Soltanto ieri avevamo dato conto di un approccio antiformalistico
della Suprema Corte che aveva annullato con rinvio una declaratoria resa dal
Tribunale della libertà di Bologna, a fronte di una istanza di riesame
inoltrata a mezzo pec e contenente sia la firma autografa che digitale del
difensore (sez. I n. 32221 ud. 01.07.2022 dep. 01.09.2022 C. Russo).
Tuttavia registriamo
che appena pochi giorni dopo la decisione prima menzionata, altra sezione della
Corte (sez. IV n. 32917 ud. 15.07.22 dep. 07.09.22, rel. D. Dawan), a
fronte di un'ulteriore declaratoria di inammissibilità resa sempre dal
Tribunale del riesame di Bologna, ha adottato la soluzione opposta, avvallando
la statuizione di merito prescelta dai giudici emiliani e dichiarando
inammissibile il ricorso (sentenza
al link).
I Giudici
della quarta sezione addivengono alla loro pronuncia muovendo da un punto di
vista diverso, più "informatico", rispetto a quello adottato dai loro
colleghi della prima sezione. Se infatti quest'ultimi avevano correttamente
rilevato che l'unica causa di inammissibilità, esplicitamente prevista, dell'impugnazione
trasmessa telematicamente è il difetto di sottoscrizione digitale, non essendo
prevista alcuna sanzione processuale per il caso di scansione dell'atto prima
dell'apposizione della predetta, i consiglieri della quarta sezione rilevano un’
inammissibilità "tecnica" del riesame stampato, firmato con
sottoscrizione autografa, scansionato e poi sottoscritto digitalmente. Infatti,
si è considerato che <<nel caso della scansione di
immagini... il file che ne risulta non contiene il "testo" del
documento, ma solo una sua "riproduzione" (o meglio
"rappresentazione") grafica. Le superiori considerazioni
rendono dunque conto dell'inammissibilità in sé e per sé
dell'atto di appello. L'inammissibilità, invero, è presidio
giuridico della necessaria funzionalizzazione "tecnica" dell'atto ad
un procedimento interamente telematico (tra l'altro liberamente scelto, al
posto del tradizionale, da chi tale atto redige e deposita). Ciò detto, l'originale
dell'atto d'appello - ossia l'unico atto materialmente
redatto e sottoscritto dal difensore dell'imputato - non è
mai pervenuto in quanto tale (nonostante la sua natura
di atto del procedimento) nella sfera del destinatario, atteso
che la Cancelleria - che l'ha ricevuto viepiù senza attestazione di conformità
- non l'avrebbe ricevuto come originale neppure qualora detta attestazione vi
fosse stata: l'originale, infatti, è sempre rimasto a mani di chi l'ha
trasmesso, senza dunque essere mai giuridicamente uscito dalla sua sfera di
dominio>>.
Quanto
fin qui rappresentato si presta a diverse valutazioni.
Anzitutto,
per ciò che attiene ai principi di diritto espressi dalle due pronunce, per
quanto entrambe ben motivate, l'approccio della sentenza resa dalla prima
sezione appare più persuasivo avuto riguardo a più profili.
In primo
luogo l'atto sottoscritto dal difensore sia con firma autografa che digitale e
rimesso a mezzo pec registrata e a lui intestata è senza ombra di dubbio
proveniente dal legale. Pertanto porre l'accento sulla circostanza che dal
punto di vista informatico l'impugnazione sopra descritta sia non un originale,
ma una rappresentazione grafica del testo originale appare un formalismo
tecnico, verosimilmente non conforme alla CEDU, per come addotto invano dal
difensore ricorrente. In tal senso su questo blog, con lodevole lungimiranza,
Marco Siragusa, all'indomani dell'entrata in vigore delle norme che
disciplinavano le impugnazioni a mezzo pec, aveva espresso timori in ordine a
derive formalistiche (post
al link)
Inoltre, la
bontà della decisione della prima sezione può apprezzarsi ancora di più ove si
ponga mente che si verteva in tema di impugnazione di una misura cautelare e
quindi davvero avrebbe dovuto farsi luogo al principio del favor
impugnationis. La diversa soluzione adottata dalla quarta sezione ha fatto
sì che un indagato cui è stata applicata la misura cautelare in carcere non ha
mai avuto un esame delle sue censure, visto che tanto il Tribunale del riesame
che la Cassazione si sono arrestate alla soglia dell'inammissibilità.
Ma tralasciando
per un attimo ogni valutazione in ordine alla soluzione adottato nel caso
concreto, la vicenda narrata richiama l'attenzione sulla prevedibilità
delle decisioni della Suprema Corte e in particolare su quella della
inammissibilità, in tesi sanzione processuale e non mera decisione tra le altre.
A fronte
di due ricorsi che avversano il medesimo principio di diritto reso
dal medesimo Tribunale in tema di libertà, i magistrati addetti allo spoglio
non rilevano alcuna causa di inammissibilità, sicché il ricorso viene
affidato alle sezioni ordinarie. Ivi, l'ufficio del Procuratore
generale chiedeva, innanzi alla prima sezione, il rigetto del ricorso
(ritenendolo evidentemente ammissibile, ma non fondato), mentre innanzi alla
quarta sezione il medesimo ufficio riteneva l’impugnazione
inammissibile. I collegi giudicanti adottavano poi due soluzioni radicalmente
diverse. Per la prima sezione l'indagato sottoposto alla misura cautelare
la cui istanza di riesame contiene la doppia firma ha diritto ad uno scrutinio
delle sue doglianze innanzi al Tribunale, per la quarta sezione no.
Peraltro, quest’ultima non si chiarisce neppure perché il ricorso per cassazione
sarebbe inammissibile, salvo comunque condannare il
ricorrente a 3.000 euro di multa per avere proposto un ricorso
inammissibile.
Orbene, è evidente, ancora una volta, che il ripetuto richiamo alle percentuali di ricorsi inammissibili a sostegno della necessità di ulteriori limiti all'accesso al giudice dell'impugnazione introduce un argomento friabile. L'incapacità del ricorso ad instaurare il rapporto giuridico processuale non è affatto apprezzabile in rerum natura, tanto che la Cassazione, come avvenuto nel caso di specie, talora dichiara inammissibile perfino ricorsi fondati su principi di diritto recepiti da altre pronunce della Corte. Il caso odierno non è affatto unico, infatti Cass. Sez. V, 21.02.2020, n. 7030, in assenza di ogni giustificazione al riguardo, aveva dichiarato la manifesta infondatezza di un motivo di gravame, pacificamente suffragato da giurisprudenza, per quanto minoritaria, della medesima Corte (per chi volesse approfondire il caso si rimanda a Penale Dp, Una sentenza “a tutto campo”, che suscita molti interrogativi). Né chiaramente nulla sposta che nel caso di specie, a differenza di quanto avvenuto nel processo definito nel 2020 dalla quinta sezione, la quarta verosimilmente ignorasse il precedente di segno diverso, perché antecedente di pochi giorni. Ciò che conta è che, a fronte della medesima situazione, le doglianze di un indagato sono state ritenute fondate e quelle dell'altro inammissibili.