La Riforma ha novellato anche l'art. 131 bis c.p., prevendendo che la causa di esclusione della punibilità possa ricorrere con riferimento ai reati per i quali IL MINIMO DELLA PENA NON SUPERI i DUE (lì dove invece antecedentemente il riferimento quoad poenam era rappresentato dal massimo edittale, che non doveva superare nel massimo gli anni cinque). Al fine di favorire il proscioglimento de quo, il legislatore prevede che il giudice possa tener conto anche della condotta susseguente al reato (come le condotte riparatorie).
Nondimeno, si è ampliato il catalogo di reati per i quali la causa di esclusione della punibilità non potrà operare.
V'è da chiedersi, in assenza di una qualche disciplina transitoria, se la novella dispieghi i suoi effetti sui processi in corso.
La Corte di Cassazione intervenne sul tema già nel 2015, allorquando venne introdotto l'istituto della particolare tenuità del fatto. In particolare i Supremi Giudici, con la sentenza n. 15449, affermarono che <<la natura sostanziale dell'istituto di nuova introduzione induce ad una risposta positiva, con conseguente retroattività della legge più favorevole, secondo quanto stabilito dall'art. 2 c.p., comma 4>>, aggiungendo <<può anche ritenersi che la questione della particolare tenuità del fatto sia proponibile anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall'art. 609 c.p.p., comma 2, trattandosi di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello>>.
Si riporta, per quanto di interesse il novello art. 131 bis c.p.
Art. 131 bis. Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L'offesa non può inoltre essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 558-bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583, secondo comma, 583-bis, 593-ter, 600-bis, 609-bis, 609-quater, 609- quinquies, 609-undecies, 612-bis, 612-ter, nonché dall’articolo 19, quinto comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, ovvero per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, e nell'ipotesi di cui all'articolo 343. L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis, 391 bis, 423, 423 bis, 600 ter, primo comma, 613 bis, 628, terzo comma, 629, 644, 648 bis, 648 ter, nonché per i delitti di cui agli articoli 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo, e 184 e 185 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58