Riceviamo e pubblichiamo il contributo del Collega Tommaso Gioia del Foro di Brindisi
La diffamazione aggravata mediante l’utilizzo dei social network
La divulgazione di notizie riguardanti una presunta relazione extraconiugale configura, per la Suprema Corte di Cassazione, il reato di cui all’art. 595 c.p.
Con la sentenza n. 3204/2021, la quinta sezione penale della Suprema Corte, ha confermato quanto già stabilito dalle magistrature inferiori condannando definitivamente l’imputata per aver commesso il reato di diffamazione aggravata.
La vicenda trae origine da un (presunto) tradimento commesso da un marito in costanza di matrimonio.
La moglie, venuta a conoscenza del fatto ha iniziato a diffondere, tramite l’utilizzo del social network facebook, notizie sulla relazione extra coniugale del marito. Nella diffusione di tali notizie, la moglie, si è lasciata andare anche a commenti offensivi nei confronti della presunta amante, definendola con epiteti offensivi “zoccola e rovina famiglie”, asserendo anche che l’ultimogenito sia nato da relazione extraconiugale dell’amante del marito.
Sia il giudice di prime cure, che quelli di secondo grado, hanno condannato la donna al pagamento di una multa pari ad € 1.500,00 e al risarcimento dei danni, per il reato di diffamazione aggravata a mezzo internet.
Motivi dell’impugnazione
Rebus sic stantibus, il difensore della condannata, propone ricorso per Cassazione sulla base dei seguenti motivi:
1. Violazione e vizio di motivazione poiché al momento in cui la persona offesa è stata ascoltata, vi erano agli atti del fascicolo del dibattimento elementi da cui desumere che la condannata era altresì imputata in procedimenti connessi per il reato di stalking. Secondo la difesa, la Corte di Appello, con motivazione viziata non ha considerato l’esistenza di un collegamento probatorio rilevante ex art. art. 371 c.p.p.;
2. Violazione e vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione;
3. Violazione e vizio di motivazione in relazione alla pena illegale inflitta, poiché superiore al massimo edittale previsto dalla legge che è pari ad € 1.032,00.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, ha rigettato i primi due motivi del ricorso ed ha accolto soltanto il terzo, per rideterminare il quantum della pena pecuniaria.
Con riguardo ai primi due motivi esposti dalla difesa, i giudici di legittimità ne hanno ritenuto la inammissibilità poiché la non utilizzabilità delle dichiarazioni della persona offesa non è stata eccepita prima di procedere all’esame della stessa. L’eccezione è risultata altresì essere generica per non aver indicato il grado di incidenza sul “complesso corredo giudiziario”.
(*) Tommaso Goia: avvocato del foro di Brindisi e direttore del sito officeadvice.it