Dopo esserci occupati della decisione della V Sezione della Corte di Cassazione (al link), torniamo sul tema del divieto del bis in idem con il contributo di Matiangela Miceli.
I rimedi alla violazione del principio del ne bis in idem nel doppio binario sanzionatorio, impongono la trattazione di alcune premesse, le quali fanno riferimento, non solo al principio consolidato sia a livello nazionale che comunitario del divieto del doppio giudizio, ma anche alle sanzioni formalmente amministrative che esplicano effetti sostanzialmente penali.
Orbene, per quanto attiene il primo argomento in premessa, non vi è dubbio che il divieto del doppio giudizio trovi una sua prima collocazione all’interno del codice di procedura penale all’art. 649 cpp, rubricato per l’appunto, “divieto di un secondo giudizio”, e con implicita copertura costituzionale negli artt. 24 e 111 Costituzione. A livello comunitario, il predetto divieto trova, invece, regolamentazione all’interno dell’art. 4, paragrafo 1. del Protocollo addizionale n.7 alla Cedu, il quale specifica che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato perseguito o condannato […]”.
Per quanto riguarda, le sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali, non vi è dubbio che nell’ambito del diritto italiano, l’art. 649 c.p.p. vietando il ne bis in idem, vieti l’applicazione congiunta di sanzioni penali e amministrative per un medesimo fatto che sia imputabile alla stessa persona.
Su questa ultima affermazione, però, è necessaria una puntualizzazione, poiché, l’art. 649 cpp si riferisce alla mera sanzione penale, non facendo alcun riferimento alle sanzioni di carattere formalmente amministrativo ma sostanzialmente penale.
Pertanto, i criteri ai quali si deve fare riferimento nel determinare quando si sia in presenza del carattere penalmente rilevante della sanzione amministrativa e quindi, permettendo l’applicazione dell’art. 649 cpp, riguardano lo stesso fatto e la stessa persona.
Ci si riferisce in questo caso ai i c.d. Criteri Engel. Quest’ultimi consolidatosi nel solco della giurisprudenza della Corte EDU, sono dei criteri di natura alternativa e non cumulativa, che determinano quando si è in presenza di un’ accusa in materia sostanzialmente penale.
Il primo criterio discende dalla qualificazione giuridica determinata dallo stesso legislatore, che fa capo, quindi, al principio di legalità: un fatto è penalmente rilevante quando è la legge a determinarlo come tale. Il secondo criterio dipende dalla natura sostanziale della sanzione, quindi, qualora gli interessi tutelati dalla sanzione siano di carattere generale e perciò assimilabili a quelli tutelati in sede penale, ci si trova dinnanzi ad una sanzione che seppur formalmente amministrativa assume le vesti di una sanzione sostanzialmente penale.
Ultimo criterio, al quale far riferimento riguarda la severità della sanzione, essa assume valore penale anche quando è applicata da un organo amministrativo e sia solo di carattere pecuniario, purché sia di importo rilevante.
Sulla base dei criteri appena enunciati, la Corte EDU ha qualificato come penali le sanzioni irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti (quali ad esempio la CONSOB), potendo così applicare un primo scrutinio previsto dall’art.6, par. 1, della CEDU per verificare la compatibilità del procedimento e della sanzione alle garanzie riconosciute dalla Convenzione.
In merito, la sentenza Grande Stevens sul tema ha posto un primo orientamento della Corte di Strasburgo nei casi di c.d. doppio binario sanzionatorio. Infatti, in tale pronuncia, aveva tassativamente sancito l’incompatibilità con l’art. 4 cit. dei sistemi a doppio binario sanzionatorio, imponendo l’interruzione del procedimento ancora pendente quando il primo fosse divenuto definitivo. Ciò era possibile quando ci si trovava in presenza dell’idem factum, e qualora la sanzione formalmente amministrativa fosse da considerarsi avente natura penale secondo i criteri Engel.
Nel caso Grande Stevens, la Corte di Strasburgo ha analizzato il sistema di repressione delle condotte di manipolazione del mercato, concludendo che, alla luce della nozione di “pena” e di “materia penale”, elaborate dalla stessa giurisprudenza della Corte a partire dal risalente caso Engel, le sanzioni di quel tipo inflitte, perseguono uno scopo afflittivo e repressivo (basti fare caso all’entità degli importi monetari che la sanzione può raggiungere).
Dunque, benché il legislatore italiano le qualifichi formalmente come amministrative, in realtà sostanzialmente costituiscono una sanzione penale, di conseguenza si creerebbe una duplicazione sanzionatoria rispetto alla fattispecie, formalmente e sostanzialmente penale. Inoltre, considerato che, la Carta di Nizza all’articolo 50 in forza dell’articolo 6 Trattato sull’Unione europea è stato elevato a rango di diritto primario dell’Unione, alla pari dei Trattati, ciò comporta l’applicazione diretta dell’articolo 50 della Carta di Nizza da parte delle Istituzioni dell’Unione e degli Stati membri, con conseguente disapplicazione delle norme interne contrastanti.
In altre parole, la pronuncia Grande Stevens ha permesso una rimodulazione in chiave non meramente procedurale del principio del ne bis idem, poiché, in applicazione degli artt. 6 e 7 CEDU, è stato determinato che, seppur ogni Stato, sia libero e sovrano nel determinare le sanzioni da applicare in violazioni di norme dell’ordinamento, tale libertà trova un limite nel rispetto della Carta di Nizza.
Da ciò il rimedio che il giudice penale italiano dovrà garantire è in primis la diretta applicazione dell’articolo 50 nonché in modo strumentale dell’art. 649 cpp, pronunciando sentenza di non doversi procedere per violazione del principio del ne bis in idem, ogniqualvolta si renda conto dell’esistenza di un provvedimento definitivo sullo stesso fatto concreto, che possa essere qualificato sostanzialmente penale alla luce dei criteri Engel.
In secondo luogo, al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto Ue, dove non possono essere invocati i diritti riconosciuti dalla Carta di Nizza (ad esempio: nelle materie di omesso versamento di ritenute di imposta), è possibile dare applicazione all’articolo 4 protocollo 7 Cedu, il quale, sebbene si ponga come norma interposta che non può essere direttamente applicata in luogo di disposizioni contrastanti del diritto nazionale, trova diretta applicazione in tutte quelle ipotesi non regolate in modo antitetico da una disposizione di diritto interno. Dunque, anche in questo caso si potrà pervenire ad una sentenza di non doversi procedere fondata direttamente sull’articolo 4 protocollo 7 della Cedu.
Nel caso, invece, di apertura di due procedimenti paralleli, quello penale e quello amministrativo, in cui entrambi si sono già conclusi con sentenze passate in giudicato. La Corte di Cassazione, in mancanza di uno strumento legislativo ad hoc, ha elaborato diverse soluzioni in via interpretativa per la quale una soluzione potrebbe essere l’applicazione dell’articolo 669, comma 1, codice di procedura penale a mente del quale “se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il giudice ordina l’esecuzione della sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave, revocando le altre”. Ne discende da questa interpretazione, la presupposizione di un’interpretazione estensiva del concetto di “sentenze di condanna divenute irrevocabili” che ricomprenda anche i provvedimenti definitivi, formalmente amministrativi, ma valutati come sostanzialmente penali dalla Corte EDU.
Tuttavia, in merito al tema oggetto di odierna disamina, la Corte di Strasburgo ha abbracciato un orientamento più flessibile, giudicando il cumulo sanzionatorio compatibile con il principio del ne bis in idem laddove, i procedimenti presentino una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”. Tale connessione sussiste nel caso in cui la previsione del doppio binario sia finalizzata a colpire profili differenti della condotta, il doppio giudizio sia prevedibile, sussista una connessione sostanziale e cronologica fra i procedimenti, per cui, in particolare, la raccolta e la valutazione delle prove sia compiuta soltanto una volta, le sanzioni inflitte siano complessivamente proporzionali rispetto alla gravità della condotta.
Con riguardo al diritto eurounitario, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dispone espressamente, all’art. 50, che “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”, mentre l’art. 52, par. 3, nel regolare i rapporti con il diritto convenzionale, afferma che “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione EDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione”.
Dagli articoli appena enunciati, il giudice nazionale dovrà compiere un’ulteriore valutazione tenuto conto del diritto eurounitario, dovrà in sintesi verificare se non vi sia una violazione dell’art. 50 della Carta di Nizza. In questo caso dovrà procedere alla disapplicazione in via diretta del diritto italiano mentre, rispetto al diritto sancito dall’art. 4, prot. 7, CEDU, è possibile esclusivamente accedere al sindacato accentrato di costituzionalità tramite il parametro interposto dell’art. 117, co. 1, della Costituzione.
Rispetto alla diretta applicazione dell’art. 50 della Carta di Nizza., tuttavia, la Cassazione si è spesso espressa in senso contrario e un obiter dictum di Corte costituzionale, afferma la necessità di sollevare l’incidente di costituzionalità laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla nostra Costituzione, quanto in relazione a quelli garantiti dalla della Carta di Nizza, in tal senso, già la Corte aveva chiarito che il giudice nazionale dovrà procedere alla disapplicazione delle norme interne contrastanti con la Carta di Nizza.
In conclusione, il rapporto fra il doppio binario sanzionatorio e il divieto di ne bis in idem resta un tema controverso, i criteri ai quali l’interprete è chiamato ad individuare la violazione del predetto principio, infatti, sono vari e possono far riferimento non soltanto ai c.d. criteri Engel ma anche alla violazione del diritto europeo quale norma primaria.
Ed ancora, il giudice sarà chiamato a pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, soltanto qualora verifichi positivamente la sussistenza del bis e dell’idem factum ai sensi dell’art. 649 cpp ed in forza anche della limitazione posta al diritto previsto dall’art. 50 della Carta di Nizza.