In
tema di denuncia, in sede di legittimità, del vizio di motivazione per
travisamento della prova, la Suprema Corte (Cass. Sez. 5 n. 36732 ud. 10/05/2022 dep. 28.09.22 Rel. Miccoli) ha recentemente ribadito che <<il ricorso
per cassazione, con il quale si lamenta il vizio di motivazione per
travisamento della prova, non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre
l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione
nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od
adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di
decisività, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa
riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da
tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella
sentenza; c) dare la prova della verità
dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della
effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d)
indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la
tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di
radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del
provvedimento impugnato». (sentenza al link).
Si tratta in realtà di un arresto risalente a diversi lustri or sono e affermatosi inizialmente presso la sesta sezione della Corte (si veda al riguardo Cassazione penale sez. VI, ud. 05/06/2006, dep. 06/07/2006, n.23524), per come illustrato da Guido Todaro su questo blog, facendo riferimento ad un percorso ad ostacoli per il difensore che rediga il ricorso (post al link).
Già nel 2006, pressocchè agli albori della giurisprudenza della Suprema Corte che si confrontava con la legge Pecorella, Paolo Ferrua considerava poco limpida la portata dell'onere prima riportato. L’accademico affermava apertis verbis che <<non è chiaro, a cosa si alluda con la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato». Infatti ad avviso dell’Autore se con ‘prova della verità’ si vuole alludere alla effettiva presenza degli atti travisati al fascicolo processuale del processo, si ricade nell’onere di documentazione sub a), se invece si pretendesse che la parte provi anche la veridicità degli asserti travisati si verserebbe in un’ipotesi assurda (così Paolo Ferrua, “Gli ermellini contro la Pecorella. Se la legge va sul letto di Procuste”, in Diritto e Giustizia, 13 maggio 2006, n. 19, p. 10 s.).
I dubbi, pur autorevolmente manifestati, rimanevano senza risposta, tanto che nel 2017, l’Autore li ribadiva (cfr. Paolo Ferrua, “La prova nel processo penale”, vol. I, “Struttura e procedimento”, 2 ed., Giappichelli, Torino, 2017, p. 241 ss.).
Nondimeno in una recente pronuncia della quinta sezione (Cass. Sez. 5 n. 36008 ud. 06/07/2022, rel. CAPUTO) si è considerato che il requisito della verità del fatto <<per non tradursi in una probatio diabolica a carico del ricorrente, deve essere inteso nel senso che, collocandosi nella prospettiva dell'onere di specificità che grava sull'impugnante e comportando quindi un onere di fedeltà della deduzione al processo, comporta che l'allegazione debba dare puntualmente conto dell'esistenza o meno di dati, provenienti dalla medesima fonte di prova, contrastanti o comunque non coincidenti con quello evocato a sostegno del denunciato travisamento>>(sentenza al link)
Tuttavia, neppure così l'esatta portata dell'onere, pur indicato a pena di inammissibilità del ricorso, risulta perspicua.
Anzitutto, v'è da dubitare che la verità dell'elemento fattuale, come ricostruita dalla quinta sezione, sia un quid distinto, esterno al vizio stesso, al pari degli altri oneri. Infatti, se sussistessero elementi probatori contrastanti con quello evocato e promananti dalla medesima fonte di prova, il vizio di travisamento verrebbe meno, poichè esso ricorre soltanto ove il Giudice abbia ricostruito il significante probatorio in termini INCONTROVERTIBILMENTE difformi rispetto a quelli risultanti dal processo (Cass. 32113/21). In altri termini, in presenza di elementi di segno opposto introdotti dalla medesima fonte cui pertiene il dato travisato, si verserebbe ancora in un vizio di motivazione denunciabile in Cassazione ?
Inoltre, non è dato cogliere quali siano le relazioni tra l'onere de qua e gli altri vari adempimenti cui il ricorrente è tenuto ai fini della ammissibilità dell'impugnazione.
Si rammenti al riguardo che l'impugnante che deduca l'errore deve confrontarsi con il coacervo di prove richiamate dalla motivazione, sì da dimostrare la decisività della prova travisata (onere sub d). Ma allora è evidente che i dati contrastanti o di segno contrario di cui la parte deve dar conto non rientrino nel novero di quelli posti a sostegno del decisum, oggetto del confronto appena citato. Si tratta di dati ulteriori e irrilevanti per il Giudice di merito. La parte dovrebbe dunque considerali ai fini della valutazione della decisività, anche se il Giudice non li ha considerati ?
Ed ancora, in qualche modo l'onere di fedeltà processuale può dirsi assolto ove la parte alleghi (come di fatto avviene nella prassi) l'intera trascrizione di udienza ?
Ma, infine, siamo sicuri che tutti questi argini giurisprudenziali (decisività, verità, allegazioni) al lamentato eccesso di ricorsi non finiscano per rendere i ricorsi ancora più sovrabbondanti e " versati in fatto" ?