Qui in commento - per la rubrica opinioni e documenti - una questione di nullità del decreto che ha disposto il giudizio immediato e di illegittimità costituzionale dell'art. 455 comma 1 c.p.p., che trae spunto da una vicenda processuale.
Il Caso. Nel 2017 il pubblico ministero iscrive nel registro notizie di reato i nominativi di alcuni indagati. Nel 2018 il pubblico ministero chiede l'archiviazione per tutti gli indagati. A seguito dell'udienza ex art. 409 comma 2 c.p.p., il giudice per le indagini preliminari rigetta la richiesta e (i) ordina nuove indagini; (ii) ordina ulteriori iscrizioni nel registro notizie di reato a carico di soggetti (sino ad allora) non indagati. L'ordinanza del giudice per le indagini preliminari è del 21 dicembre 2018 e risulta depositata in pari data presso la sua cancelleria . Viene comunicata al pubblico ministero in data 21 gennaio 2019.
Se è così: a) il 21 gennaio 2019 il pubblico ministero aveva notizia che il giudice per le indagini preliminari gli aveva "ordinato" nuove iscrizioni nel registro notizie di reato; b) ma il pubblico ministero procedette alle nuove iscrizioni soltanto il 18 febbraio 2019. Da quella data (18 febbraio 2019), il pubblico ministero ha poi preteso di far decorrere il termine di novanta giorni per l'esercizio dell'azione penale nelle forme del rito immediato (la richiesta di giudizio immediato risulta depositata il novantesimo giorno, cioè il 19 maggio 2019, assumendo come termine di computo proprio il 18 febbraio 2019, anziché il 21 gennaio 2019).
La questione. La questione attiene agli obblighi del PM sulle iscrizioni nel registro degli indagati, alla decorrenza dei termini d'indagine per gli sbocchi processuali che da tale iscrizione derivano e, infine, al (possibile?) controllo giurisdizionale.
Il termine dei novanta giorni per l'esercizio dell'azione penale nelle forme del rito immediato c.d. ordinario: la decorrenza. Occorre, in primo luogo, stabilire se il termine di novanta giorni decorra da epoca immediatamente prossima al 21 gennaio 2019 oppure no. A fronte dell'ordine di iscrizione del giudice per le indagini preliminari, il pubblico ministero deve compiere la <<attività che presuppone necessariamente l'iscrizione, dovendosi osservare in materia le regole di legalità formale imposte dall'art. 335 c.p.p., al cui rispetto è in ogni caso obbligato l'organo inquirente>> (cfr. Cass. pen., SS.UU. n. 4319 del 28.11.2013, dep. 31.1.2014). Com'è noto, l'art. 335 c.p.p. prescrive che il pubblico ministero <<iscrive immediatamente ogni notizia di reato che gli perviene...>>. Per immediatamente deve intendersi subito, non appena avutane notizia. Nel caso in esame, il pubblico ministero ha notizia dell'ordine di iscrizione il 21 gennaio 2019, ma vi ha dato esecuzione soltanto il 18 febbraio 2019. Deve quindi concludersi nel senso che il termine dei novanta giorni, decorre dalla data di effettiva conoscenza (21 gennaio 2019).
Il termine è un requisito essenziale del giudizio immediato. Com'è noto, il giudizio immediato può essere richiesto (e può essere disposto) ricorrendo tre condizioni: 1) la non decorrenza dei novanta giorni dalla data di iscrizione della notitia criminis; 2) l'evidenza della prova; 3) l'interrogatorio (o l'invito a renderlo) dell'indagato. Risolvendo una annosa questione sulla natura (ordinatoria anziché no) del termine dei novanta giorni, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr. Cass. pen., SS.UU., n. 42979 del 14.10.2014, Squicciarino) ha affermato che «l'omesso rispetto dei termini [de quibus] ... ha rilievo sia come insussistenza di un presupposto necessario ed equipollente agli altri ai fini della corretta instaurazione del giudizio sia come elemento negativo della evidenza della prova». In altri termini, inosservato il termine dei novanta giorni ne deriva un vizio sia formale sia sostanziale: la mancanza del requisito di evidenza della prova.
In casi simili, mancano quindi i presupposti del rito. Ne consegue, sempre secondo il dictum a SSUU da ultimo citato, che il giudice per le indagini preliminari, richiesto della emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, deve rigettare la richiesta del pubblico ministero per mancanza dei presupposti. Infatti, l'assenza del requisito dei novanta giorni si traduce in una presunzione di assenza dell'evidenza della prova (<<traducendosi in una sorta di presunzione legale di non evidenza probatoria nei casi in cui le indagini si protraggano oltre tre mesi>>, cfr. Cass. pen., SS.UU., n. 42979 del 14.10.2014, Squicciarino).
Ma quid iuris se il GIP è disattento o non si avvede della violazione della regola del termine? La violazione è deducibile innanzi al giudice del dibattimento?
Occorre fare una breve premessa. Nella elaborazione giurisprudenziale è pacifico che:
a) il giudizio immediato, attraverso la eliminazione dell'udienza preliminare, <<non è privo di riflessi per i diritti difensivi, in quanto esclude il controllo dell'indagato sulla necessità e sulla opportunità del rinvio a giudizio: tale controllo si configura come un diritto procedimentale>> (Cass. pen., SS.UU., n. 42979 del 14.10.2014, Squicciarino);
b) <<... il punto di equilibrio tra le opposte esigenze – la rapidità del processo e il diritto a non subire un dibattimento immotivato – è garantito nel sistema attraverso il sindacato operato dal giudice per le indagini preliminari, effettuato inaudita altera parte>> (SSUU cit.).
In altri termini: a) l'udienza preliminare costituisce un diritto dell'imputato; b) ad essa si può ovviare a due condizioni: b.1) per rinuncia dell'imputato; b.2) per la ricorrenza dei presupposti previsti dall'art. 453 c.p.p..
In quest'ultimo caso, il controllo dei requisiti previsti dal sistema (90 giorni, evidenza e interrogatorio) è equipollente al giudizio prognostico del giudice dell'udienza preliminare, essendo assicurata una sorta di contraddittorio (con l'interrogatorio o con l'invito a renderlo). E' certamente differente, infatti, la condizione dell'imputato nei cui confronti l'azione penale sia esercitata in forma ordinaria: egli ha la possibilità di accedere al fascicolo del pubblico ministero e di chiedere un interrogatorio a “carte scoperte” (successivamente alla notifica dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p.). Senza dimenticare che ha la possibilità di rendere dichiarazioni in udienza preliminare, alle medesime ordinarie condizioni di “conoscenza degli atti”. Diversamente nel caso del rito speciale, che proprio per questo è soggetto a regole ferree di deroga.
E, dunque, riassumendo: l'udienza preliminare è un diritto, surrogabile solo in presenza di una scelta legittima (rinuncia) o di un'opzione processuale del pubblico ministero, ma ricorrendo determinati presupposti a carattere tassativo.
In dottrina si è sostenuto che il mancato rispetto del limite temporale costituisce un vizio dell’atto ex art. 178 lett. c) c.p.p. in quanto <<non è seriamente dubitabile che qualora sia stabilito un modello legale tipico di giudizio nel quale si preveda che la richiesta del p.m. avvenga entro uno specifico termine, allora ciò significa che la specialità del provvedimento riposa anche nel rispetto del dato temporale e che il difetto di questo non può che comportare un vizio procedurale>>. La celebrazione dell’udienza preliminare, “filtro delle imputazioni azzardate”, è un autentico diritto dell’imputato.
Conforta l’interpretazione, avvallata dalla sentenza a SSUU citata, la espressa previsione legislativa di un vaglio giurisdizionale in ordine alla richiesta di rito immediato, dovendosi ritenere, argomentando a contrario, che diversamente il legislatore avrebbe dato facoltà al P.M. di esercitare direttamente l'azione penale (ubi lex voluit doxit ubi noluit tacuit).
Proprio per la ragione da ultimo ricordata, il giudice per le indagini preliminari, destinatario della richiesta di emissione del decreto che dispone il giudizio immediato avanzata dal pubblico ministero, deve sempre verificare la sussistenza dei presupposti formali di accesso al rito speciale immediato invocato dalla pubblica accusa e, laddove rilevi la mancanza dei presupposti di legge, deve trasmettere gli atti al pubblico ministero e non emettere il decreto di giudizio immediato.
Invero, secondo il già riferito orientamento giurisprudenziale, spetta al giudice di verificare la rispondenza dei requisiti (un “potere-dovere” previsto anche dalla legge delega al nuovo c.p.p., art. 44 L. 81/1987). Invero, la mancata celebrazione dell’udienza preliminare, attraverso l’accesso ad un rito immediato non ammissibile per carenza dei presupposti di legge, priva l’imputato di un diritto difensivo (quello all'avviso ex art. 415 bis e alle prerogative ordinarie (l'interrogatorio a “carte note” e l'udienza preliminare).
Come ha osservato la dottrina <<esclusa l’inammissibilità, resta l’art. 178 lett. c) c.p.p.: l’imputato ha interesse all’udienza preliminare luogo di un contraddittorio utile alla difesa; il pubblico ministero l’ha saltata, fuori dai limiti temporali in cui poteva; l’imputazione risulta nulla e tale vizio contamina gli atti consecutivi (art. 185 c.p.p.); nullità rilevabile ex officio in primo grado; se nessuna l’ha dedotta ed il Giudice non la rileva, è sanata>>.
A ben vedere, nel caso in esame, il vizio del procedimento sembra riconducibili a tre nullità: le prime due, a regime intermedio, ex art. 178 lett. c) c.p.p. in relazione all'intervento dell'imputato (vocatio in iudicium) e alla sua assistenza (l'interrogatorio svolto su un materiale probatorio privo del requisito di evidenza e con “conoscenza limitata degli atti”); la terza, nullità assoluta, per violazione dell'art. 178 lett. b) c.p.p. con riferimento alla irritualità dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero.
Secondo la Corte di Cassazione «non è abnorme il provvedimento con il quale il tribunale dichiara la nullità del decreto di giudizio immediato per l’avvenuta trasmissione della relativa richiesta oltre il termine di novanta giorni, in quanto non si pone al di fuori dell'ordinamento giuridico, rientrando invece nel normale esercizio dei poteri e dei doveri che competono al giudice del dibattimento, né determina la stasi del processo, potendo il p.m. comunque promuovere il giudizio ordinario» (Cass. Sez. VI 31/01/2003 n. 8878) . Sennonché, proprio la sentenza a SS.UU., n. 42979 del 14.10.2014, ha statuito che «la decisione con la quale il giudice delle indagini preliminari dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato» . Posta in questi termini la questione sembrerebbe in effetti preclusa ad ogni eccezione, con la conseguenza che omesso il controllo da parte del GIP sarebbe poi precluso ogni sindacato da parte del giudice del dibattimento. E si comprende: se il giudice del dibattimento per decidere la questione fosse costretto a "metter mani" nel fascicolo del PM, l'imputato potrebbe "decidere", magari agitando questioni dilatorie e infondate, il giudice del suo processo, rendendo di volta in volta incompatibile quello designato.
Tuttavia, il principio di diritto di cui all'arresto a SS.UU. Squicciarino cit. deve essere letto in relazione alla questione deferita al Collegio di legittimità. Se in quel contesto, le SSUU hanno ritenuto preclusa al giudice del dibattimento la verifica sulla erroneità della decisione del giudice per le indagini preliminari sul rilievo che al tribunale non è dato verificare gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, e dunque gli è impedita la verifica della evidenza probatoria, ci si deve orientare diversamente laddove la verifica possa essere effettuata dal giudice dibattimentale senza "accedere" agli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento.
Invero, come s'è osservato, nella sentenza viene stabilita una relazione (una presunzione legale) tra il termine dei novanta giorni e l'evidenza probatoria, di tal che mancando il termine si presume manchi l'evidenza probatoria. Se è così, ci si deve diversamente orientare nel caso sopra segnalato, nel quale al giudice non è richiesto di verificare l'evidenza probatoria (ossia di accedere al fascicolo del pubblico ministero), ma semplicemente di accertare – sarebbe più corretto dire constatare - che i 90 giorni erano già decorsi al momento della richiesta del pubblico ministero (da questa inosservanza derivando l'assenza della evidenza probatoria, senza necessità di “accesso agli atti” del fascicolo del pubblico ministero). Opinando diversamente, si dovrebbe infatti concludere per l'autarchia della delibazione del giudice per le indagini preliminari, anche nel caso in cui essa fosse manifestamente errata. Il che, ovviamente, non fa parte del sistema (solo il giudizio di legittimità ha connotati di autarchia, che peraltro va progressivamente perdendo). S'aggiunga che se la legge delega al nuovo codice di rito ha previsto il potere/dovere del giudice al controllo sull'azione penale esercitata dal pubblico ministero, sarebbe irragionevole circoscrivere tale sindacato ad un solo giudice (quello per le indagini preliminari) e non ritenerlo esteso anche ad altro giudice (quello del dibattimento).
A ritenere diversamente, la questione si presta del resto a rilievi di legittimità costituzionale dell'art. 455 c. 1 c.p.p. per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 111 Costituzione.
Sull'articolo 3 Costituzione si osserva: l'art. 550 c. 3 c.p.p. consente al tribunale di disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero laddove questi abbia esercitato l'azione penale con citazione diretta a giudizio anziché con richiesta di rinvio a giudizio. Stabilisce quindi un ulteriore diritto all'udienza preliminare per l'imputato tratto erroneamente a giudizio in via diretta. Ne segue che viola il principio di eguaglianza la mancata previsione di censurare l'errato esercizio dell'azione penale per i reati più gravi (quelli che “passano” dall'udienza preliminare), diversamente da quanto avviene per i “reati minori” da citazione diretta a giudizio. Ancora sull'art. 3 Costituzione si osserva: la mancata previsione per il giudice del dibattimento di controllare la (errata) decisione del giudice per le indagini preliminari, viola anche il principio di ragionevolezza. Ciò è tanto più vero sol che si consideri che dopo la sentenza a SSUU n. 42979/2014 il requisito della evidenza probatoria non richiede un apprezzamento da parte del giudice del dibattimento, essendone presunta la carenza dal mancato rispetto del termine.
Sull'art. 24 Costituzione si osserva: se l'udienza preliminare è un diritto, la privazione di esso, su presupposti errati, viola il diritto di difesa.
Sull'art. 76 Costituzione si osserva: l'art. 44 della legge delega al c.p.p. dispone il “potere/dovere” del giudice di decidere sulla richiesta del pubblico ministero. Non v'è ragione per ritenere che il “giudice” debba identificarsi con il giudice per le indagini preliminari e non anche con il giudice della fase e/o del grado successivi.
Sull'art. 111 Costituzione si osserva: il diritto all'udienza preliminare trova ragione nelle esigenza dell'imputato di vedere definita in tempi rapidi la sua questione processuale. A tale diritto, nel sistema del giudizio immediato, supplisce l'interrogatorio che è però reso su un materiale probatorio consolidato, ignoto all'indagato (“evidente” nella definizione codicistica). Nel caso segnalato, manca l'evidenza per il decorso del termine di novanta giorni, con la conseguenza che l'interrogatorio non ha assicurato i requisiti richiesti dall'atto di garanzia, non essendo intervenuto su un compendio di “evidenza probatoria”.
Il caso evidenzia quindi, a parere di chi scrive, una nullità del decreto che ha disposto il giudizio immediato per violazione degli artt. 453 comma 1 c.p.p.. in relazione agli artt. 178 lett. b) c.p.p.. con profili, in alternativa, di illegittimità costituzionale dell’art. 455 comma 1 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24, 76 (in relazione all’art. 44 L. 81/1987) e 111 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento possa delibare sulla ritualità del decreto che dispone il giudizio immediato e, verificatane la carenza dei presupposti, ordinare la trasmissione degli atti al pubblico ministero.