La Corte di appello di Torino confermava la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Alessandria in data 11 marzo 2021 nei confronti dell' imputato accusato di aver guidato in stato di alterazione psicofisica da assunzione di sostanze alcoliche. Il prevenuto interponeva ricorso per cassazione, adducendo, ex aliis, la violazione dell'art. 606 lett. d), per non avere i giudici di merito assunto una prova decisiva a discarico.
Giova rilevare che la difesa aveva già lamentato innanzi alla Corte distrettuale la violazione dell'art. 178 comma 2 lett.c) cod. proc. pen. <<per avere il giudice di primo grado trascurato di ammettere l'esame del consulente tecnico della difesa>>, la cui audizione avrebbe dovuto vertere sulla distanza temporale intercorsa tra sinistro e misurazione dell'alcolemia, sulle caratteristiche tecniche dello strumento di misurazione, in ordine alle caratteristiche fisiche individuali del guidatore, in ordine alla fase digestiva dei cibi assunti e alla consuetudine al bere dell'interessato.
Da quel che pare di capire, attraverso la lettura della sentenza di legittimità, la Corte di appello aveva disatteso la censura, ritenendo trattarsi di nullità sanata, in quanto non immediatamente eccepita dal difensore e che comunque la prova richiesta, inserita in lista testi, si atteggiasse non a controprova, cui la parte ha diritto, ex art. 495 II c.p.p., ma a prova diretta, ex art. 190 c.p.p., superflua. Ciò giacché <<il consulente tecnico avrebbe dovuto essere esaminato su circostanze di fatto non allegate né provate, come la distanza temporale tra il momento del sinistro e la misurazione dell'alcolemia, le caratteristiche tecniche dello strumento, le caratteristiche fisiche individuali della persona, la fase digestiva dei cibi assunti, la consuetudine al bere>>.
Il ricorrente ha obiettato che <<le nullità relative debbano essere eccepite con l'impugnazione della relativa sentenza>> e inoltre che la confutazione della prova della guida in stato di ebrezza, cui mirava la consulenza <<assume il ruolo di sostanziale controprova>>. Inoltre, ad avviso dell'imputato, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella parte in cui afferma che il consulente tecnico avrebbe dovuto essere esaminato su circostanze di fatto non allegate né provate.
Per i Giudici di legittimità la censura risulta inammissibile, poiché manifestamente infondata (sentenza al link)
Anzitutto la sezione feriale ha considerato che <<la valutazione del giudice di merito, che ha ritenuto superflua la prova, in quanto congruamente motivata sulla mancata allegazione o prova dei fatti che sarebbero stati sottoposti all'esame dell'esperto, NON è sindacabile in sede di legittimità>>.
Ma soprattutto ai fini del giudizio di manifesta infondatezza della censura risulta dirimente il rilievo secondo il quale <<rientra nel potere discrezionale del giudice di merito valutare l'ammissibilità di un mezzo di prova e, nel caso particolare, rigettare la richiesta di esame di un consulente tecnico laddove essa sia stata formulata in guisa da trasformare la c.d. prova scientifica in una prova su circostanze di fatto non altrimenti introdotte nel processo, senza che tale ordinanza possa per ciò solo ritenersi affetta da nullità ai sensi dell'art.178, comma 2 lett.c), cod. proc. pen. in quanto pienamente rispettosa delle prerogative della difesa e conforme al dettato normativo>>.
La decisione della Corte involve e per certi versi dà per risolti temi di assoluto rilievo. Invero ciò che in discussione è la nozione di "fatti oggetto delle prove a carico", richiamata dall'art. 495 II co. c.p.p.. In altri termini per "fatto" deve intendersi il tema di prova cui è indirizzato il processo (fattispecie materiale, elemento soggettivo, dolo), per come pare di intuire ritenesse il ricorrente, oppure una circostanza specifica, si ché il diritto alla controprova può esercitarsi soltanto introducendo prove volte a dimostrare circostanze diametralmente speculari a quelle indicate da controparte ? Una soluzione o l'altra potrebbe comportare non soltanto una differente perimetrazione del diritto alla controprova, ma, forse, anche un diverso approccio al tasso di precisione dei capitolati di prova ex art. 468 c.p.p..
In ogni caso, dalla lettura della sentenza della Corte regolatrice non è dato comprendere se i Giudici distrettuali avessero illustrato il carattere manifestamente superfluo della consulenza, da intendersi quale prova diretta.
Forse la censura non avrebbe meritato un giudizio di inammissibilità.