione senza precedenti della loro associazione. Il Presidente della Corte di Cassazione rilasciò  interviste, paventando un Palazzaccio sommerso dalle carte per effetto del mutamento ed allargamento del disposto della lettera e) del'art. 606 c.p.p..

Un minuto dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, partì la "resistenza interpretativa": proprio chi aveva firmato e sostenuto quei proclami politici,  un magistrato di sicuro valore e preparazione come Nello Rossi,  fu l'estensore il 15 marzo del 2006 della sentenza  che praticamente demolì la portata innovativa della lettera e) dell’articolo 606 cpp, con il famoso "decalogo" dei doveri dell'estensore del ricorso, che, sulla base di una interpretazione restrittiva e formalistica della novella legislativa, ne limitava grandemente gli effetti, ampliando le ipotesi di inammissibilità.   

In pochi giorni  la "resistenza interpretativa" raggiunse il suo scopo:  la legge non piaceva ad ANM e all'ordine giudiziario che aveva cercato di contrastarla politicamente prima che venisse approvata; appena emanata, venne demolita.

Altro esempio: la disciplina sul mandato d’arresto europeo. Ricorderete l'opposizione della magistratura, specie quella associata, alla legge 69/05 di attuazione della decisione quadro;  ma ricorderete anche la sentenza delle Sezioni unite del 30 gennaio 2007 che prospettò esplicitamente l’esigenza di una interpretazione adeguatrice per superare i limiti imposti dall’articolo 18 (che, secondo gli intenti del legislatore, sostenuto da autorevolissimi costituzionalisti,  doveva costituire una barriera per evitare che una norma sovranazionale vanificasse i principi della nostra Costituzione).  

La  menzionata sentenza delle Sezioni Unite iniziò, utilizzando espressamente e senza veli o giri di parole il metodo della "interpretazione adeguatrice", la demolizione di quella barriera (nella fattispecie, andando contro la lettera della legge di attuazione e facendo prevalere la previsione della decisione quadro,  si sostenne che,  se ex art. 18 per la custodia cautelare deve essere previsto un termine e  se negli altri sistemi processuali  sono previsti controlli di tipo diverso senza una indicazione di durata massima,  lo Stato richiesto dell'emissione era legittimato in qualche modo ad adattare, "adeguandola", la esplicita limitazione normativa). 

Non è un caso se pochi giorni fa la Corte Costituzionale, di fronte a problematiche nuove, sempre relative alle limitazioni imposte dall’articolo 18 della legge 69/05,  ha  "deciso di non decidere" e, proprio richiamandosi al diritto vivente, ha rinviato pregiudizialmente la questione all'esame della Corte di Giustizia  CGUE.

Uso un termine un po’ forte, ma temo che il rinvio costituisca un mezzo per prendere ordini e direttive dalla CGUE. Con la conseguenza che la costituzionalità della norma sottoposta al suo vaglio verrà accertata sulla base del "diritto vivente", in questo caso espresso da altra Corte sovranazionale. 

Un terzo esempio: l'articolo 525 c.p.p.  E' stato evocato e ho piacere di  ricordare quello che scrisse, come Giudice della Corte Costituzionale, e nella fattispecie anche come relatore,  il Prof. Giuseppe Frigo a proposito dell’art. 525 c.p.p.  in un’ordinanza di declaratoria di inammissibilità delle questioni che erano state sottoposte alla Consulta. 

Frigo richiamò l’esigenza dell’oralità, l’esigenza dell’ascolto del testimone da parte dell'effettivo giudicante, l'esigenza  finanche di vederlo nella sua gestualità, di constatare il suo eventuale imbarazzo, di ascoltare i suoi silenzi e le sue pause. 

Quella ordinanza è stata recentemente citata dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione:  il mio affetto per Giuseppe Frigo mi ha subito fatto pensare "meno male che non ha avuto modo di leggerle". 

La Corte Costituzionale, richiamando al suo interno i passi salienti dell'ordinanza del 2010,  ma - aggiungo polemicamente -  "interpretandola a modo suo", ha utilizzato proprio quelle stesse parole che ho prima sintetizzato per arrivare ad una conclusione opposta. 

Il giorno dopo la Corte di Cassazione ha di fatto reiscritto  il  525,  praticamente lasciando al giudice di discrezionalmente decidere se si deve procedere o meno alla rinnovazione del dibattimento in caso di mutamento del giudice.

Nella parte di legge delega della riforma Cartabia vi è proprio uno specifico punto diretto a rendere "norma" tale ultima interpretazione della Cassazione. 

Il legislatore si adegua.   

Ultimo breve esempio: il captatore informatico.

Altro che giurisprudenza "creativa" e legislatore che si adegua ! 

In questo caso  andiamo molto oltre e su un tema delicatissimo. 

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2017  ha praticamente rivoluzionato il disposto normativo.

Ha spiegato cosa si deve intendere per "ambiente", trasformando, per adattarlo alle esigenze delle innovazioni tecnologiche,  il significato stesso della parola "ambiente".

Un i-phone viaggia dentro la tasca del captato, al di fuori della situazione logistica prevista dalla norma nel momento in cui è stata scritta e che, non a caso, utilizzava, per limitare gli effetti invasivi,  il termine "ambiente". 

Anziché attendere un adeguamento normativo da parte del legislatore, le Sezioni Unite hanno, tramite una ardita interpretazione,  rivoluzionato la norma per adattarla alle nuove esigenze. 

Credo di non esagerare affermando che è stato ampliato, tramite una creazione giurisprudenziale,  il concetto giuridico di ambiente. 

Nella stessa sentenza delle S.U. è stato letteralmente "creato" il concetto ed il significato giuridico di "criminalità organizzata",  che non era previsto esplicitamente da nessuna norma; tanto  per poter raggiungere lo scopo di estendere l'uso del  captatore informatico a tutte le ipotesi di iscrizioni ex art. 335 c.p.p. di ipotizzate violazione dell'art. 416 c.p.  (e, quindi, non soltanto ai reati di cui all’articolo 51 del codice di procedura penale). 

Nel giro di pochi mesi il legislatore anche in questo caso  si è adeguato. 

E' stata approvata, nella distrazione generale,  la legge Orlando che ha introdotto gli stessi concetti che pochi mesi prima erano stati elaborati dalla  Corte di Cassazione;  di questo argomento, delicatissimo per le implicazioni che si determinano nell'uso di uno strumento di massima incontrollabile invasività quale è il cd. "trojan di Stato", dovrà occuparsi il legislatore delegato per effetto dell'art.1 della legge delega Cartabia, approvata senza discussione parlamentare e con voto di fiducia ( anche se le indicazioni della legge delega su questo specifico punto sono estremamente estese, per cui i "fuori ruolo" del ministero di via Arenula potranno ampiamente decidere la strada che riterranno di percorrere).

Ma anche in questo caso è evidente che la legge delega prevede di  regolamentare ciò che la giurisprudenza ha già in qualche modo regolamentato. 


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E' stato già ricordato, e concludo veramente, quello che ha scritto pochi giorni fa Luciano Violante sulla circostanza della perdita del confine tra il soggetto regolante e il soggetto regolato:  "la determinazione del confine è un esercizio proprio della sovranità della politica; quando la politica non esercita questa funzione, come accade in Italia con alterne vicende a partire dai processi di Mani Pulite, il confine scompare".

Che succede se questo confine scompare?

E' la stessa domanda che hanno posto, sotto  profili diversi, il Prof. Montanari ed il Prof. Ferrua; domanda che si sono posti tutti coloro che sono intervenuti fino a questo momento e sulla quale aspettiamo di sentire il parere del carissimo amico Gaetano Pecorella.

Per capire, alla fine, che cosa fare per superare e/o evitare che ci sia uno sconfinamento non più recuperabile e non più superabile. 

"Che fare?"  è stato detto da molti. 

Il "che fare" in questo momento è un qualcosa di molto difficile, perché poi subentra il pessimismo.  Ma io dico sempre che deve prevalere l’ottimismo della ragione e l’ottimismo del combattimento.

Mi permetto soltanto di ricordare che io ho avuto modo di vivere in presa diretta l’esperienza della modifica dell'art.111 della Costituzione, proprio  quando venivamo insultati dal Presidente della Repubblica Scalfaro con l'accusa di essere "peggiori dei terroristi". 

Ebbene proprio in quei giorni nacque il "nuovo" 111, su pressione dell’avvocatura; una pressione fortissima su questo argomento vitale per la sopravvivenza del processo accusatorio, messo in crisi dalle sentenze della Corte Costituzionale del 1992 e del 1995 e, da ultimo, da quella sull'art. 513 c.p.p del 2 novembre 1998. 

Nessuno di noi, (vero Claudio Botti, me lo puoi confermare?) immaginava che  a distanza di appena un anno saremmo riusciti a vedere approvato l’articolo 111 della Costituzione nell'attuale formulazione. 

Ma è accaduto: perché poi in politica si verificano e si materializzano improvvisamente  dei "momenti magici", per cui quello che appare irrealizzabile invece si realizza.

Allora perché uso l'espressione "ottimismo della ragione"? 

Perché non possiamo rinunziare, perché siamo Avvocati !

Un Avvocato non può rinunziare ai principi del giusto processo, non può rinunziare che sia fatta giustizia , non può rinunziare al rispetto della legalità: abbiamo degli ideali e combattiamo per questi ideali, perché siamo legati ad essi e per tutelare coloro che assistiamo o che chiederanno la nostra assistenza.

Non possiamo abdicare e non possiamo rinunciare al nostro ruolo e alla nostra funzione !!


(*) Domenico Battista: Avvocato romano, già Segretario della Giunta dell'Unione delle Camere Penali Italiane presieduta da Giuseppe Frigo. Memoria storica dell'Unione delle Camere Penali Italiane. Ultras della Roma.

21 dicembre 2021

Opposizione alla richiesta di archiviazione senza indicazione di indagini suppletive: è abnorme il provvedimento del GIP che restituisca gli atti al PM per svolgere l'interrogatorio degli indagati ed eventualmente qualificare diversamente i fatti?





È abnorme il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari, decidendo sulla richiesta di archiviazione, restituisce gli atti al Pubblico Ministero affinché provveda all'interrogatorio dell'imputato, senza indicare ulteriori indagini da compiere?

La seconda sezione (ordinanza n. 36417/2021 al link), sul contrasto giurisprudenziale sussistente, rimette la questione alle Sezioni Unite

20 dicembre 2021

Continuazione ed esclusione della punibilità per particolare tenuità: la parola alle Sezioni Unite




La continuazione tra reati è di per sé sola ostativa all'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo è solo in presenza di determinate condizioni?

La quinta Sezione, con l'ordinanza 38174/2021 (al link), rimette la questione alle Sezioni Unite.

17 dicembre 2021

❌ATTENZIONE: interruzione del portale deposito atti penali in questo fine settimana



Interruzione dei servizi informatici del settore civile, del Portale dei Servizi Telematici e del Portale del Processo Penale Telematico. Modifiche correttive, migliorative ed evolutive

Il Ministero della Giustizia informa che, per attività di manutenzione evolutiva straordinaria si procederà all'interruzione dei sistemi civili al servizio di tutti gli Uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale, nonché del Portale dei Servizi Telematici, incluso il Portale del Processo Penale Telematico, e del Portale delle Vendite Pubbliche con le seguenti modalità temporali:


-  dalle ore 19:00 di venerdì 17 dicembre sino alle ore 08:00 di  

lunedì 20 dicembre c.a., salvo conclusione anticipata delle 

operazioni.

 

Si precisa che, durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Non sarà invece possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici dei distretti coinvolti dal fermo dei sistemi.

Per maggiori informazioni:

https://pst.giustizia.it/PST/it/pst_3_1.wp?previousPage=homepage&contentId=NEW10054



Sospensione condizionale e obblighi ulteriori: il giudice del patteggiamento è vincolato alla lettera della legge o all'accordo delle parti?





Rimesse alle Sezioni Unite le seguenti questioni:

<<1- se, in tema di patteggiamento, il giudice, ratificando l'accordo intervenuto tra le parti, possa, di ufficio, subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena a una delle condizioni previste dall'art. 165, comma primo, cod. pen.  nel caso in cui tale condizione sia rimasta estranea alla pattuizione e, in particolare, se sia possibile subordinarlo alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività in caso di mancato esplicito consenso dell'imputato.

2- Se in tema di prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, il computo della durata di tale misura debba essere effettuato con riferimento al solo criterio dettato dall'art. 165, comma primo, cod. pen. (per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa) oppure con riferimento al criterio desumibile dal comitato disposto degli arti. 18 bis disp. coord. cod. pen. e 54, comma 2, d. lgs. n. 274 del 2000 (non inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi)>>






16 dicembre 2021

Saga Dasgupta: atteso un nuovo intervento delle Sezioni Unite sulla necessità di esaminare l'imputato in caso di ribaltamento peggiorativo (rif. Maestri c. Italia)




In questo blog ci siamo più volte occupati della c.d. saga Dasgupta cioè, in breve, delle vicende legate al cosiddetto ribaltamento peggiorativo in appello e agli obblighi di rinnovazione, ormai previsti per legge (si veda Se riformi, rinnovi. Istruzioni per il giudice di appello. Immediatezza, oralità, ragionevole dubbio e motivazione rafforzata).

V'è che la questione continua ad essere d'interesse tanto da "produrre" ulteriori pronunce delle Sezioni Unite (in questo blog al link1, al link2, al link3).

Adesso, dopo la sentenza Maestri c. Italia (in questo blog La condanna dell'Italia nel caso Maestri e altri e le ricadute sul processo italiano - di Marina Silvia Mori), la prima sezione, con l'ordinanza n. 45179/2021 (al link), ha rimesso alle Sezioni Unite la questione sulla necessità o meno della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante l'esame dell'imputato in caso di overturning.

Si legge nell'ordinanza che passa in rassegna le precedenti pronunce della giurisprudenza europea e italiana:

2. È noto che la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo emessa in data 8 luglio 2021 nella causa Maestri c. Italia ha censurato l'ordinamento processuale italiano per non avere previsto, a garanzia dell'imputato assolto nel primo grado di giudizio e condannato nel processo di appello, uno specifico onere di audizione del medesimo prima di assumere la decisione di condanna. A tal fine è necessario che l'imputato - qualora assente (o, nel caso de quo, contumace) - sia destinatario di una chiamata in giudizio al fine di porlo in condizione di rendere l'esame: a questo scopo non è sufficiente l'ordinaria citazione per il giudizio di appello, ma è richiesta una chiamata specifica con l'indicazione dell'incombente istruttorio da compiersi
...

Pertanto, questa Corte ritiene necessario l'intervento nomofilattico e chiarificatore delle Sezioni Unite sulla effettiva estensione del principio generale contenuto nella sentenza della Corte EDU Maestri c. Italia cit., posto che tale pronuncia impone un dovere conformativo dell'ordinamento interno, per la necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651).

15 dicembre 2021

Le Sezioni Unite intervengono sulla notifica all'imputato in caso di irreperibilità - Informazione provvisoria




Nel caso di domicilio dichiarato, eletto o determinato ai sensi dell'art. 161, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen., il tentativo di notificazione col mezzo della posta, demandato all'ufficio postale ai sensi dell'art. 170 cod. proc. pen. e non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario, integra, senza necessità di ulteriori adempimenti, l'ipotesi della notificazione divenuta impossibile e/o della dichiarazione mancante o insufficiente o inidonea di cui all'art. 161, comma 4, prima parte, cod. proc. pen. In questo caso, di conseguenza, la notificazione va eseguita, da parte dell'ufficiale giudiziario, mediante consegna al difensore, salvo che l'imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi in tal caso applicare le disposizioni degli artt. 157 e 159 cod. proc. pen. (Fattispecie in cui la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza degli ulteriori presupposti necessari ai fini della dichiarazione di assenza).

14 dicembre 2021

LA RIFORMA CARTABIA: NORME IN VIGORE E NOVITÀ DELEGATE - La registrazione del convegno della CPTP




Con la partecipazione di oltre 1.000 avvocati e magistrati, ma non solo, si è svolto ieri il Convegno della Camera Penale di Trapani, con il patrocinio del Coa di Trapani, dal titolo la Riforma Cartabia: norme in vigore e novità delegate.


Con la regia de Il tuo Webinar dell'avvocato Samuele Fazzolari, ne hanno discusso la dottoressa Daniela Troja, presidente della Sezione penale del Tribunale di Trapani, la professoressa Annalisa Mangiaracina, professore associato nell'Università di Palermo, l'avvocato Daniele Livreri, responsabile del blog Foro e Giurisprudenza di CPTP,  e l'avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente di UCPI.

Dopo i saluti dell'avvocato Marco Siragusa, presidente della Camera Penale di Trapani e dell'avvocato Vito Galluffo, presidente del COA di Trapani, i Relatori hanno affrontato tutti gli aspetti della riforma Cartabia.



Al link è possibile il video del convegno.



I numeri del Convegno











Alcune foto






13 dicembre 2021

Diritto di difesa – Normativa emergenziale Covid-19- trattazione scritta – deposito telematico. Il commento di Albertina Pepe (*) a Cass. pen., sez. II, 35243/2021

Nonostante le restrizioni da pandemia il diritto di difesa deve essere posto nelle condizioni di dispiegarsi per intero, soprattutto quando il titolare, attraverso il difensore, lo sollecita con specifica istanza di trattazione orale.



Diritto di difesa – Normativa emergenziale Covid-19- trattazione scritta – deposito telematico (Cost. art. 25 co. 2, 73 co. 3 • cod. proc. pen., artt. 127, 614 • D.L. n. 149/2020 art. 23 • d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 art. 23 comma 8, 23-bis, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176)





Lo stato di eccezione non fa tuttavia venir meno il rispetto dei fondamentali diritti della difesa, derivanti dalla conoscibilità delle disposizioni dettate per il periodo particolare, e dalla esatta identificazione dell'arco temporale durante il quale ciascuna di esse ha avuto vigore. Quel che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo a proposito della legge penale sostanziale (cf. sentenza n. 364/1988), e cioè che "il principio di legalità dei reati e delle pene (art. 25, comma secondo, Cost.) e quello di previa pubblicazione della legge (art. 73, comma terzo, Cost.), implicano l'adempimento, da parte dello Stato, di ulteriori doveri costituzionali, concernenti anzitutto la formulazione, la struttura e i contenuti delle norme penali, in guisa che queste ultime siano riconoscibili dai cittadini", vale a eguale titolo per le norme di carattere processuale.
Fatti di causa e ragioni della decisione. — 1. – Cialdella Francesco propone ricorso per Cassazione sulla base di un unico articolato motivo, contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, intervenuta nel procedimento penale RGNR 54490/2017 nel quale la stessa ha confermato la sentenza del Tribunale Ordinario di Roma Sezione Gip/Gup.
La causa è stata fissata per la pubblica udienza presso la seconda sezione penale della Corte di Cassazione a seguito della richiesta di rigetto del ricorso del Procuratore Generale.

Il ricorrente ha depositato memorie. 

2. - I fatti rilevanti nella presente sede sono i seguenti. 

L’udienza del 10.12.2021 presso la Corte di Appello di Roma sez. II penale -fissata con vocatio notificata al difensore Avvocato Albertina Pepe in data 13.08.2020- pur avendo lo stesso difensore proposto tempestiva istanza per la trattazione orale del giudizio in appello ai sensi dell'art. 23 D.L. n. 149/2020, veniva svolta in camera di consiglio, senza l'intervento delle parti e cartolarmente. 

Il difensore si era recato alla 2^ Sezione penale della Corte capitolina trovando l'aula di udienza chiusa e dopo aver atteso per un'ora, aveva chiesto a un soggetto qualificatosi come assistente di udienza quando sarebbe stato trattato il processo nel quale era impegnato; aveva ricevuto come risposta che esso era già stato definito con trattazione scritta, e che il dispositivo sarebbe stato inviato via pec. 

Da tale circostanza il difensore di Cialdella Francesco ha dedotto con il ricorso presentato alla Corte di Cassazione la nullità della sentenza e ha richiamato a tal fine i principi che regolano il diritto di difesa.

Infatti è documentato che in data 09.11.2020 tempestivamente la difesa di Cialdella aveva provveduto a mezzo pec ed in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto ristori bis n. 149/2020, all’invio alla Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Roma della richiesta di discussione orale per il procedimento a carico del proprio assistito [peraltro ristretto in regime di arresti domiciliari] per l’udienza da celebrarsi in data 10.12.2020. 

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma ai sensi dell’art. 23 comma 2 D.L. 149/2020 in data 26.12.2020 inviava a mezzo pec al difensore di fiducia Avvocato Albertina Pepe le proprie conclusioni chiedendo la conferma della sentenza impugnata, stante l’infondatezza dei motivi d’appello e la congruità in fatto e in diritto della motivazione del provvedimento. 

La Corte di Appello di Roma ignorava l’istanza di trattazione orale dello scrivente difensore e celebrava l’udienza con le forme ex artt. 443 co. 4 e 599 c.p.p confermando la sentenza con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato aveva condannato Cialdella Francesco a pena di giustizia per plurimi reati, uniti per continuazione, di truffa, sostituzione di persona, frode informatica, abusivo accesso a sistemi informatici e indebito utilizzo della carta di credito. 

3. - Il motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ai sensi dell'art. 606 co. 1 lett. c) e lett. e) cod. proc. pen. con riferimento agli art. 178 co. 1 lett. c) e 179 cod. proc. pen., pertanto, la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità. 

La tesi sostenuta con la complessa censura è la seguente.

La validità del giudizio celebratosi presso la Corte di Appello di Roma è ipotecata irrimediabilmente da una palese violazione del diritto alla difesa tecnica, avendo il Giudice d’Appello del tutto inopinatamente ignorato la legittima istanza di trattazione orale presentata dalla difesa dell’imputato. 

Nel caso specifico, si è configurata una nullità a regime intermedio in quanto è stato concretamente menomato il diritto di difesa. Un’efficace ed effettiva assistenza tecnica, intesa come il complesso di diritti, di poteri e di facoltà che le singole norme processuali attribuiscono al soggetto preposto alla difesa, presuppongono lo studio e la conoscenza degli atti del procedimento in cui deve esplicarsi l’attività professionale dell’avvocato e un’attività preparatoria alla difesa tecnica. 

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, le communatorie di nullità di ordine generale e quelle di carattere assoluto, rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt 178 e 179 c.p.p., trovano applicazione anche nei procedimenti camerali partecipati di esecuzione e sorveglianza per effetto della estensiva interpretazione delle disposizioni generali, concernenti l’intervento e l’assistenza dell’imputato ovvero l’assenza del suo difensore. 

Infatti, il difensore in ossequio alla normativa emergenziale aveva tempestivamente provveduto all’invio dell’istanza di trattazione orale del giudizio secondo le modalità in quel momento vigenti e fino a quel giorno utilizzate per l’inoltro della richiesta tramite l’invio della pec alla Seconda Sezione penale della Corte di Appello di Roma. 




4. – Il procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha ritenuto ed argomentato che il difensore avrebbe dovuto inoltrare la richiesta di trattazione orale servendosi "dei sistemi che saranno resi disponibili ed individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informatici e automatizzati", e quindi avrebbe errato nella individuazione delle modalità di invio, perché quest'ultimo è avvenuto alla pec della 2 Sezione penale della Corte di appello di Roma, e non, come prescritto dal decreto del Direttore DGSIA del 9/11/2020, all'indirizzo - che sarebbe stato quello corretto - depositoattipenali2.ca.roma@giustiziacert.it ". Lo stesso P.G. ha però aggiunto nelle conclusioni che, pur se l'interpretazione è quella sollecitata dal rappresentante dell'accusa, in realtà l'art. 23 co. 4 D.L. n. 149/2020 "è stato formulato in maniera non particolarmente chiara", e che "pur se la coincidenza temporale dell'entrata in vigore del d.l. e della pubblicazione del decreto direttoriale rendeva difficile individuare quello stesso giorno (cioè il 9/11/2020) il corretto indirizzo di destinazione della richiesta, (...) il difensore, letta nuovamente e con maggior agio la disposizione, era comunque in tempo per rinnovarla". In altre parole, pur avendo il difensore dell’imputato il giorno 09.11.2021 provveduto all’adempimento secondo le modalità in quel momento conosciute e conoscibili, il Procuratore Generale ha ritenuto che fosse comunque in tempo per rinnovare l’istanza, che cioè il medesimo avvocato avrebbe dovuto inviare una nuova istanza di trattazione orale con la modalità di cui all'art. 23 co. 4 D.L. n. 149/2020 entrato in vigore il 09.11.2020. 

5. - Il motivo del ricorso è fondato. Ritiene la Suprema Corte che la congerie di interventi normativi che si sono susseguiti anche per la disciplina del processo penale nelle varie fasi della pandemia da Covid 19 ha provocato non poca incertezza, con disposizioni che si sono sovrapposte e che sono mutate, talora in pochi giorni, con articoli di leggi di conversione di decreti legge giunti a modificare norme di decreti legge successivi a quello cui si riferiva la legge di conversione, col frequente rinvio per l'espletamento di pur importanti incombenze processuali dalla norma primaria a fonti secondarie, se non a provvedimenti amministrativi. Il tutto si è tradotto nella notevole difficoltà per gli operatori, in primis i difensori, di avere un quadro sempre intellegibile, accentuata dagli impedimenti, a seguito delle necessitate restrizioni, dei contatti diretti con le Cancellerie dei vari uffici giudiziari.

Tuttavia, lo stato di eccezione non fa venir meno il rispetto dei fondamentali diritti della difesa. 

La Corte di Cassazione ha chiarito in seguito ad accertamenti che il decreto del direttore DGSIA, pur recando la data del 9/11/2020, è stato reso noto il giorno successivo - tale deve intendersi il fatto che risulti come 'news' del 10/11/2020 -, e che l'installazione della pec dedicata depositoattipenali2.ca.roma@giustiziacert.it è avvenuta da parte della Cancelleria della 2^ Sezione penale della Corte romana soltanto il 16/11/2020. Pertanto per sette giorni, dal 9/11/2020 - data dell'entrata in vigore del D.L. n. 149/2020 - al 16 successivo, la sola modalità di trasmissione della richiesta di trattazione orale da parte del difensore era quella che in concreto lo stesso difensore aveva adoperato. 

È inoltre certo che della richiesta di trattazione orale non sia stata fatta menzione nel verbale di udienza redatto dalla Corte di Appello di ROMA del 10/12/2020. Infatti, rileva la Suprema Corte di Cassazione che l’udienza è peraltro iniziata alle 9.59, e cioè prima, se pure di un minuto, dell'orario fissato. 

Ritiene, inoltre, la Corte di Cassazione che quanto affermato dal Procuratore Generale il quale ha definito la formulazione del provvedimento "non particolarmente chiara", finisce per un verso per esigere, nella confusa condizione dello stato di eccezione ricordata in precedenza, uno zelo oltre misura: il difensore ha proposto l'istanza il giorno stesso in cui gli era reso possibile col sistema in quel momento disponibile, e non gli si può certo rimproverare di essere stato intempestivo. Finisce per altro verso per avallare che un ufficio giudiziario - nella specie, la 2^ Sezione penale della Corte di Appello di Roma -, una volta, il 9/11/2020, ricevuto un atto trasmesso in modo conforme alle regole quel giorno in vigore, possa ritenerlo tamquam non esset, per il fatto che il sistema informatico di invio sarebbe poi mutato dopo una settimana, peraltro con un atto amministrativo (se pure quello cui ha rinviato la norma del decreto legge).

La Suprema Corte rileva come si tratti certamente di una nullità, poiché la mancata risposta all'istanza di discussione orale ha precluso al difensore di rassegnare le proprie conclusioni nel contraddittorio in presenza, qualora essa fosse stata accolta, ovvero di inviarle per iscritto, qualora - per mera ipotesi - essa fosse stata respinta: ciò si traduce in una evidente lesione del diritto di difesa, relativamente al cui pieno dispiegamento non è stato rispettato il bilanciamento, individuato dal legislatore dello stato di eccezione a seguito della pandemia, fra l'ordinarietà del contraddittorio scritto e la deroga del contraddittorio orale a richiesta delle parti.

* * *

Diritto di difesa e normativa emergenziale in particolare D.L. n. 149/2020. 

1. - La Suprema Corte, con sentenza del 08.07.2021 n. 35243 in epigrafe, si è pronunciata in tema di diritto di difesa in relazione alla normativa emergenziale che si è susseguita nelle varie fasi della pandemia da Covid-19. 

Con tale decisione, il giudice di legittimità, dando ormai per definitivamente chiarite le problematiche attinenti allo svolgimento delle udienze in presenza sottolinea la non poca incertezza che è stata provocata anche per la disciplina del processo penale dall’insieme confuso di interventi normativi che si sono susseguiti in un lasso di tempo molto breve. 

La normativa emergenziale ed in particolare l’art. 23 D.L. n. 149/2020 “[…]Disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19” stabilisce al comma primo il criterio generale secondo cui "fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori", fa salvo il caso che "una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale". Al comma 4 la medesima disposizione sancisce che "la richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. […]" 

L’istanza proposta dal difensore non può certamente essere disattesa dal Collegio giudicante, dunque, una pronuncia del giudice che ignora completamente l’istanza tempestiva pervenuta secondo le modalità disposte dalla legge o da i vari regolamenti, va a determinare una evidente lesione del diritto di difesa da cui scaturisce la nullità del giudizio. 

Duplice è, infatti, la funzione che assolve la previsione di carattere generale contenuta nell’art 178 c.p.p.. Da un lato, sanzionando con la nullità l’inosservanza di disposizioni processuali che non contengono una specifica sanzione, consente di evitare che gravi violazioni comportino semplicemente l’irregolarità dell’atto e che siano ignorati interessi di meritevole tutela, dall’altro costituisce nel sistema delle nullità lo “spartiacque tra nullità relative e gli altri due tipi di nullità” [Galati – Zappalà Gli atti, in Siracusano – Galati Franchina – Zappalà Dir PP I, 310]. 

In altri e più chiari termini l’art 178 c.p.p. costituisce una sorta di passaggio obbligato nell’attività dell’interprete volta a stabilire la sussistenza di una causa di nullità e ad individuare la sua natura ed il regime cui è soggetta. Infatti, in presenza di una violazione di norma processuale occorre verificare innanzitutto se in quella stessa norma sia contenuta o meno una specifica previsione di nullità. 

La funzione propria dell’art 178 c.p.p., ed in particolare la volontà sottesa alla norma di non lasciare senza tutela situazioni processualmente rilevanti, è attuata attraverso la previsione di un effetto sanzionatorio per le violazioni che incidono sui presupposti, e quindi sulla validità del rapporto processuale tradizionalmente inteso, impedendo il realizzarsi delle condizioni che garantiscono il contraddittorio perfetto: l’esistenza di un giudice legalmente precostituito, l’iniziativa e l’intervento del Pubblico Ministero, il valido contradditorio nei confronti dell’imputato e delle altre parti, nonché, in misura minore, della persona offesa e del querelante. 

Per ciò che concerne nello specifico la nullità ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p., oltre al diritto all’autodifesa, deve essere garantito all’imputato il diritto all’assistenza tecnica da parte di un difensore cui siano riconosciuti ed assicurati diritti, poteri e facoltà necessari a tutelare gli interessi dell’imputato. La compressione o la violazione di tale diritto determina la nullità dell’attività compiuta. 

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, le communatorie di nullità di ordine generale e quelle di carattere assoluto, rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt 178 e 179 c.p.p., trovano applicazione anche nei procedimenti camerali partecipati di esecuzione e sorveglianza per effetto della estensiva interpretazione delle disposizioni generali, concernenti l’intervento e l’assistenza dell’imputato ovvero l’assenza del suo difensore. 

Recentemente con sentenza n. 10157 dell’11 marzo 2016 la Sezione VI Penale della Suprema Corte di Cassazione ha statuito che “[…]nell’alveo delle garanzie, certamente rientra il diritto del condannato alla difesa tecnica nei casi in cui la presenza del difensore sia indicata come necessaria […]; da ciò discende che il difetto della presenza del difensore, non a lui imputabile, integra una nullità generale ed assoluta ex artt 178 lett. c), e 179 c.p.p., rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. E non cambia qualcosa la presenza del difensore d’ufficio, chiamato in sostituzione ex art 97 co 4 c.p.p. […]”. 

La Corte dii Cassazione, pertanto, ha affermato da tempo, a Sezioni Unite, che l’art 97 co 1 c.p.p. prevede la designazione del difensore d’ufficio solo in via residuale, qualora l’imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia “rimasto privo” e che una sostituzione effettuata in assenza di condizioni di legge è illegittima, in quanto confligge con il principio di immutabilità del difensore e pregiudica l’attività preparatoria alla difesa, imprescindibile in un processo di parti, non si tratta della bravura o meno del difensore d’ufficio, bensì di una preparazione adeguata per il singolo processo, della conoscenza delle carte processuali e della persona assistita. Si assiste ad un impedimento in concreto della partecipazione del difensore di fiducia all’udienza e, conseguentemente, ad una negazione della difesa tecnica e qualificata a cui il condannato ha diritto. 

A tal proposito la Cassazione Penale a Sezioni Unite con Sentenza del 26.03.2015 ha stabilito che “[…]nel sistema processuale, infatti, le nullità assolute si correlano soltanto a “patologie radicali” del processo, che impedendone la reale evoluzione, ne consentono uno svolgimento solo “apparente”, senza un giudice “capace”, ovvero senza l’iniziativa del pubblico ministero, senza la citazione dell’imputato o senza la partecipazione del difensore quando questa sia obbligatoria […] l’opzione ermeneutica della proliferazione delle nullità assolute oltre i casi tassativamente contemplati dalle norme, estendendo l’intrinseca insanabiltà del vizio oltre le reali ipotesi di “radicabilità della patologia”, contraddice l’essenza stessa del processo e ne compromette gli equilibri, aprendo il varco alla opportunistica scelta delle parti sull’an e su quando far valere l’invalidità in funzione del pronostico della decisione”, in contraddizione con i canoni di economia ed efficienza processuali del principio costituzionale della durata ragionevole del processo sancito dall’art 111 co 2 ultimo inciso Costituzione, il quale comporta, anche a carico della difesa, l’essenziale onore dell’esercizio dei relativi diritti nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge […]”. 

I punti di diritto proposti, hanno offerto alle Sezioni Unite l’opportunità di chiarire alcuni fondamentali concetti che coinvolgono il diritto di difesa tecnica nella sua accezione ampia e rigorosa. Vale la pena di ricordare che l’art. 24, comma 2, Cost., nel prevedere l’inviolabile diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, ricomprende i due coessenziali versanti della difesa materiale (o autodifesa) e di quella tecnica ancorata alla presenza indispensabile dell’avvocato che, al fianco dell’imputato, consente di realizzare la parità delle armi e il contraddittorio. L’ampiezza delle garanzia è un’acquisizione relativamente recente, ancorata alla logica probatoria come premessa di una difesa effettiva, divenuta definitivamente patrimonio della cultura giuridica solo con l’avvento del codice di procedura penale del 1988. Anche se, prima di questa data, la dottrina aveva già avvertito come l’essenza del diritto doveva essere ravvisata non solo nella presenza fisica del difensore (profilo statico), quanto piuttosto nella possibilità concreta di “difendersi provando” (profilo dinamico). La interrelazione tra versante probatorio e difesa hanno scandito un percorso virtuoso, man mano compiuto fino a raggiungere la diffusa convinzione che i due segmenti esprimono la medesima esigenza e partecipano ugualmente alla realizzazione del giusto processo. Col passare del tempo, infatti, il principio costituzionale di difesa veniva collegato, in modo sempre più aderente, alle esigenze probatorie e gli si riconosceva un significato connesso a comportamenti significativamente attivi in tale ambito. Senza ovviamente rinunciare ai presidi garantisti espressi dalla presenza costante del difensore tecnico ed alla partecipazione concreta dell’imputato. Ma il solo versante statico non era ritenuto sufficiente ad esaurire le potenzialità che la garanzia esprimeva nella sua proiezione dinamica. Era assodato che la funzione di mera critica della prova, tipica del codice di procedura penale del 1930 e più in generale dei modelli ispirarti alla cultura inquisitoria, non potesse esaurire la valenza del diritto di difesa, naturalmente proiettato verso un reale contraddittorio per la prova (diremo oggi), sideralmente distante e diverso dalla prima. Non più solo “presenza del difensore” in funzione di garanzia ma «pregnanti poteri probatori inseriti in uno scenario procedimentale sufficientemente utile a dare concretezza alla funzione difensiva». Per lunghi anni, infatti, le prospettive concrete del diritto di difesa sono state sempre tutte concentrate sull’aumento degli spazi di intervento del difensore tecnico, strada attraverso la quale si è sviluppato il tentativo di “recuperare il principio di parità delle armi interpretato solo - ma si faceva di necessità virtù - come ‘pari qualificazione dei contendenti’, con esclusivo riferimento al riequilibrio delle ‘qualità’ tecniche delle parti”. Nessuna attenzione veniva posta al versante funzionale delle ‘pari opportunità probatorie’. «Il sistema, imperniato sull’istruzione, che concepiva appena l’idea di un possibile contributo probatorio dell’imputato o del suo difensore, non poteva spingersi fino ad ipotizzare l’esigenza di un vero contraddittorio per la prova» . 

La riprova di questa visione può essere riscontrata nel fatto che la Corte Costituzionale, fino al 1988, ha sempre assegnato un’assoluta prevalenza alla difesa tecnica rispetto a quella materiale ed in questa direzione ha tentato di ampliare gli spazi di intervento del difensore tecnico, ponendo solo una parziale attenzione alle esigenze della difesa materiale, senza riconoscere le interrelazioni esistenti tra la funzione difensiva e le modalità (o le esigenze) di formazione della prova . 

Le successive vicende legislative, dall’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988 fino alla legge costituzionale di modifica dell’art. 111 Cost., hanno assestato il sistema normativo, tentando di equilibrare la presenza delle parti nell’ottica della piena realizzazione del contraddittorio, principio fondamentale della giurisdizione. Si è così compreso che è quest’ultimo a dare concretezza al diritto di difesa ed alla parità delle armi, versanti dotati di autonomia (ad esempio, nella prospettiva della realizzazione della presunzione di innocenza) ma anche funzionali ad esso nella misura in cui ne consentono la effettività. L’attenzione si è dunque correttamente spostata su entrambi i versanti del diritto di difesa (tecnica e materiale) riconoscendo la coessenzialità dei due ambiti, esplicativi di due garanzie connesse nella prospettiva del giusto ed equo processo. 

Di tal che, mentre l’imputato può anche rinunciare a partecipare al processo, la presenza del difensore tecnico è irrinunciabile proprio per la sua vocazione a rappresentare un ambito pubblico (la realizzazione della giurisdizione) più che un mero interesse privato. Questa peculiarità, pur non connotando in modo differente i due segmenti che compongono il diritto di difesa, riconosce la loro piena autonomia e la necessità di assicurare ad entrambi la massima tutela. La piena espansione del diritto, però, pur travalicando la mera presenza del difensore, la presuppone come presidio ineludibile. In questa ottica, deve iscriversi il riconoscimento, ad opera del codice di rito del 1988, della possibilità di far valere, quale causa di rinvio dell’udienza, il legittimo impedimento dell’avvocato. Se, cioè, non si assicura la effettiva presenza dell’avvocato non è possibile affrontare il tema delle declinazioni probatorie della garanzia.

In questa prospettiva, le Sezioni Unite hanno sottolineato come nel codice di procedura penale sia «prevista la partecipazione dell’accusa e della difesa su un piano di parità» funzionale alla realizzazione di un “processo di parti” ove l’attività del difensore è, al pari di quella del pubblico ministero, diretta alla «ricerca, individuazione, proposizione e valutazione di tutti gli elementi probatori e nell’analisi della fattispecie legale». Sul profilo dinamico la Corte di legittimità differenzia la mera assistenza dalla più pregnante partecipazione.

Dal punto di vista generale, quindi, la difesa non può ridursi «ad una mera formale presenza di un tecnico del diritto» che non «sia in grado di padroneggiare adeguatamente il materiale di causa». 

Al condivisibile approccio, andrebbe aggiunto il richiamo all’essenziale funzione del difensore tecnico (mai disgiunta dalla partecipazione dell’interessato) nella attuazione del contraddittorio, quale modo dialettico della giurisdizione e quale metodo dialogico di formazione della prova. La premessa consente di affrontare i temi di diritto specifici con la convinzione che essi sono strumentali alla realizzazione di una effettiva difesa e vanno, dunque, valutati in questa prospettiva ontologica.

Ed anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha, più volte, sottolineato la necessità di assicurare all’imputato, nell’ottica delineata dall’art. 6 CEDU, un processo equo (Corte EDU, 8-12-2009, Previti c. Italia; 611-2007, Hany c. Italia). È dunque condizione indefettibile che la possibilità di un adeguato esercizio del diritto di difesa venga comunque assicurata, in qualunque modulo procedimentale e in qualunque fase processuale. Tale conclusione si impone a maggior ragione laddove la regiudicanda si trovi in fase decisoria e si discuta quindi della fondatezza dell’imputazione, che tanto in primo grado che in appello, attribuisce al giudice la piena cognizione del merito dell’accusa, con la conseguente necessità di esaminare approfonditamente e di sottoporre ad un adeguato vaglio dialettico, nel contraddittorio delle parti, ogni risultanza acquisita. 

Del resto, per quanto attiene specificamente al giudizio camerale di appello, l’art. 2, n. 93), legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale) prevede che quest’ultimo debba svolgersi, allorché l’impugnazione abbia esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche, l’applicabilità di sanzioni sostitutive o la concessione di benefici di legge, nel contraddittorio delle parti. 

A maggior ragione, la necessità del contraddittorio è da ritenersi ineludibile allorché la decisione abbia per oggetto la responsabilità dell’imputato, la qualificazione giuridica del fatto ed ogni altra questione di merito. Ed appare difficile sostenere che, laddove si assuma con specifica norma ad hoc che la difesa debba proporre con specifica istanza la trattazione orale e che la Corte di merito neanche prende in considerazione detta istanza, il contraddittorio possa non ritenersi vulnerato.

È consolidato e condiviso l'orientamento della Suprema Corte richiamato nella sentenza in commento secondo cui "[…]la nozione di "intervento dell'imputato" non può essere (...) restrittivamente intesa nel senso di mera presenza fisica dell'imputato nel procedimento, ma come partecipazione attiva e cosciente del reale protagonista della vicenda processuale, al quale deve garantirsi l'effettivo esercizio dei diritti e delle facoltà di cui lo stesso è titolare[…]" (Cass. Sez. I sentenza n. 4242 del 20/06/1997 dep. 18/07/1997 Rv. 208597). Tale principio affermato dal giudice di legittimità con riferimento all'interrogatorio di garanzia, vale in termini generali, e ben può correlarsi alla partecipazione del difensore alla discussione orale.

D'altronde, la Suprema Corte di Cassazione ha anche affermato proprio in tema di disciplina emergenziale che "[…]in tema di procedimenti innanzi alla Corte di Cassazione regolati dagli artt. 127 e 614 cod. proc. pen., nel vigore della disciplina emergenziale relativa alla pandemia da Covid-19, di cui all'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, deve essere adottata la forma ordinaria di trattazione quando, nel caso di più ricorsi proposti avverso lo stesso provvedimento, l'istanza di trattazione orale sia stata formulata tempestivamente anche da una sola delle parti legittimate[…]". (Sez. I sentenza n. 8863 del 18/11/2020 dep. 04/03/2021 Rv. 280605) Se ciò vale davanti al Giudice di legittimità e con istanza di trattazione orale proposta soltanto da taluna delle parti, deve a fortiori valere nel giudizio di appello, quando - come è nella specie - l'imputato sia uno soltanto.

Va altresì ricordato che "[…]nel procedimento di appello, nel vigore della disciplina emergenziale pandemica, la mancata comunicazione in via telematica delle conclusioni del pubblico ministero alla difesa dell'imputato, prevista dall'art. 23-bis, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito in legge 18 dicembre 2020 n. 176, integra un'ipotesi di nullità generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. […]"(Cass. Sez. 5 sentenza n. 20885 del 28/04/2021 dep. 26/05/2021 Rv. 281152). Nella motivazione richiamata la Corte ha spiegato che "[…]in funzione del carattere "cartolare" del giudizio, (...) la nozione di intervento dell'imputato non può essere intesa restrittivamente nel senso di presenza fisica, ma come partecipazione attiva e cosciente, con garanzia effettiva dei diritti e facoltà di cui è titolare[…]". 

In conclusione, nonostante le restrizioni da pandemia il diritto di difesa deve essere posto nelle condizioni di dispiegarsi per intero, soprattutto quando il titolare, attraverso il difensore, lo sollecita con specifica istanza di trattazione orale.



(*) Albertina Pepe: Avvocato iscritta all'albo degli avvocati di Roma e Patrocinante in Cassazione. Laureata presso l’Università degli studi di Salerno con tesi in Procedura Penale sui riti alternativi dal titolo: il giudizio abbreviato e la Legge “Carotti” n 479/1999. É altresì componente della commissione di Procedura Penale e Difese d'Ufficio presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma (linke componente della rivista CENTOUNDICI della Camera Penale di Roma (link)

 



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