Il caso: un ragazzo di giovane età viene sottoposto a processo penale innanzi al giudice di pace di Trapani per aver minacciato la ex compagna <<di un male ingiusto profferendo al suo indirizzo le seguenti frasi: “(omissis) tu ti stai mettendo nei guai, fammi incazzare un altro po' e vedi che cosa succede>>; il reato contestato è quello di minaccia ex art. 612 cp.
Il giudice di pace condanna l'imputato alla pena della multa di 300 euro, al risarcimento del danno (500 euro) e alle spese di costituzione di parte civile (1200 euro).
Nella sentenza è scritto:
<<(omissis) le altre, pregnanti, emergenze istruttorie (omissis) fanno emergere chiaramente (omissis) che l'intento del (omissis) non fosse quello di rivolgersi alle Autorità per ottenere tutela nella gestione delle visite alla figlia minorenne, bensì quello di incutere timore alla ex compagna>> e, ancora, <<Nel caso di specie, la p.o. si è certamente intimidita dopo avere percepito le parole altamente cariche di (quanto meno) intrinseca offensività profferite dall'odierno imputato>>.
La sentenza del giudice di pace di Trapani viene impugnata.
La vicenda riguarda due ragazzi molto giovani, un tempo fidanzati, genitori di una bambina, il cui rapporto si è progressivamente incrinato. Le liti riguardano soprattutto la gestione della figlia: il padre (l’imputato) accusa la ex compagna di ostacolare il suo rapporto con la bambina: è frustrato, non sa più che fare e, nel corso dell’ennesimo diverbio, pronuncia la frase “minacciosa”.
Il giudice di pace di Trapani condanna l’imputato senza valutare il contesto nel quale la frase è stata proferita: la tensione tra i due ragazzi è alle stelle, gridano, la bambina piange, i parenti di entrambi partecipano animatamente alla discussione. In quel difficile momento, l’imputato non vuole affatto incutere timore alla ex compagna, vuole solo sua figlia e, forse, rivolgersi alle autorità è l'unico modo per trascorrere del tempo con lei.
Il tribunale di Trapani in funzione di giudice di appello, riforma la sentenza impugnata e assolve l'imputato dal reato a lui ascritto con la formula “perché il fatto non sussiste”.
La sentenza:
<<(omissis) Tanto chiarito, va osservato che se è vero che, ai fini della sussistenza del reato contestato, non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente nella vittima, bastando – poiché si tratta di reato di pericolo – la sola attitudine ad intimorire, è indispensabile, però, che il male ingiusto possa essere dedotto dalla situazione contingente ... nel caso di specie tra autore e vittima sussisteva un pregresso rapporto di convivenza more uxorio da cui era nata una figlia e i due ex conviventi avevano in corso un giudizio civile, volto a disciplinare l'affidamento della minore e il diritto di visita del genitore non affidatario ... L’episodio descritto nel capo di imputazione si colloca proprio in tale contesto, caratterizzato da continue crisi e da accesi alterchi tra gli ex conviventi e i rispettivi familiari>>.
Il tribunale di Trapani, valutando la condotta dell’imputato in relazione al contesto particolare in cui questi agisce, esclude che il comportamento tenuto possa ritenersi univocamente idoneo a ingenerare un timore tale da turbare la libertà psichica del soggetto passivo e afferma che <<il modo aggressivo con cui il danno viene minacciato non vale a far qualificare in ogni caso come ingiusto il danno stesso>>.