<<Le sconfitte permangono a lungo nei rimorsi e nelle sofferenze di ogni avvocato. Fanno parte della sua esperienza, della sua formazione, persino del suo amore per la toga.
Nessuna sconfitta si addebita solo al giudice, abbiamo sempre dubbi sulle nostre strategie, sugli approfondimenti in fatto e in diritto, sulla nostra prontezza, sullo scrupolo, sull’efficacia della discussione finale.
Il nostro non è un mestiere che si insegna, è un mestiere che si impara.
Si impara battendosi contro gli errori, le ingiustizie, le angherie, a volta le meschinità.
Si impara indignandosi di ogni sopruso giudiziario, da chiunque provenga.
Si impara nelle notti insonni, nei tumulti delle nostre angosce.
Si impara soffrendo con i nostri assistiti, scusandoci con loro dei misfatti del sistema giudiziario e di chi lo gestisce.
Si impara coltivando una fede doverosa e irragionevole nella Giustizia.
Si impara tremando nell’indossare la toga, sentendoci penetrati dalla sua malia.
Si impara osservando all’opera - se possibile - i Maestri dell’Avvocatura, studiandone le mosse, cercando di emularli, illudendoci di capire il loro ingegno.
Si impara ringraziando i nostri Padri per aver custodito e tramandato l’incantevole seduzione della Difesa>>
Quattro anni fa, durante l'omelia funebre nella Cattedrale di Ortigia, il fratello di Ettore, il collega Giovanni Randazzo, lo ha ricordato così: “Ettore ci ha insegnato tre cose: la capacità di sognare, il talento nel saper realizzare, la voglia di lottare per migliorare“.