17 ottobre 2020

Le Sezioni Unite: in materia di violenza sessuale, l'abuso di autorità sussiste anche nei rapporti privati

 


Con la sentenza n. 27326 dell'1 ottobre 2020, Pres. Giacomo Fumu, Rel. Luca Ramacci, le Sezioni Unite, rivedendo il proprio orientamento precedente, hanno affermato che <<l'abuso di autorità cui si riferisce l'art. 609 bis c.p., comma 1, presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali>>.
La sentenza si segnala all'attenzione dei lettori perché in passato le medesime Sezioni Unite (Sez. U, n. 13 del 31/05/2000, PM, Rv. 216338) avevano, sia pure incidentalmente, affermato un principio opposto ovvero che l'abuso di autorità di cui all'art. 609 bis c.p. comma 1, presuppone nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico. In quell'occasione le Sezioni Unite avevano escluso la configurabilità dell'art. 609 bis c.p. comma 1, nei confronti di un insegnante privato che aveva compiuto atti sessuali con un minore.
Nel caso in esame, analogo a quello giudicato nel 2000, le Sezioni Unite hanno, come detto, cambiato indirizzo.
Il caso: in esito a giudizio abbreviato, il ricorrente era stato condannato per il delitto previsto e punito dagli articoli 81 c.p., comma 2 e art. 609 quater c.p., comma 4 (così riqualificata l'originaria imputazione riferita agli articoli 81 c.p., comma 2609 bis c.p.  e art. 609 ter c.p., n. 1), perché, quale insegnante privato, con abuso di autorità, aveva costretto due alunne, minori degli anni quattordici, a subire ed a compiere su di lui atti sessuali. Il primo giudice aveva <<qualificato il fatto in termini di lieve entità, valutando come modesto il grado di violenza ed offensività insito nei comportamenti accertati>>.
Appellata la sentenza - dall'accusa pubblica e da quella privata, ndr - la Corte d'appello aveva riqualificato i fatti sussumendoli nell'imputazione originaria (81 c.p., comma 2609 bis c.p.  e art. 609 ter c.p., n. 1) e, per l'effetto, ha riformato la sentenza aumentando il trattamento sanzionatorio.
Era stato quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza di appello. Il ricorrente aveva dedotto, tra gli altri motivi, violazione di legge quanto all'interpretazione fornita dal giudice di appello in ordine all'abuso di autorità di cui all'art. 609 bis c.p. comma 1.
La Terza Sezione penale della Corte di Cassazione aveva rimesso alle Sezioni Unite, rilevando la sussistenza di due diversi orientamenti del giudice della nomofilachia: un primo orientamento riteneva che l'abuso di autorità (art. 609 bis c.p. comma 1) fosse configurabile solo quando l'agente rivesta una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico; secondo un altro orientamento, al contrario, la mancanza di pubblicità della posizione autoritariva, comporterebbe l'applicazione della diversa ipotesi prevista dall'art. 609 quater c.p..
La soluzione della questione prospettata attiene all'ambito di applicazione dell'art. 609 bis c.p. comma 1, il quale punisce gli atti sessuali commessi con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa.
Secondo l'orientamento delle Sezioni Unite del 2000, seguito da una parte delle successive Sezioni semplici, l'abuso d'autorità sarebbe assimilabile con l'abuso della qualità di pubblico ufficiale, sicché il fatto non sarebbe riconducibile al caso del privato, quale certamente è l'insegnante. In tal senso si era, ad esempio, orientata Cass. Sez. 3, n. 2283 del 26/10/2006, dep. 2007), che muovendo dalla nuova figura di violenza sessuale (L. 6 febbraio 2006, n. 38) introdotta al comma 2 dell'art. 609 quater c.p., e rilevato che essa sanziona proprio l'abuso di autorità riferibile a "poteri privatistici", concludeva nel senso della impossibilità di distinguere tra l'abuso dell'art. 609 bis c.p. comma 1 e l'abuso di potere tutorio previsto proprio dal "nuovo" comma 2 dell'art. 609 quater c.p.. In quella decisione, si evidenziava che tale soluzione fosse l'unica idonea a coordinare la lettura sistematica delle norme, riconducendo il carattere pubblicistico dell'abuso di autorità all'art. 609 bis c.p. comma 1 , e quello privatistico all'art. 609 quater c.p., comma 2.
Altro orientamento assumeva invece che il concetto di abuso di autorità fosse più ampio e comprensivo anche dei rapporti di tipo privatistico (cfr. Sez. 3, n. 23873 del 08/04/2009, C., Rv. 244082).
Nell'aderire a quest'ultimo orientamento, le Sezioni Unite in commento osservano che <<La differente formulazione dei primi due commi dell'art. 609 bis c.p. evidenzia come, nella violenza sessuale "costrittiva", il soggetto passivo ponga in essere o subisca un evento non voluto poiché ne viene annullata o limitata la capacità di azione e di reazione coartandone la capacità di autodeterminazione, mentre nella violenza sessuale "induttiva" l'agente persuade la persona offesa a sottostare ad atti che, diversamente, non avrebbe compiuto, ovvero a subirli, strumentalizzandone la vulnerabilità e riducendola al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità. In entrambi i casi l'autore del reato incide sul processo formativo della volontà della persona offesa, direttamente compressa, nel primo caso, fino ad impedire ogni diversa opzione ed orientata, nel secondo, conformemente alle intenzioni dell'agente. Si tratta, a ben vedere, di due situazioni distinte ... >>
Per questa via - si osserva ancòra in sentenza - <<quanto finora osservato consente già di rilevare come non vi siano validi argomenti per accedere all'interpretazione maggiormente restrittiva ... [atteso che SS.UU. n. 13/2000... confronta l'art. 609 bis c.p. con l'art. 609 quater c.p., considerando il vizio del consenso del minore determinato dalla differente maturità sessuale dell'agente e richiamando la differenza ontologica e giuridica tra il rapporto intercorrente tra autore del reato e persona offesa rispetto alle due fattispecie richiamate>>.
Muovendo da tale considerazione, la sentenza in commento osserva come <<la collocazione del delitto di violenza sessuale tra quelli contro la libertà personale e la pacifica natura di reato comune rendono evidente l'intenzione del legislatore di ampliare l'ambito di operatività della fattispecie e svincolano del tutto l'art. 609 bis c.p. dai riferimenti alla figura del pubblico ufficiale di cui all'abrogato art. 520 c.p.>>, che non richiedeva la costrizione ma solo il nesso tra la posizione (di p.u.) e il fatto. 
Del resto è proprio il comma 2 dell'art. 609 quater c.p. prevedere una clausola di sussidiarietà "in favore" dell'art. 609 bis c.p. (<<fuori dei casi di... >>), norma quest'ultima che sanziona una diversa condotta (la costrizione) commessa con abuso di autorità anziché con abuso di poteri come nel caso dell'art. 609 quater c.p., comma 2.
Per questa via e con il dichiarato fine di assicurare con i reati della sfera sessuale <<la esigenza di massima tutela della libertà sessuale della persona che la legge persegue>>, la sentenza conclude nel senso che alla fattispecie astratta dell'art. 609 bis c.p. comma 1 sono riconducibili <<anche situazioni che, altrimenti, ne resterebbero escluse, quali quelle derivanti da rapporti di natura privatistica o di mero fatto, come, ad esempio, nel caso dei rapporti di lavoro dipendente (anche irregolare), ovvero di situazioni di supremazia riscontrabili in ambito sportivo, religioso, professionale ed all'interno di determinate comunità, associazioni o gruppi di individui... [Sicché], alla stregua di quanto precede, può pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: "L'abuso di autorità cui si riferisce l'art. 609 bis c.p., comma 1, presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali">>.

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