Con la sentenza che si annota la Corte di Cassazione (sezione V penale sent. n. 52.2021) ha affermato che la confisca facoltativa del profitto del reato, ex art. 240 I co. c.p., NON può essere adottata sulla scorta di una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, seppure pronunciata in riforma di una precedente sentenza di condanna (ce ne siamo occupati, con riferimento alla giurisprudenza CEDU, in relazione al caso Pasquini c/ Repubblica di San Marino, al link).
Nel caso di specie la Corte nomofilattica era investita, all'esito di un complesso iter processuale, di un ricorso avverso una sentenza della Corte di assise di appello milanese, che, in sede di rinvio, aveva ablato un ingente patrimonio, ritenuto profitto del reato di associazione per delinquere (semplice), delitto già prescritto in sede di primo appello.
Al riguardo si rammenti che il testo dell'art. 240 I co. c.p. pone a presupposto della confisca del profitto (e di altre res) la condanna del reo. Tuttavia la Corte distrettuale ha ritenuto di potere superare il chiaro dictum legislativo attraverso il richiamo ai principi già espressi in tema di confisca dalle Sezioni Unite Lucci (SS.UU. n. 31617 del 26.06.2015) nonché attraverso una ricostruzione sistematica della dogmatica sottesa all'istituto della confisca.
Con riguardo al primo profilo giova rammentare che il massimo consesso della Suprema Corte ha ritenuto, in tema di confisca obbligatoria del prezzo del reato, ex art. 240 II co. c.p. , nonché del prezzo e del profitto per i delitti di cui all'art. 322 ter c.p., che le utilità possano essere ablate sulla scorta di una pronuncia di proscioglimento per intervenuta prescrizione, purché preceduta da una sentenza di condanna. La Corte lombarda ha considerato che nell'ottica delle Sezioni Unite Lucci i due diversi tipi di ablazione non avrebbero natura sanzionatoria, essendo piuttosto accomunati dalla medesima natura preventiva che li attrae all'interno di un nucleo unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante. La circostanza che non si tratti di pene, tecnicamente intese, rende possibile la loro adozione anche in carenza di un giudicato formale di condanna. Ciò posto, ad avviso della Corte distrettuale questa finalità specialpreventiva può ravvisarsi anche nella confisca facoltativa di cui all'art. 240 I co., con le medesime conseguenze di cui antea.
In ogni caso, avuto riguardo al profilo sistematico, per i giudici milanesi l'introduzione, ad opera del Legislatore, di numerose ipotesi di confisca obbligatoria del profitto del reato, dimostra che nel nostro ordinamento esiste un principio generale in tal senso. Ciò rende la confisca facoltativa del profitto ex art. 240 I c.p., espressione di un impianto normativo ormai superato.
La Corte di Cassazione, all'esito di un ampio excursus delle Sezioni Unite succedutesi in tema di "titoli esecutivi" necessari all'adozione della confisca (cfr.SS.UU. n. 5 del 25.03.1993, ric. Carlea, SS.UU. n.38834 del 10.07.2008, De Maio e infine le citate Lucci), ha ripudiato le tesi adottate dai Giudici distrettuali.
La Corte regolatrice ha sostanzialmente stigmatizzato la violazione del principio di legalità che opera sulla scorta di disposizioni di livello costituzionale (art. 25 della Carta fondamentale), anche per le misure di sicurezza. Invero nella sentenza si afferma che <<l'apertura delle Sezioni Unite Lucci alla interpretazione non formalistica del presupposto della "condanna" relativamente alla confisca obbligatoria del prezzo del reato e del prezzo o profitto di determinate ipotesi di reato elencate nell'art. 322-ter c.p., nel momento in cui, con un'operazione ermeneutica fondata su di una sorta di automatismo interpretativo, viene trasformata in principio generale del "sistema" della confisca, in quanto tale applicabile anche alla confisca facoltativa del profitto del reato disciplinata dall'art. 240 c.p., comma 1, incontra un insuperabile ostacolo nel principio di legalità>>.
In altri termini, ad avviso del Giudice di legittimità, <<precludendo il principio di legalità in campo penale interpretazioni estensive o analogiche delle norme interne in danno dell'imputato, non può che interpretarsi tassativamente il concetto di condanna quale presupposto del provvedimento ablativo, nel caso di confisca facoltativa del profitto del reato>> .
E del resto, una significativa conferma della tesi propugnata nella sentenza che si annota si rinviene nell'art. 578 bis c.p.p., da cui si evince che non in ogni ipotesi può procedersi alla confisca sulla scorta di una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, in riforma di una sentenza di condanna.
Il forte richiamo al principio di legalità non soltanto appare assolutamente condivisibile, ma risulta, a ben vedere anche una critica all'approdo delle Sezioni Unite Lucci.