31 maggio 2022

Limiti interpretativi alla ricorribilità delle sentenze di patteggiamento.

La settima sezione, con l'ordinanza n. 18830 del 22.04.2022, ordinanza al link, ha dato continuità all'insegnamento di legittimità, secondo cui la possibilità di ricorrere in cassazione avverso una sentenza di c.d. patteggiamento, per motivi attinenti all'erronea qualificazione giuridica del fatto, è possibile soltanto in caso nel caso in cui si denunci un errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (ex multis, Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021  Paolino, Rv. 281116 -01; Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, nonché 43898/21).

Si tratta in realtà di un approdo maturato già antecedentemente alla novella del 2017 che, nel riformulare l'art. 448, ha previsto la possibilità di ricorrere soltanto per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Tuttavia la littera legis pare marcare una discontinuità con la giurisprudenza antecedente alla riforma, non limitando in alcun modo la possibilità di ricorrere per vizi inerenti alla qualificazione giuridica ai soli casi di errore manifesto.   

Ma la Corte regolatrice ha palesato sin da subito una diversa opinione.

Infatti, Cassazione penale sez. I, 20/03/2018, (ud. 20/03/2018, dep. 06/04/2018), n.15553, aveva considerato che <<la novella ha codificato, forse con una imprecisa tecnica normativa, gli approdi giurisprudenziali della Corte di legittimità la quale aveva ammesso la possibilità di proporre ricorso avverso la sentenza di patteggiamento che presenti un'erronea qualificazione giuridica del fatto>>. Non è ozioso considerare che la Corte giungeva alla superiore conclusione attraverso un'indagine che aveva a premessa anche lo <<scopo di limitare l'abuso dello strumento processuale destinato altrimenti ad aggravare ulteriormente il ruolo della Corte Suprema>>.

Eppure, la Corte, nell'interpretare la novella, avrebbe potuto condurre un più serrato confronto con le  ragioni che indussero le Sezioni Unite n. 5 del 2000, dirimendo il precedente contrasto, ad ammettere il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento per vizio di qualificazione giuridica. Al riguardo il massimo consesso nomofilattico sottolineò che <<il potere del giudice di controllare la corretta definizione giuridica è previsto a presidio della obbligatorietà della legge penale, obbligatorietà che, è superfluo rilevarlo, non può non essere sottratta per definizione alla disponibilità delle parti>>, aggiungendo, per dirimere l'ammissibilità della possibilità di ricorrere: <<se veramente il legislatore volesse quel controllo e, però, impedisse la denuncia, in sede di legittimità, con la quale si assumesse che il controllo  è stato male eseguito, vorrebbe dire che il legislatore vuole e, nello stesso tempo, non vuole il controllo, che l'ordinamento giuridico ha interesse e, nello stesso tempo, non ha interesse a quel controllo, vorrebbe dire, in altri termini, che l'ordinamento giuridico, in questo caso, viola, infrange, il principio di non contraddizione e lo viola, lo infrange, nonostante che la qualificazione giuridica del fatto sia materia sottratta alla disponibilità delle parti e che l'errore sulla qualificazione giuridica sia un chiaro errore di diritto e, quindi, nonostante la ricorribilità per cassazione di tutte le sentenze per violazione di legge, come prevede l'articolo 111, comma 2, della Carta costituzionale>>.


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