28 marzo 2023

Cari cancellieri, se gli atti sono trasmessi telematicamente non sono dovute né le copie cartacee né i diritti

 



In questo blog ci siamo più volte occupati della questione (link1, link2, link3), che ha come presupposto la prassi - riteniamo non legittima - di alcune cancellerie di richiedere il versamento dei diritti di copia per la "formazione" delle cosiddette copie di cortesia.

Nel paese della burocrazia le novità tardano ad essere recepite: si è sempre fatto così (cioè con l'impugnazione si sono sempre depositate le copie dell'atto), perché non continuare?

Noi riteniamo di avere la risposta a questo amletico - e anche un po' vessatorio - dubbio esistenziale!

Non si può fare più così da quando è entrata in vigore la Riforma Cartabia  (anche se al momento gli atti sono inviati per pec, in proiezione futura tramite portale).

Né ci pare che la diversa soluzione indicata all'epoca dell'emergenza Covid sia più sostenibile. Il ministero all'epoca aveva ritenuto che il deposito a mezzo pec servisse ad evitare che i termini per impugnare scadessero in un contesto in cui gli ingressi in cancelleria erano contingentati, ma oggi la Riforma ha ragioni radicalmente differenti.

Il che rende esplicita la domanda: cosa ve ne fate, cari cancellieri, delle copie di cortesia cartacee? Cosa ve ne fate se, depositato l'atto in via telematica ad opera del legittimato, lo trasmettete per via telematica a vostra volta? E se per comodità di ufficio ritenete di usare la vecchia carta e stampare l'atto in quante copie ritenete è, appunto, una vostra comodità, che non incide né può gravare sull'istante.

Del resto, di tale tesi troviamo conferma in un obiter contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione, sezione V penale, n. 8158/2023: <<l'invio delle copie ulteriori ex art. 164 disp. att. cod. proc. pen., come richiesto dalla cancelleria appare essere un mero, formale, riferimento alla norma, da reputarsi superato dall'inoltro telematico dell'atto>>(sentenza al link).

Più chiaro di così non potrebbe essere: mera formalità, superata dalle novità del mondo.

E forse vale la pena che qualcuno, ancora abituato alla ceralacca e al piccione viaggiatore, se ne faccia una ragione e metta mani allo studio delle novità e ne colga il senso.

Cosa accade, dunque, se la cancelleria inoltra una pec come quella che segue?



Intanto stigmatizziamo che la pec non sia firmata a protezione di un insano anonimato. 

Poi osserviamo che nessuna prassi consente, né potrebbe consentire, alla Cancelleria di condizionare alla trasmissione delle copie ex art. 164 disp. att. c.p.p. - con un inequivocabile sinallagma sancito dall’utilizzo dell’aggettivo “necessario“ - la formazione del fascicolo e la trasmissione dello stesso alla S.C.C.“.

L’art. 164 disp. att. c.p.p., infatti, ricollega al mancato deposito delle copie cartacee esclusivamente l’effetto che “la cancelleria provvede a farle a spese di chi ha presentato l’impugnazione“.

Collegare l'assenza della consegna delle copie cartacee o del pagamento dei diritti di copia alla mancata trasmissione degli atti, è palesemente arbitrario.

A noi risulta che della questione, il Collega interessato, abbia reso edotti il Ministro e i Dirigenti degli uffici interessati - sia Magistrati che Cancellieri - rimettendo ad essi non solo la (ri)valutazione della legittimità della prassi e della condotta, ma la anche trasmissione degli atti alla Magistratura inquirente per l'ipotesi in cui si individuassero condotte penalmente rilevanti. 


Approfittiamo però dell'occasione per rilanciare l'invito di cui al titolo: Cari cancellieri, se gli atti sono trasmessi telematicamente non sono dovute né le copie cartacee, né i diritti.

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