Costituisce
communis opinio che non sussistano concrete chance
di contenere i tempi del processo penale in termini ragionevoli, e quindi
conformi alla Costituzione, senza che un'elevata percentuale di azioni penali
sia risolta attraverso meccanismi deflattivi, ampiamente intesi. Ciò,
soprattutto con riferimento ai c.d. riti alternativi, era ben chiaro sin dagli
albori del "nuovo" codice.
L'importanza
dei meccanismi deflattivi ai fini dell'efficienza del processo era ancor più
evidente sol che si pensi che il legislatore dell'epoca non ritenne opportuno
ricorrere né ad una massiccia depenalizzazione, né tanto meno ad una modifica
del principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale. Al riguardo
può notarsi che in un sistema in cui l'intera amministrazione della giustizia è
cronicamente in palese difficoltà, forse si è ritenuto che la depenalizzazione avrebbe potuto non giovare
alla domanda di giustizia degli interessati. Ancora maggiori insidie potrebbe
nascondere l'abolizione del principio di obbligatorietà dell'azione penale. V’è
da chiedersi infatti sulla scorta di quali criteri, a fronte della ricorrenza
di ipotesi di reato, si eserciterebbe l'actio e a chi risponderebbe
il pubblico ministero delle sue scelte ? Diverso è il tema, per quanto
connesso, degli aggiramenti del principio di obbligatorietà, attraverso
selezioni de facto di ciò che va a processo.
Dunque
la via maestra per “salvare” il processo penale è quella dei meccanismi
deflattivi, ampiamente intesi.
Il
mosaico di interventi in tal senso potrebbe includere anche la desistenza processuale del Pubblico Ministero rispetto all'imputazione.
A
tal proposito, giova anzitutto considerare che in un processo accusatorio la fisiologica differenza, in termini di elementi
conoscitivi, tra indagini e dibattimento dovrebbe comportare la flessibilità
della contestazione, e ciò in ogni direzione. Tuttavia il nostro modello processuale conosce una flessibilità dell'imputazione soltanto parziale. Infatti, a mente dell'art. 50 u.c., l'esercizio dell'azione penale può essere al più
sospeso o interrotto nei casi previsti della legge, ma mai
revocato. Diversamente l'imputazione
riacquista flessibilità in senso ascrittivo (nel caso del reato
diverso) o ingravescente (nel caso di reato connesso oppure rispetto ad
ulteriori aggravanti).
In
altri termini, <<in virtù del principio di irretrattabilità
dell'azione penale, il P.M., a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p., ha il solo
potere di integrare l'accusa, mentre non può procedere autonomamente alla
correzione o riqualificazione delle condotte, potere che attiene alla decisione
di merito e che spetta al giudice, il quale nel suo esercizio deve fornire
adeguata motivazione sulle questioni di fatto e di diritto concernenti la
sussistenza o meno di tali circostanze>> (cfr. Cassazione penale sez.
V - 24/02/2022, n. 8998, che richiama Sez. 5, n. 9806 del 13/02/2006,
Casagrande, Rv. 234231 - 01).
Peraltro l'intervento
delle SS.UU. Barbagallo (Cassazione penale sez. un., ud. 28/10/1998, dep.
11/03/1999, n.4) ha comportato un ulteriore discostamento rispetto al sistema
accusatorio, consentendo di modificare l'imputazione,
ex artt. 516 e 517 c.p.p., anche anteriormente allo svolgimento
dell'istruttoria dibattimentale, sulla scorta del materiale di indagine.
Consentire
la facoltà di dismettere l'azione già esercitata avrebbe degli indubbi vantaggi
e non solo in termini di coerenza rispetto al processo accusatorio.
Infatti ove il requirente, nel corso del dibattimento, prendesse
tempestivamente atto che un'imputazione ritenuta fondata all'esito delle
indagini non lo è più o che comunque essa non supererebbe la soglia dell'oltre
ogni ragionevole dubbio, potrebbe di fatto concludere il processo, chiedendo al
giudice un provvedimento di proscioglimento, per rinuncia all'azione. Sul piano
motivazionale il giudice potrebbe essere gravato dei soli e scarni obblighi previsti per la sentenza di patteggiamento, rispetto all'art. 129 c.p.p..
Nondimeno, all'imputato portatore di qualificati interessi giuridici ad una
pronuncia di merito, come nel caso in cui egli sia stato incolpato in sede
disciplinare per i medesimi fatti contestatigli nel giudizio penale, dovrebbe
essere consentito un diritto ad una pronuncia di tal fatta.
L’invocata
riforma non può certamente avversarsi richiamando la possibilità che il
requirente possa richiedere il proscioglimento all'esito del giudizio o ex art.
129 c.p.p.. E ciò perché, se non altro, in ogni caso il giudice in tale situazioni
resta gravato del dovere di accertare e valutare una domanda, con connessi
poteri/doveri istruttori e motivazionali.
Ma,
a parere di chi scrive, la possibilità per il pubblico ministero di agire sulla
leva dell'imputazione dovrebbe consentirsi anche per favorire il ricorso al
c.d. patteggiamento.
La
possibilità per l'attore di rinunciare a parti dell'imputazione o ad alcune
imputazioni favorirebbe certamente il rito alternativo, fin qui, per lo più,
ritenuto inammissibile in ipotesi di richiesta di definizione parziale della o
delle imputazioni (cfr. Cassazione penale sez. III, ud. 12/01/2018, dep.
16/02/2018, n.7724, per un caso di istanza ex art. 444 c.p.p. inerente un frammento
della condotta imputata).
In
un sistema che consentisse la retrattabilità dell’azione, la statuizione che
prendesse atto della dismissione dell'azione dovrebbe, a tutela dell'imputato, comunque
impedire la celebrazione di un secondo grado di giudizio.
Infine,
a fronte della rinuncia alla domanda attorea, ci si dovrebbe interrogare
sull'esito delle pretese civili dispiegate nel processo penale. Al riguardo si
può ritenere, almeno che per ciò che concerne il primo grado di giudizio, che
venuta meno l'azione penale, quella civile non possa più essere mantenuta nel giudizio
penale, salve però le emergenze probatorie già acquisite, similmente a quanto
previsto ex art. 578 comma I bis c.p.p..